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Giambattista Della Porta
Gli duoi fratelli rivali

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  • ATTO I.
    • SCENA III.   Leccardo parasito, Panimbolo, Don Flaminio.
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SCENA III.

 

Leccardo parasito, Panimbolo, Don Flaminio.

 

Leccardo. Non son uomo da partirmi da una casa tanto misera prima che non sia cacciato a bastonate?...

Panimbolo. (Leccardo sta irato. Ho per fermo che non ará leccato ancora, ché niuna cosa fuorché questa basta a farlo arrabbiare).

Leccardo.... È forse che debba soffrir cosí miserabil vita per i grassi bocconi che m'ingoio: una insalatuccia, una minestra de bietole come fusse bue? bel pasto da por innanzi alla mia fame bizzarra!...

Panimbolo. (Ogni sua disgrazia è sovra il mangiare).

Leccardo.... Digiunar senza voto? forse che almeno una volta la settimana si facesse qualche cenarella per rifocillar i spiriti!...

Don Flaminio. (L'hai indovinata: non ha mangiato ancora).

Leccardo.... Però non è meraviglia se mi sento cosí leggiero: non mangio cose di sostanza....

Don Flaminio. (Lo vo' chiamare).

Panimbolo. (Non l'interrompete, di grazia: dice assai bene, loda la largitá del suo padrone).

Don Flaminio. Volgiti qua, Leccardo.

Leccardo. O signor don Flaminio, a punto stava col pensiero a voi!

Don Flaminio. Parla, ché la tua bocca mi può dar morte e vita.

Leccardo. Che! son serpente io che con la bocca do morte e vita? La mia bocca non morte se non a polli, caponi e porchette.

Panimbolo. E li dái morte e sepoltura ad un tempo.

Don Flaminio. Lasciamo i scherzi: ragionamo di Carizia, ché non ho maggior dolcezza in questa vita.

Leccardo. Ed io quando ragiono di mangiare e di bere.

Don Flaminio. Narrami alcuna cosa: racconsolami tutto.

Leccardo. Ti sconsolerò piú tosto.

Don Flaminio. Potrai dirmi altro che non mi ama? lo so meglio di te. L'incendio è passato tanto oltre che mi pasco del suo disamare: di' liberamente.

Leccardo. Vedi questi segni e le lividure?

Don Flaminio. Tu stai malconcio: chi fu quel crudelaccio?

Leccardo. La tua Carizia me l'ha fatte.

Don Flaminio. Mia? perché dici «mia», se non vuoi dir «nemica»? - Ma pur com'è passato il fatto?

Leccardo. Oggi, perché stava un poco allegretta, lodava la sua bellezza; ella ridea. Io, vedendo che sopportava le lodi, prendo animo e passo innanzi: - Tu ridi e gli assassinati dalla tua bellezza piangono e si dolgono, ché quel giorno che fu festa de' tori innamorasti tutto il mondo! - Ella piú rideva ed io passo piú innanzi: - E fra gli altri ci è un certo che sta alla morte per amor tuo!...

Don Flaminio. Tu te ne passi troppo leggiermente: raccontamelo piú minutamente.

Leccardo.... A pena finii le parole, che vidi sfavillar gli occhi come un toro stuzzicato, e la faccia divenir rossa come un gambaro. Tosto mi die' un sorgozzone che mi troncò la parola in gola; e dato di mano ad un bastone che si trovò vicino, lo lasciava cadere dove il caso il portava, non mirando piú alla testa che alla faccia o al collo. Cadei in terra; mi die' colpi allo stomaco e calci che se fusse stato un ballone me aría fatto balzar per l'aria, ingiuriandomi «roffiano» e che lo volea dir ad Eufranone suo padre.

Don Flaminio. Non spaventarti per questo, ché le donne al principio sempre si mostrano cosí ritrose: si ammorbiderá ben . Ma abbi pazienza, Leccardo mio, ché de' colpi delle sue mani non ne morrai.

Leccardo. Le tue belle parole non m'entrano in capo e mi levano il dolore e la fame.

Don Flaminio. Faremo che Panimbolo ti medichi e ti guarisca.

Panimbolo. Io ho recette esperimentate per le tue infirmitá.

Leccardo. Dimmele, per amor de Dio!

Panimbolo. Al gorguzale ci faremo una lavanda di lacrima e di vin greco molte volte il giorno.

Leccardo. Oh, bene! ho per fermo che tu debbi essere figlio di qualche medico. E se non guarisce alla prima?

Panimbolo. Reiterar la ricetta.

Leccardo. Almeno per una settimana! Che faremo per li denti?

Panimbolo. Uno sciacquadenti di vernaccia di Paula o di vin d'amarene.

Leccardo. Tu ti potresti addottorare. Ma per far maggior operazione bisognarebbe che i liquori fusser vecchi.

Panimbolo. N'avemo tanto vecchi in casa c'hanno la barba bianca.

Leccardo. E per lo stomaco poi?

Panimbolo. Bisogna tôr quattro pollastroni e fargli buglir ben bene, e poi colar quel brodo grasso in un piatto e porvi dentro a macerar fette de pan bianco, e accioché non esalino quei vapori dove sta tutta la virtú, bisogna coprir ché venghino ben stufati, poi spargervi sopra cannella pista, e sará un eccellente rimedio. All'ultimo, un poco di caso marzollino per un sigillastomaco.

Leccardo. Veramente da te si devriano tôrre le regole della medicina. Andamo a medicar presto, ché m'è salito addosso un appetito ferrigno, e tanta saliva mi scorre per la bocca che n'ho ingiottito piú de una carrafa. La medicina n'ha reinfrescato il dolor delle piaghe e m'ha mosso una febre alla gola che mi sento mancar l'anima.

Panimbolo. Con certe animelle di vitellucce ti riporrò l'anima in corpo.

Leccardo. Se fussi morto e sepellito resuscitarei per farmi medicar da voi. Don Flaminio, avessi qualche poco di salame o di cascio parmigiano in saccoccia?

Don Flaminio. Orbo, questa puzza vorrei portar adosso io?

Leccardo. Ma che muschio, che ambra, che aromati preziosi odorano piú di questi?

Don Flaminio. Leccardo mio, come io so medicar i tuoi dolori, cosí vorrei che medicassi i miei!

Leccardo. Non dubitar, ché quando toglio una impresa, piú tosto muoio che la lascio.

Don Flaminio. Vieni a mangiar meco questa mattina.

Leccardo. Non posso: ho promesso ad altri.

Don Flaminio. Eh, vieni.

Leccardo. Eh, no.

Panimbolo. (Mira il furfante! se ne muore e se ne vuol far pregare).

Don Flaminio. Fa' ora a mio modo, ch'una volta io farò a tuo modo.

Leccardo. Son stato invitato da certi amici ad un buon desinare, ma vo' ingannargli per amor vostro.

Don Flaminio. Va' a casa e ordina al cuoco che t'apparecchi tutto quello che saprai dimandare, e fa' collazione; tratanto che sia apparecchiato, serò teco, ché vo per un negozio.

Leccardo. Ed io ne farò un altro e sarò a voi subbito. (Vedo il capitan Martebellonio. Non ho visto di lui il maggior bugiardo; sta gonfio di vento come un ballone e un giorno si risolverá in aria. Ha fatto mille arti, prima fu sensale, poi birro, poi aiutante del boia, poi ruffiano; e pensa con le sue bravate atterrire il mondo, e stima che tutte le gentildonne si muoiano per la sua bellezza). Ben trovato il bellissimo e valorosissimo capitan Martebellonio!

 

 

 




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