SCENA V.
Don Flaminio, Leccardo, Panimbolo.
Don Flaminio.
Ecco il veggiamo a punto. Leccardo, hai appontato con la fantesca?
Leccardo. No.
Don Flaminio.
Perché?
Leccardo. L'aco
era spuntato e avea la testa rotta.
Don Flaminio. Hai
scherzato a bastanza: non piú scherzi.
Leccardo. Non
abbiamo fatto cosa veruna.
Don Flaminio.
Fortuna traditora, se tu volgi le spalle una volta, non volgi piú la faccia.
Leccardo.
Anzi la fortuna s'è incontrata con te senza saper chi fussi, e tu senza
conoscerla ti sei incontrato con lei.
Don Flaminio. Che
m'apporti?
Leccardo. Le
vesti, le gioie e l'istessa Carizia: piú di quel che m'hai chiesto e sapresti
desiderare.
Don Flaminio.
Perché dicivi di no?
Leccardo. Per
farvi saper la nuova piú saporita; ché si t'avessi detto cosí il tutto alla
prima, non ti sarebbe piaciuta. Non solo aremo da Chiaretta quanto vogliamo; ma
m'è venuto fra' piedi quel capitano balordo, innamorato di Calidora, il qual ci
servirá molto a proposito, di modo che ci si trovará gentilmente beffato e
vostro fratello tradito.
Don Flaminio. Da
cosí buona fortuna fo argumento che la cosa riuscirá assai netta. Conosco il
capitano; ma come si sentirá beffato da te, ti fará una furia di bravate.
Leccardo. Ed
io una furia di bastonate.
Don Flaminio.
Leccardo mio, come arò per tuo mezo conseguito il mio bene, arai sempre la gola
piena e ornata di catene d'oro.
Leccardo.
Purché non rieschino in qualche capestro!
Don Flaminio. Che
resta a far, Panimbolo?
Panimbolo.
Come il fratello vi dará la nuova, mostrate non sapere nulla. Dilli che sia
disonesta. Tu, Leccardo, tieni in piedi la prattica della fantesca, ché noi ti
avisaremo di passo in passo quanto è da farsi.
Leccardo.
Raccomando alla fortuna la vostra audacia.
Panimbolo.
Abbi cura spiar se don Ignazio prepara alcuna cosa.
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