SCENA IV.
Don Flaminio, Panimbolo.
Don Flaminio.
Finalmente è pur stato vinto colui che era cosí malagevole a vincere, e preso chi
pensava prender altri. Il volpone è caduto nella trappola e poco l'ha giovato
la sua astuzia, ché ha trovato chi ha saputo piú di lui.
Panimbolo. Or
drizzisi un trofeo all'inganno, un mausoleo alla fraude, un arco trionfale alla
bugia, un colosso alla falsitá, poiché per lor mezo avete conseguito il sommo
de' desidèri.
Don Flaminio.
Petto mio, se ben per l'addietro sei stato bersaglio di tanti affanni, ricetto
di tante pene, respira e scaccia da te tanta amaritudine. Or andiamo a tôr il
possesso di Carizia, non temiamo piú il fratello. Gran maraviglia ch'essendo
gionto a quel segno ove solo aspirava il cor mio, non sento quell'allegrezza
che devrei; né ho passata notte piú fastidiosa da che nacqui. Avendo gli occhi
rivolti alle prime passioni, non l'ho mai chiusi né verso l'alba riposai molto:
sogni, ombre, larve e turbolenze m'avean inquietato l'animo, e tutti i sogni
son stati travagli di Carizia. Mi destava per non conportargli, e pur dormendo
sognava travagli. Veramente i travagli son ladri del sonno.
Panimbolo. Don
Ignazio è di spiriti ardenti: non ará indugiato fin adesso farli intendere che
piú non l'accetta per isposa.
Don Flaminio.
L'animo mio teme e spera: spera nel timore e teme nella speranza. Se ben desio
Leccardo ché mi porti felici novelle, pur temo qualche sinistro successo:
vorrei venisse presto, ché ogni indugio mi potrebbe apportar danno.
Panimbolo.
Ecco s'apre la porta e ne vien fuori.
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