SCENA II.
Eufranone, Don Ignazio, Simbolo.
Eufranone.
Caro signore, siate il benvenuto, per mille volte molto desiato dalla sposa e
da' principali di Salerno!
Don Ignazio. Io
vengo con voluntá assai diversa da quel che pensi: stimi che venghi a sposar
tua figlia ed io vengo a rifiutarla.
Eufranone. Non
sperava sentir tal nuova da voi! Ma in che ha peccato mia figlia che meriti tal
rifiuto?
Don Ignazio.
D'impudicizia e disonestá.
Eufranone.
Onesta è stata sempre mia figlia e cosí stimata da tutti, e non so per qual
cagione sia impudica appresso voi solo.
Don Ignazio. Tal
è come dico.
Eufranone. Or
non vi pregai io, allor che tanto ansiosamente m'era chiesta dalla vostra
leggierezza, che ci aveste pensato prima; e al fin vinto dalla vostra
ostinazione ve la concessi? Ché il cuor mi presaggiva quanto ora m'accade, che
passati quei furori vi pentireste; e per mostrar giuste cagioni del rifiuto,
offendete me, lei e tutta la cittade. Bastava mandare a dire ch'eravate pentito,
ché io contentandomi d'ogni vostro contento mi sarei chetato, senza
svergognarmi in tal modo.
Don Ignazio. Io
non spinto da giovenil leggierezza ciò dico, ma da giustissime cagioni.
Eufranone.
Dunque dite che mia figlia è infame?
Don Ignazio. Ce
lo dicono l'opre.
Eufranone. Se
non foste quel che sète e men di tempo, io vi risponderei come si converrebbe.
Ma che cose infami avete udite di lei?
Don Ignazio.
Quelle che non arei mai credute.
Eufranone.
Nelle cose degne e onorate si trapone sempre mordace lingua.
Don Ignazio. Qui
non mordace lingua ma gli occhi stessi furon testimoni del tutto.
Eufranone. Né
in cosa cosí lontana dall'esser di mia figliuola dovrebbe un par vostro creder
agli occhi suoi, che ben spesso s'ingannano.
Don Ignazio. Che
un uomo possi ingannar un altro è facil cosa ma se stesso è difficile: ché quel
che vidi, molto chiaramente il viddi, e per non averlo veduto arei voluto esser
nato senz'occhi.
Eufranone. Lo
vedeste voi a lume chiaro?
Don Ignazio.
Anzi a sí nimico spettacolo rimasi senza lume!
Eufranone.
Gran cose ascolto!
Don Ignazio. Or
ditele da mia parte che desiava lei per isposa stimandola onesta e onorata; ma
avendone veduto tutto il contrario, si goda per sposo chi la passata notte
goduto s'ave.
Eufranone, Farò
la vostra ambasciata e farò che le penetri ben nel cuore. Ahi, misero padre
d'infame figlia, e quanto son dolente d'averti generata!
Simbolo. Non v'ho
detto, padrone, che il vostro parlare arebbe cagionato qualche ruina?
ch'essendo egli molto superbo né punto avezzo a sopportar ingiurie, con che
rabbiosa pacienza ascoltava; e con gli occhi lampeggianti di un subbito sdegno,
ripieno di un feroce dolore, die' di mano al pugnale e se n'è gita su dove fará
qualche scompiglio. L'onda, che batte ne' scogli, si fa schiuma, sfoga e
finisce il furore; ma se non fa né rumor né schiuma, s'ingorga in se stessa, si
gonfia e fa crudelissima tempesta. Dal ferro delle vostre parole, come da una
spada, ha rinchiuso il dolor dentro: sentirete la tempesta. Sento tutta la casa
piena di gridi e di romore. Andiamocene, se non volete ancor rallegrar gli
occhi vostri del suo sangue; ché se foste constretto vederlo, dovreste serrar
gli occhi per non mirarlo.
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