ATTO III.
SCENA I.
Don Flaminio, Panimbolo.
Don Flaminio.
Battuto da cosí crudel tempesta di contraria fortuna, la qual mi spinge addosso
onde sopra onde, l'anima mia stordita dalla paura ondeggia in una gran tempesta
e sta turbata di sorte che non credo viva al mondo oggi uomo che sia aggirato
da vari pensieri come io. Temo di molte cose e fra tanto timore non so in che
risolvermi. Una sola forza nascosa mi toglie ogni espedito consiglio: temo il
genio del mio fratello che sempre suol dominarmi. E se bene son abbandonato
dalla fortuna, non abbandonarmi ancor tu: fa' che se non posso vincere, almen
non resti vinto da lui. Tu sei il mio timone e la mia stella; gli occhi miei
non mirano se non in te solo; non patir che facci naufragio.
Panimbolo.
Questa tempesta che minaccia naufragio, questa istessa vi condurrá in porto.
Don Flaminio. Non
posso soffrir che mio fratello abbi saputo far meglio di me.
Panimbolo.
S'egli ha saputo fare, voi saperete disfare.
Don Flaminio. Io
molte volte dalli tuoi astuti inganni d'invecchiata prudenzia ho conseguito
molti disegni, de' quali t'ho grande obligo.
Panimbolo. Io
non ho mai fatto cosa in vostro servigio che non avesse avuto desio di farne
altro tanto.
Don Flaminio. Io
ho voluto rammemorargli e ringraziarti, acciò conoschi con che memoria gli
serbo e che voglia ho di remeritargli. Fa' conto che se per te schivo questa
ruina che mi sta sopra, da te ricevo la sposa, la vita e l'onore insieme, ché
perdendo lei perderò il tutto miseramente: renderai me stesso a me stesso e mi
torrai dalle mani della morte. Se sei stato mio servidore, d'oggi innanzi sarai
mio fratello; e dal guiderdone che riceverai da me, conoscerai che so conoscere
e guiderdonare i servigi.
Panimbolo.
Padron caro, allor sarò conosciuto e guiderdonato da voi quando conoscerete
quanto i vostri servigi mi sieno a caro.
Don Flaminio. Il fatto
è passato molto innanzi, le nozze son vicine, il tempo breve, i rimedi scarsi:
temo dell'impossibile.
Panimbolo. Non
può l'uomo oprar bene, il quale si avvilisce nell'impossibile. Quando non ci
valerá ragione, bontá e giustizia, poneremo mano agl'inganni e furfanterie, ché
queste vincono e superano tutte le cose; e poiché egli cerca con inganni tôrvi
l'amata, sará bene che con i medesmi inganni gli respondiamo e facciamo cader
l'inganno sopra l'ingannatore. E che val l'uomo che non sa far bene e male? ben
a' buoni e mal a' cattivi? Or mentre ho lingua e ingegno state sicuro.
Don Flaminio.
Comincio a respirare.
Panimbolo. Ma
mentre parlo rivocate voi stesso in voi stesso.
Don Flaminio. O
dolor o rabbia che tu sei, fa' tanta tregua con me fin che ordisca qualche
garbuglio, e poi tormentami e uccidimi come a te piace. - Ma dimmi, hai pensato
alcuna cosa?
Panimbolo.
Cose belle a dire e grate all'orecchie ma non riuscibili; e nelle riuscibili
non vorrei valermi di mezi cosí pericolosi.
Don Flaminio. Mai
si vinse periglio senza periglio. Ma perché corremo per perduti e per me è
morta ogni speranza e non spero se non nella disperazione, prima che muoia vo'
tentar ogni cosa per difficile e perigliosa che sia, e morendo io vo' che tutto
il mondo perisca meco. Ma tu imagina qualche cosa: fa' che veggia i fiori della
mia felicitade.
Panimbolo.
Farò come il fico che prima ti dará i frutti che ti mostri i fiori.
Don Flaminio.
Presto: come la guadagnaremo?
Panimbolo.
Ancora non avemo cominciato ad ordire, e volete la tela tessuta! né qui bisogna
tanta fretta, ché la fretta è ruina de' negozi e le subbite resoluzioni son
madri de' lunghi pentimenti. Sappiate che non è piú facil cosa che guastar un
matrimonio prima che sia contratto: uno solo sospetto scompiglia il tutto.
Diremo che molto tempo prima voi ci avete fatto l'amore e godutala.
Don Flaminio. La
sua fama ci è contraria, perché è tenuta la piú onesta e onorata giovane che
sia in Salerno.
Panimbolo. Un
poco di vero mescolato con la bugia fa creder tutta la bugia. Aggiungeremo che
la povertá sia stata cagione della sua disonestá.
Don Flaminio. Non
lo crederá mio fratello ancorché lo vedesse con gli occhi suoi.
Panimbolo. E
bisognando, faremo che lo veggia: come fargli veder di notte che alcuno entri in
casa sua, mostrargli veste sue, gioie che portò quel giorno della festa o de'
doni propri mandati; e per mezzo della notte agevolmente si può far veder una
cosa per un'altra.
Don Flaminio. E
ciò come farassi?
Panimbolo. Il
parasito potrá aiutarvi, che è portinaio della casa, in farvi entrar e uscire e
prestarvi alcune delle sue robbe.
Don Flaminio.
Intendo ch'il padre, se ben per altro riguardevole, è molto iracondo e tenace
del suo onore e buona riputazione: ci ponemo in pericolo d'un irreparabil danno
e ne ponno accader molti disordini.
Panimbolo. A
questi disordini rimediaremo con molti ordini. Come vostro fratello rifiuterá
la sposa, vi appresentarete col prete e la sposarete.
Don Flaminio.
Carizia che or ama don Ignazio, che l'ha legitimamente chiesta per isposa e
complito con molti presenti, come s'accorgerá che per i nostri poco fedeli
uffici riceverá questa macchia nel suo onore, non m'accetterá per isposo.
Panimbolo. Gli
animi delle donne sono volubili: con nuovi benefici cancellaremo la vecchia ingiuria.
Don Flaminio.
L'atto è pieno di speranza e di paura: non so a qual appigliarmi. Perché
essendomi forzato mentre son vissuto di non macchiar la mia vita con alcuna
poco men che onesta azione, or facendo un cosí gran tradimento, con che faccia
comparirò piú mai fra cavalieri onorati? Mio fratello arderá di sdegno contro
di me e ci uccideremo insieme.
Panimbolo. Noi
lo battezaremo piú tosto un generoso inganno che vituperoso tradimento. Ad un
amante è lecito usar ogni atto indegno di cavaliero contro qualsivoglia, purché
rivale, per acquistarsi la donna amata: e negli amori non si ha rispetto né ad
amicizia né a strettezza di sangue, e ogni inganno e tradimento per vincere è
riputato ingegno e grande onore. Non si prendono molte cittá e castelli per tradimenti?
e pur non «tradimenti» ma «stratagemmi militari» si chiamano. E quando si
combatte per vincere, non si fa mostra per ferir nell'occhio e si percuote nel
cuore? Voi per diverse vie aspirate alle nozze di Carizia: ella è posta nel
mezo a chi per valore o per ingegno la sa guadagnare. Or ditemi, non ha egli
usato a voi tradimento? mentre occultamente trattava averla per isposa, vi
facea trattar matrimonio con la figlia del conte. Egli cerca ingannar voi: será
ben che inganniate lui. Poi fatto il sponsalizio, accioché si vergogni, gli
improverarete che, non trattando con voi alla libera, l'avete fatto conoscere
che, facendo professione di strasavio e d'esser vostro maestro, non è buono ad
imparar da voi; e poi fatto l'errore, si trapongono gli uomini da bene e frati
e preti, anzi il vostro zio, a por accordi fra voi. E al fin bisogna che si
cheti: ché se ben v'uccidesse, non per questo otterrebbe il suo intento.
Don Flaminio. E
non riuscendo quest'apparenza di notte, non so come andarebbe la cosa.
Panimbolo.
Perché addur tante téme o perigli contro voi stesso? chi molto considera non
vuol fare: lontani da' pericoli, lontani dalle lodi della sperata vittoria: né
valoroso né degno uomo può esser quello che schiva i pericoli, che aprono la
via all'onore: temendo i pericoli, si guastano i desegni.
Don Flaminio. Chi
non teme con ragione, incorre spesso in disordine; e la téma fa riuscire i
consigli vani.
Panimbolo.
Quei, che col nome di «prudenza» cuoprono il natural timore, non fanno mai cosa
buona. Quando mai facessimo altro, poneremo il tutto in disordine e confusione;
e chi scampa un punto ne scampa cento.
Don Flaminio. Se
ben è ardito ma pericoloso il consiglio e da spaventare ogni gran cuore,
essendo disposto o di posseder Carizia o di morire, esseguiamolo: né vo' per
una ignobil paura mancar a me stesso.
Panimbolo.
Sète risoluto?
Don Flaminio.
Risolutissimo. Oh come con gli occhi del pensiero la veggio riuscir bella e
netta! e mentre sto in questo pensiero, sento un secreto spirito nel cuore che mi
conforta e spinge ad esseguirlo. Resta solo si parli al parasito se vuol
aiutarci.
Panimbolo.
Bisogna far presto, ché don Ignazio è d'ingegno destro e vigilante: se non si
previene con prestezza, si torrá Carizia. «Chi non fa conto del tempo perde le
fatiche e le speranze dell'effetto».
Don Flaminio. Or
mi par ogni indugio una gran lunghezza di tempo: s'avesse le podagre, saria
venuto.
Panimbolo. Se
menasse cosí i piedi nel caminare come le mani ne' piatti o le mascelle quando
mangia, che l'alza in su e giú come un ballone, sarebbe venuto prima.
Don Flaminio.
Eccolo, ma con una ciera annunziatrice di cattive novelle.
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