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Giambattista Della Porta
Gli duoi fratelli rivali

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  • ATTO I.
    • SCENA II.   Don Flaminio giovane, Panimbolo suo cameriero.
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SCENA II.

 

Don Flaminio giovane, Panimbolo suo cameriero.

 

Don Flaminio. Panimbolo, quando vedesti Leccardo, che ti disse?

Panimbolo. Voi altri innamorati volete sentire una risposta mille volte.

Don Flaminio. Pur, che ti disse?

Panimbolo. Quel che suol dir l'altre volte.

Don Flaminio. Non puoi redirmelo? non vòi dar un gusto al tuo padrone?

Panimbolo. Cose di vento.

Don Flaminio. E udir cose di vento mi piace.

Panimbolo. Che Carizia non stava di voglia, che raggionava con la madre, che ci era il padre, che venne la zia, che sopraggionse la fantesca, che come ará l'agio parlará, fará, e cose simili. Ben sapete che è un furfante e che, per esser pasteggiato e pasciuto da voi di buoni bocconi, pasce voi di bugie e di vane speranze.

Don Flaminio. Io ben conosco ch'è un bugiardo: pur sento da lui qualche rifrigerio e conforto.

Panimbolo. Scarso conforto e infelice refrigerio è il vostro.

Don Flaminio. Ad un povero e bisognoso come io, ogni piccola cosa è grande.

Panimbolo. Anzi a voi, essendo di spirito cosí eccelso e ardente, ogni gran cosa vi devrebbe parer poca.

Don Flaminio. Il sentir ragionar di lei, di suoi pensieri e di quello che si tratta in casa, m'apporta non poco contento; e mi ha promesso alla prima commoditá darle una mia lettera.

Panimbolo. O Dio, non v'è stato affermato per tante bocche di persone di credito che non sieno persone in Salerno piú d'incorruttibil onestá di queste, e che invano spera uomo comprarse la loro pudicizia? né voi in tanto tempo che la servite ne avete avuto un buon viso.

Don Flaminio. Tutto questo so bene. Ma che vòi che faccia? non posso voler altro, perché cosí vuole chi può piú del mio potere.

Panimbolo. Chetatevi e abbiate pazienza.

Don Flaminio. La pacienza è cibo o de santi o d'animi vili.

Panimbolo. E voi amate senza goder al presente ciò né sperar al futuro.

Don Flaminio. Almeno, se non ama me, non ama don Ignazio, e non la possedendo io non la possiede egli. Quella sua onestá quanto piú m'affligge piú m'innamora: io non posso odiar il suo odio, godo del suo disamore. Ché s'alle pene ch'io patisco s'aggiungesse il sospetto di don Ignazio, sarebbono per me troppo aspre e insopportabili.

Panimbolo. Io dubbito che don Ignazio avendo tentata la via ch'or voi tentate ed essendoli riuscita vana, ch'or ne tenti una piú riuscibile.

Don Flaminio. Don Ignazio non vi pensa né la vidde.

Panimbolo. Son speranze con che ingannate voi stesso.

Don Flaminio. Facil cosa è ingannar un altro, ma ingannar se stesso è molto difficile. Io in quel giorno, perché non avea altro sospetto che di lui, puosi effetto ad ogni suo gesto e conobbi veramente che non s'accorse di lei: perché dove girava gli occhi, li girava io; dove mirava, mirava io; non diceva parola che non la volesse ascoltare; e accioché non s'accorgesse di lei, il tolsi dalla sala e il condussi allo steccato; e finito il gioco venne meco a casa, cenammo e ce n'andammo a letto e raggionammo d'ogni altra cosa che vedemmo quel giorno, eccetto che di quelle giovani. Ché s'egli si fusse accorto di sí inusitata bellezza, non l'arebbe tratto tutto il mondo da quello steccato, da quella sala, dalle sue faldi; e quando t'imposi che ti fussi informato chi fusse, usai la maggior diligenza del mondo ché non se ne fusse accorto. Io non sono cosí goffo come pensi. E se Leccardo, che abita in casa sua, n'avesse inteso altra cosa, non me l'arebbe referito?

Panimbolo. Il parasito Leccardo? state fresco, ché delle ventiquattro ore del giorno ne sta imbriaco o ne dorme piú di trenta. Vostro fratello tanto può star senza far l'amore quanto il cielo senza stelle o il mar senza tempesta.

Don Flaminio. Egli sta invaghito e morto della figlia del conte de Tricarico - ed io sono mezano del matrimonio e mi ci affatico molto per tôrmi da questo suspetto, - e m'ha dato parola che, volendo dargli quarantamila docati, sposaralla; ma egli non vol darne piú che trentamila.

Panimbolo. Come può starne invaghito e morto s'ella è brutta come una simia? né credo che la torrebbe per centomila; ed essendo egli di feroce e magnanimo spirito, poco si curarebbe di diecimila ducati, ché se li gioca in mez'ora. Ma dubbito che essendo gran tempo esercitato negli artifici della simulazione, che tutto ciò non dica per ingannarvi; e vi mostrarei per chiarissime congetture ch'egli aspiri a posseder Carizia.

Don Flaminio. Non piaccia a Dio che ciò sia! ché se per altre cortigianucce di nulla ci siamo azzuffati insieme, pensa tu che farebbomo per costoro; e questa ingiuria io la sopporterei piú volentieri da ogni uomo che da mio fratello.

Panimbolo. Egli da quel giorno della festa è divenuto un altro. Parla talvolta, sta malinconico, mai ride, mangiando si smentica di mangiare, dove prima mangiava per doi suoi pari, la notte poco dorme, sta volentieri solo, e standovi sospira, s'affligge e si crucia tutto.

Don Flaminio. Io ho osservato in lui tutto il contrario.

Panimbolo. Perché si guarda da voi solo; né mai lo veggio ridere o star allegro se non quando è con voi. Di piú, non è mai giorno che non passi mille volte per questa strada dinanzi alla sua casa.

Don Flaminio. Io non ve l'ho incontrato giamai.

Panimbolo. Deve tener le spie per non esservi còlto da voi; e quella arte, che voi usate con lui, egli usa con voi. Ma io vi giuro che quante volte m'è accaduto passarvi, sempre ve l'ho incontrato.

Don Flaminio. Oimè, tu passi troppo innanzi, mi poni in sospetto e m'ammazzi. Ma come potrei io di ciò chiarirmi?

Panimbolo. Agevolissimamente: subbito che l'incontrate, diteli che il conte è contento dargli li quarantamila scudi purché la sposi per questa sera; e se non troverá qualche scusa per isfuggir o prolungar le nozze, cavatemi gli occhi.

Don Flaminio. Dici assai bene; e or ora vo' gir a trovarlo e fargli l'ambasciata.

Panimbolo. Ascoltate: dateli la nuova con gran allegrezza e mirate nel volto e negli occhi, osservate i colori - ché ne cambierá mille in un ponto: or bianco or pallido or rosso, - osservate la bocca con che finti risi; in somma ponete effetto a tutti i suoi gesti, ché troverete quanto ve dico.

Don Flaminio. Cosí vo' fare.

Panimbolo. Ma ecco la peste de' polli, la destruzione de' galli d'India e la ruina de' maccheroni!

 

 

 




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