SCENA III.
Martebellonio, Chiaretta, Leccardo.
Martebellonio. Or mira che bizzari incontri vengon al mio fantastico cervello,
ché pensando far correre un poco il mio cane dietro una bella fiera, s'è
incontrato con una pessima fiera.
Chiaretta.
Buon can per certo, che, per aver avuto tutta notte la caccia tra' piedi, è
stato sí sonnacchioso che non ha voluto mai alzar la testa né in drizzarsi alla
via per seguitarla.
Martebellonio. Il mio can ha piú cervello che non ho io, che conosce all'odor
la fiera, ché né per stuzzicarlo né per sferzarlo si volse mai spinger innanzi.
Chiaretta. Va'
e fa' altre arti, ché di caccia di donne tu non te n'intendi.
Martebellonio. Troppo gran bocca avevi tu aperta, che aresti ingiottito il cane
e il padrone intiero intiero.
Chiaretta. Non
bisognava altrimenti, avendo a combatter con can debole di schiena.
Martebellonio. Io non so punger cosí con la spada come tu pungi con la lingua;
ma ti scampa ché sei ignobil feminella, che vorrei con una stoccata passarti da
un canto all'altro.
Chiaretta. Non
temo le tue stoccate, ché la tua spada si piega in punta.
Martebellonio. O Dio, se non temessi che, cavando la spada fuori, la furia
dell'aria conquassata movesse qualche tempesta, vorrei che la provassi! Ma me
la pagherá quel furfante di Leccardo.
Leccardo.
Menti per la gola, ché son meglio uomo di te!
Martebellonio. Dove sei, o tu che parli e non ti lassi vedere?
Leccardo. Non
mi vedi perché non ti piace vedermi: eccomi qui!
Martebellonio. Mi farai sverginar oggi la mia spada nel sangue di poltroni.
Leccardo. E
tu mi farai sverginar un legno che non ha fatto peccato ancora.
Martebellonio. Sei salito sul tetto ché non ti possa giungere: come ti arò in
mano, te squarterò come una ricotta.
Leccardo. E
tu sei posto in piazza per aver molte strade da scampare, ché dubbiti che non
voglia spolverizzarti la schena.
Martebellonio. Se m'incappi nelle mani...
Leccardo. Se
mi scappi dalle mani.
Martebellonio.... ti sbodellerò!
Leccardo. Tu
non sai sbudellar se non borse.
Martebellonio. Ah, poltronaccio, ti farò conoscer chi son io!
Leccardo. Ti
conosco molto tempo fa, che fosti facchino, aiutante del boia, birro, sensale,
ruffiano.
Martebellonio. Ah, mondo traditore, ciel torchino, stelle nemiche! fai del
bravo perché non posso salir su dove sei.
Leccardo. E
tu fai del bravo perché non posso calar giú dove tu sei.
Martebellonio. Cala qua giú e pigliati cinquanta scudi.
Leccardo.
Sali qua tu e pigliatene cento.
Martebellonio. Cala qua giú, traditore, e pigliati mille scudi.
Leccardo. Sali
qua tu, forfante, e pigliatene dumila.
Martebellonio. O Dio, che tutto mi rodo per aver in man quel traditore!
Leccardo. O
Dio, che tutto ardo per non poter castigar un matto!
Martebellonio. Con un salto verrò dove tu sei, se ben la casa fusse piú alta di
Mongibello.
Leccardo. Con
un salto calarò giú, se la casa fusse piú alta della torre di Babilonia.
Martebellonio. Tu sai che ti feci e che ti ho fatto e che ti soglio fare, né
cesserò di far finché non t'abbi fatto e disfatto a mio modo.
Leccardo. Non
potendo far altro tirerò una pietra dove sei: ti vo' acciaccare i pidocchi su
la testa.
Martebellonio. O Dio, che montagna è questa!
Leccardo. È
la montagna di Mauritania, che è caduta dal cielo, che ti manda Marte tuo
padre, messer Cacamerdonio.
Martebellonio. (Questo incontro alle genti di Marte! San Stefano, scampami!).
Mi partirò, t'incontrerò e ti gastigherò all'ordinario come soglio.
Leccardo. Ed
io con bastonate estraordinarie come soglio.
Martebellonio. (In somma bisogna l'uomo serbar la sua dignitá! che onor posso
guadagnar con costui? Alla smenticata e alla muta, incontrandolo al buio, li
darò la penitenza delle parole e della burla che m'ha fatto).
Leccardo. (Io
ho avuto a crepar della risa della battaglia fatta all'oscuro con Chiaretta! Vo'
andar a raccontarla a don Flaminio; ma andrò prima a casa a veder che si
faccia).
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