ATTO I.
SCENA I.
Don Ignazio
giovane, Simbolo suo
cameriero.
Don Ignazio.
Egli è possibile, o Simbolo, ch'avendoti commesso che fussi tornato e ben
presto, che m'abbi fatto tanto penar per la risposta?
Simbolo. A far
molti servigi bisogna molto tempo, né io poteva caminar tanto in un tratto.
Don Ignazio. In tanto
tempo arei caminato tutto il mondo.
Simbolo. Sí, col
cervello; ma io avea a caminar con le gambe.
Don Ignazio. Or
questo è peggio, farmi penar di nuovo in ascoltar le tue scuse. Che hai tu
fatto?
Simbolo. Son stato
al maestro delle vesti.
Don Ignazio.
Cominci da quello che manco m'importa.
Simbolo. Cominciarò
da quello che piú vi piace: sono stato a don Flaminio vostro fratello, per
saper la risposta che ave avuto dal conte di Tricarico della vostra sposa.
Don Ignazio. Che
sai tu che questo mi piaccia?
Simbolo. Ve l'ho
intesa lodar molto di bellezza, pregate don Flaminio che tratti col conte ve la
conceda, passegiate tutto il giorno sotto le sue fenestre, e il pregio che
guadagnaste nella festa de' tori mandaste a donar a lei.
Don Ignazio. E ciò
m'importa manco del primo.
Simbolo. Sono stato
a madonna Angiola.
Don Ignazio.
Ben?
Simbolo. Non era in
chiesa, ché non era ancor venuta; ed io, per avanzar tempo per gli altri
negozi, non l'aspettai.
Don Ignazio.
Perché non lasciasti tutti gli altri per aspettar lei?
Simbolo. Che sapeva
io che desiavate ciò? Se potesse indovinar il vostro cuore, sareste servito
prima che me lo comandaste; e se a voi non rincrescerá comandarmi, a me non
rincrescerá servirvi. Vi fidate de me de danari, argenti e gioie, e non potete
fidar parole o secreti?
Don Ignazio. Ho
celato il desiderio del mio cuore in sino alla camicia che ho indosso; ma or
son risoluto fidarmi di te, cosí per obligarti a consigliarmi ed aiutarmi con
piú franchezza, come per isfogar teco la passione. Ma un secreto sí grande sia
custodito da te sotto sincera fede de un onorato silenzio.
Simbolo. Vi offro
fedeltá e franchezza nell'uno e nell'altro.
Don Ignazio. Io
ardo della piú bella fiamma che sia al mondo; e accioché tu sappi a puntino
ogni cosa, cominciarò da capo. - Quando venne il gran capitano Ferrante di
Corduba nel conquisto del regno di Napoli, venner con lui molti gentiluomini e
signori spagnuoli per avventurieri, tra' quali fu don Rodorigo di Mendozza mio
zio e noi fratelli; e dopo la felice conquista di questo regno, noi e nostro
zio fummo molto largamente rimunerati da Sua Maestá di molte migliaia di scudi
d'entrada e de' primi uffici del Regno: fra gli altri fu fatto viceré della
provincia di questa cittá di Salerno....
Simbolo. Tutto ciò sapeva
bene, ché son stato a' vostri servigio
Don Ignazio....
Or ei, volendo rallegrare la citta di Salerno sotto il suo governo, il
carnescial passato ordinò giochi di canne e di tori in piazza per i
gentiluomini, e un sollenne ballo nella sala di Palazzo per le gentildonne.
Venne il giorno constituito, venner e canne e tori in piazza e le gentildonne
in sala: fra le altre vennero due giovanette sorelle. Ma perché dico
«giovanette», ché non dico due angiolette? Elle parvero un folgore che
lampeggiando offuscò la bellezza di tutte le altre. E se ben Callidora, la
minore, fusse d'incomparabil bellezza, posta incontro al sovran paragon di
bellezza, a Carizia, restava un poco piú languida, perché la maggiore avea non
so che di reale e di maraviglioso. Parea che la natura avesse fatto l'estremo
suo forzo in lei per serbarla per modello de tutte l'altre opere sue, per non
errar piú mai. Ella era sí bella che non sapevi se la bellezza facesse bella
lei o s'ella facesse bella la bellezza; perché se la miravi aresti desiderato
esser tutto occhi per mirarla, s'ella parlava esser tutto orecchie per
ascoltarla: in somma tutti i suoi movimenti e azioni erano condite d'una
suprema dolcezza. Un sí stupendo spettacolo di bellezza rapí a sé tutti gli
occhi e cuori de' riguardanti: restâr le lingue mute e gli animi sospesi, e se
pur se sentiva un certo tacito mormorio, era che ogniuno mirava e ammirava una
mai piú udita leggiadria. Io furtivamente mirava gli occhi di Carizia, i quali
quanto erano vaghi a riguardare tanto pungevano poi, e quanto piú pungevano
tanto piú ti sentivi tirar a forza di rimirargli; e riguardando non si volean
partire come se fussero stati legati con una fune, talché non sapeva discernere
qual fusse maggiore o la dolcezza del mirare o la fierezza delle punture: al
fin conobbi che l'uno era la medicina dell'altro. E benché io prevedessi che
quel fusse un principio d'una fiamma nascente, dalla quale ogni mio spirito
dovea arderne crudelissimamente, pur non potea tenermi di non mirarla: onde per
non esser osservato da mio fratello, il prendo per la mano e lo meno nello
steccato....
Simbolo. Perché
dubbitavate di vostro fratello?
Don Ignazio. Tu
sai, da che siamo nati, avemo sempre con grandissima emulazione gareggiato
insieme di lettere, di scrima, di cavalcare e sopra tutto nell'amoreggiare, ché
ogniun di noi ha fatto professione di tôr l'innamorata all'altro. Il che
s'avenisse cosí di costei, si accenderebbe un odio maggiore fra noi che mai
fusse stato; sarebbe un seme di far nascer tra noi tal sdegno che ci
ammazzaremmo senz'alcuna pietade.
Simbolo. Seguite. E
poi?
Don Ignazio....
Appena entrammo nello steccato, come in un famoso campo di mostrar virtude e
valore, che fûr stuzzicati i tori, i quali furiosi e dalle narici spiranti
focoso fiato vennero incontro noi. Onde se mai generoso petto fu stimulato da
disio di gloria, fu il mio in quel punto; perché sempre volgea gli occhi in
quel ciel di bellezza, parea che da quelle vive stelle de' suoi begli occhi
spirassero nell'anima mia cosí potentissimi influssi, cosí infinito valore
ch'io feci fazioni tali che a tutti sembrarono meraviglie, ch'io non solo non
andava schivando gli affronti e i rivolgimenti de' tori, ma gli irritava
ancora, accioché con maggior furia m'assalissero. Di quelli, molti ne destesi
in terra e n'uccisi; ma in quel tempo ch'io combatteva con i tori, Amor
combatteva con me. O strana e mai piú intesa battaglia! onde un combattimento
era nello steccato apparente e un altro invisibile nel mio cuore: il toro
alcuna volta mi feriva nella pelle e ne gocciolavano alcune stille di sangue, e
il popolo ne avea compassione; ma ella con i giri degli occhi suoi mi fulminava
nell'anima, ma perché le ferite erano senza sangue, niuno ne avea compassione.
De' colpi de' tori alcuni ne andavano vòti d'effetto; ma quelli degli occhi
suoi tutti colpivano a segno. Pregava Amore che crescesse la rabbia a' tori, ma
temperasse la forza de' guardi di Carizia. Al fin io rimasi vincitore del toro,
ella vincitrice di me: ed io che vinsi perdei, e fui in un tempo vinto e vincitore,
e restai nella vittoria per amore. Del toro si vedea il cadavero disteso in
terra, il mio vagava innanzi la sua bella imagine; il popolo con lieto applauso
gradiva la mia vittoria, ed io piangeva la perdita di me stesso. Ahi quanto
poco vinsi! ahi quanto perdei! vinsi un toro e perdei l'anima....
Simbolo Faceste
tanto gagliarda resistenza a' fieri incontri de' tori e non poteste resistere
a' molli sguardi d'una vacca? - Come si portò vostro fratello?
Don Ignazio.
Fece anch'egli grandissime prodezze. -... In somma ella fu l'occhio e la
perfezione de tutta la festa. Finito il gioco, fingendomi stracco e altre
colorite cagioni, ritrassi don Flaminio dallo steccato, il quale avea gran
voglia d'uscirne, e ci reducemmo a casa; ma prima avea imposto ad un paggio
s'avesse informato chi fusse. Andai a letto avendo il cuore e gli occhi ripieni
della bellezza della giovane e l'anima impressa della sua bella imagine; onde
passai una notte assai travagliata. Intesi poi la matina che era una
gentildonna onestissima, dotata di molte peregrine virtú, di casa Della Porta;
ma povera per essernole state tolte le robbe per caggion de rubellione, ché
Eufranone, il padre, avea seguite le parti del principe de Salerno.
Simbolo Se state
cosí invaghito di costei, perché trattar matrimonio con la figlia del conte de
Tricarico e ci avete posto don Flaminio vostro fratello per mezano?
Don Ignazio.
Quando piace a' medici che non calino i cattivi umori ne' luoghi offesi,
ordinano certi riversivi: io per ingannar mio fratello, ché non s'imagini che
ami costei, lo fo trattar matrimonio con la figlia del conte.
Simbolo Ben, che
avete deliberato di fare?
Don Ignazio. Per
dar fine alle tante volte desiato e non mai conseguito desiderio, tôrla per
moglie.
Simbolo Avetici molto
ben pensato prima?
Don Ignazio. E
possedendo lei non sarò un terreno iddio?
Simbolo Avertite
che chi si dispone tôr moglie, camina per la strada del pentimento: pensatici
bene.
Don Ignazio. Ci
ho tanto pensato ch'il pensiero pensando s'è stancato nell'istesso pensiero.
Simbolo Che sapete
se vostro fratello se ne contenta, o vostro zio che vi vol maritar con una
figlia de grandi de Ispagna? Poi, povera e senza dote! Si sdegnará con voi e
forsi vi privará di quella parte di ereditá ch'avea designato lasciarvi: perché
gli errori che si fanno ne' matrimoni, dove importa l'onor di tutta la
famiglia, si tirano gli odii dietro di tutto il parentado e principalmente de'
fratelli e de' zii.
Don Ignazio.
Purché abbia costei per moglie, perda l'amor del fratello, del zio, la robba e
ogni cosa, fin alla vita. Che mi curo io di robba? son altro che miserabili
beni di fortuna? L'onestá e gli onorati costumi son i fregi dell'anima;
ricchezze ne ho tante che bastano per me e per lei. Or non potrebbe essere che,
trattenendomi, don Flaminio mi prevenisse e se la togliesse per moglie, ed io
poi per disperato m'avesse ad uccidere con le mie mani? Ho cosí deliberato; e
le cose deliberate si denno subbito esseguire.
Simbolo Ecco don
Flaminio vostro fratello.
Don Ignazio.
Presto presto, scampamo via, ché non mi veggia qui ed entri in sospetto di noi.
Simbolo. Andiamo.
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