SCENA II.
Angiola, Simbolo, Don
Ignazio.
Angiola. (Conosco a
prova che il peso degli anni è il maggior peso che possa portar l'uomo su la sua
persona, poiché in sí breve viaggio che ho fatto, son cosí stanca come si
avesse portato qualche gran soma).
Don Ignazio. (Vo
innanzi a toglierle la via).
Angiola. (Son
inciampata con don Ignazio c'ho cercato fuggir con ogni industria, ché so che
cerca parlarmi di Carizia mia nipote; né vorrei che prorumpesse in qualche cosa
men ch'onesta).
Don Ignazio.
Signora Angiola, ho desiato gran tempo ragionar con voi d'un negozio
importantissimo.
Angiola. Eccomi al
vostro commodo: ben la priego a non trattarmi di cosa che men che onesta non
sia.
Don Ignazio.
Certo non farei tanto torto alla sua bontá, alla mia qualitá; né l'importanza
del negozio né il tempo richiede questo.
Angiola. Poiché le vostre
costumate parole, degne veramente di quel cavaliero che voi sète, m'hanno
sgombro dal cuor ogni sospetto, eccomi pronta ad ogni vostro comando.
Don Ignazio.
Sappiate, madre mia, che da quel giorno - che non so si debba chiamarlo felice
o infelice per me - che vidi la bellezza e l'oneste maniere di Carizia vostra
nipote, m'hanno impiagata l'anima di sorte che, se voglio guarire, è bisogno
ricorrere a quel fonte donde sol può derivar la mia salute.
Angiola. Signor don
Ignazio, so dove va a ferir lo strale del vostro raggionamento.
Don Ignazio. Non
ad altro che ad onesto e onorato fine.
Angiola.
Perdonatemi se cosí immodestamente vi rompo le parole in bocca. Sappiate che se
ben Carizia mia nipote è giovane, nasconde sotto quella sua etá acerba virtú
matura, sotto quel capel biondo saper canuto, sotto quel petto giovenile
consiglio antico; e se ben è povera d'oro, l'onore non li fa conoscer bisogno
alcuno, perché si stima ricca d'onore e di se stessa: e nella sua onestá
s'inchiude il suo tesoro e la sua dote. Onde non sperate che il falso splendor
d'oro o di gioie le appanne gli occhi; né col mostrarvi vinto della sua
bellezza, di vincer lei; o col mostrarvi ubidiente, trionfar della sua volontá;
o col mostrarvi servo, signoreggiarla: perché il vostro sperar fia vano, e la
moverete piú tosto ad odio che ad amarvi.
Don Ignazio.
Signora, io n'ho piú timore veder i suoi lumi turbati di sdegno contra di me -
da' quali depende il maggior contento ch'abbi nella vita - che perder l'istessa
vita; e vi giuro per quel cielo e per Colui che ci alberga dentro, ch'amo le
sue bellezze come modesto sposo e non come lascivo amante; ché chi ama la
bellezza e non l'onore, non è amante ma inimicissimo tiranno.
Angiola. Dubito che
non mi proponiate un infame amore sotto una onorata richiesta di nozze.
Don Ignazio. O
Iddio, non mi conoscete nel fronte e negli occhi pregni di lacrime l'effetto
della mia fede, che son ridotto all'ultimo termine della mia vita? ché se non
voglio morire, son costretto toglierla per moglie?
Angiola. Ditemi di
grazia, che cosa desiate da lei?
Don Ignazio. Se
non che pregarla che m'accetti per sposo, pur se non sdegna cosí basso sogetto.
Angiola. Non sapete
voi meglio di me che questo ufficio convien farsi col padre e non con lei,
perché non lice ad una donzella dispor di se stessa?
Don Ignazio. Io
non cerco altro da lei in ricompensa del singular amar che le porto, che sia
favorito da lei dirglielo con la bocca e con le mie orecchie sentir le sue
parole e pascer per quel breve momento gli occhi miei avidi e affamati, in cosí
lungo digiuno, della sua vista; ché da quel giorno della festa non fu mai
possibile di rivederla.
Angiola. Se ben
quel che mi chiedete non abbi molto dell'onesto, pure traporrò l'autoritá mia,
per quanto val appo lei, d'indurlaci; ché, raggionandosele de voi, ho
conosciuto nel suo animo non so che di tacito consentimento. Fratanto che
attendete la risposta, potrete trattenervi qui intorno, ché io vo' entrar in
casa.
Don Ignazio. Che
dici, Simbolo?
Simbolo. Ad una
dura e faticosa impresa vi sète posto.
Don Ignazio. Per
lei tutte le fatiche e le durezze mi sono care; né mai le grandi imprese si
vinsero senza gran fatiche.
Simbolo. Perdete il
tempo.
Don Ignazio. E
che tempo piú degnamente potrá perdersi come nell'acquisto de sí degno tesoro?
Simbolo. E che
acquistate poi? l'amor d'una donna che si cambia di momento in momento.
Don Ignazio. Sí,
delle vili e populari; ma quelle di reale animo come costei, amando, amano
insino alla morte.
Simbolo. Tutte le
donne sono d'una medesima natura.
Don Ignazio. Tu
poco t'intendi di nature di donne. Ma non ingiuriar lei perché ingiurii me:
taci.
Simbolo. Taccio.
Don Ignazio. Giá
fuggono le tenebre dell'aria, ecco l'aurora che precede la chiarezza del mio
bel sole, giá spuntano i raggi intorno: veggio la bella mano che con leggiadra
maniera alza la gelosia. O felici occhi miei, che siete degni di tanto bene!
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