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Giambattista Della Porta
Gli duoi fratelli rivali

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  • ATTO II
    • SCENA III.   Carizia, Don Ignazio, Simbolo.
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SCENA III.

 

Carizia, Don Ignazio, Simbolo.

 

Carizia. Signor don Ignazio, poiché Angiola mia zia mi fa fede della vostra onorata richiesta, io non ho voluto mancare dalla mia parte: eccomi, che comandate?

Don Ignazio. Io comandare, che mi terrei il piú avventurato uomo che viva, se fusse un minimo suo schiavo? Voi sète quella che sola avete l'imperio d'ogni mia voluntá, e a voi sola sta impor le leggi e romperle a vostro modo.

Carizia. Vi priego a spiegarmi il vostro desiderio con le piú brevi parole che potete.

Don Ignazio. Signora della vita mia - e perdonatime si ho detto «mia», ché dal giorno che la viddi la consacrai alla vostra cara bellezza, - io non desio altro in questa vita che essere vostro sposo: e perdonate all'ardire che presume tanto alto.

Carizia. Caro signore, io ben conosco la disaguaglianza de' nostri stati e la mia umile fortuna, a cui non lice sperar sposo sí grande di valore e di ricchezza come voi; però ricercate altra che sia piú meritevole d'un vostro pari, e lasciate me poverella ch'umilmente nel mio stato mi viva. La mia sorte mi comanda ch'abbia l'occhio alla mia bassa condizione. So che lo dite per prendervi gioco di me: la mia dote e la mia ricchezza s'inchiude nella mia onestá, la quale inviolabilmente nella mia povertá custodisco.

Don Ignazio. Troppo suntuosa è la vostra dote, signora, la quale quanto piú dimostrate sprezzarla piú l'ingrandite; le vostre ricchezze sono inestimabil tesoro di tante peregrine virtú, le quali resiedeno in voi come in suo proprio albergo: meriti ordinari si possono con le parole lodare, ma i gradi infiniti si lodano meravigliando, e con atti di riverenza tacendo si riveriscono. Ma voi lo dite accioché io n'abbia scorno, ché troppo povero mercante a cosí gran fiera compaia per comprarla: e veramente meritarei quel scorno che mi fate, se non venissi ricchissimo d'amore, ché non basta comprarse l'infinito valore de' vostri meriti se non con l'infinito amore che le porto.

Carizia. So che in una mia pari non cadono tanti meriti; e per non poter trovar parole condegne per risponderli, vi risponde tacendo il core.

Don Ignazio. Signora, ecco un anello nel cui diamante sono scolpite due fedi: tenetelo per amore e segno del sponsalizio. Il dono è picciolo ben sí; ma si considerate l'affetto di chi lo dona, egli è ben degno di lei.

Carizia. Il dono è ben degno di lui; nondimeno..., ma ben sapete che il rigor dell'onestá delle donzelle non permette ricever doni.

Don Ignazio. Signora, non fate tanto torto alla vostra nobiltá né tanto torto a me: rifiutar il primo dono di un sposo. Accettatelo, e se non merita cosí degno luogo delle vostre mani, poi buttatelo via.

Carizia. Orsú accetto e gradisco il vostro dono e me lo pongo in dito; e non potendo donarvi dono condegno - ché nol consente la mia povertá, - vi dono me stessa, ché chi dona se stessa non ha magior cosa da donare; e questo anello come cosa mia ve lo ridono in caro pegno della mia fede.

Don Ignazio. Accetto l'anello e accetto l'offerta della sua persona; e se ben ne sono indegno, amar mi sforza ad accettarla. In ricompensa non so che darle se non tutto io; e se ben disseguale alla sua grandezza, accettatelo come io ho accettata la sua persona.

Carizia. Comandate altro?

Don Ignazio. Vi priego a trattenervi un altro poco, accioché gli occhi mei abbino il desiato frutto di lor desiderio.

Carizia. I prieghi de' padroni son comandi a' servi; e se ben i rispetti delle donzelle non patiscano tanto, pur per un marito si deveno rompere tutti i rispetti. Eccomi apparecchiata a far quanto mi comandate.

Don Ignazio. Cara padrona, mi basta l'animo solo. So ben che la mia richiesta sarebbe a voi di poco onore: mi contento che ve n'entriate, pregandovi che in questo breve spazio, che non siamo nostri, di far buona compagnia al mio core che resta con voi né si partirá da voi mai; e ricordatevi di me.

Carizia. Non ricordandomi di voi, mi smenticarei di me stessa.

Don Ignazio. Amatemi come amo voi.

Carizia. Troppo vile e indegna è quella persona che si lascia vincere in amore; e se piacerá a Dio che siamo nostri, allora faremo contesa chi amerá piú di noi, ed io dalla mia parte non mi lasciarò avanzare da voi. Adio.

Don Ignazio. Ecco tramontata la sfera del mio bel sole, che sola può far sereno il mio giorno. O fenestra, è sparito il tuo pregio. O Dio, che cosa è nel cielo che sia piú bella di lei, se splendori, sole, luna, stelle e tutte le bellezze del cielo son raccolte nel breve giro del suo bel volto? Ahi, ché se prima ardea, or tutto avampo: ché per non averla tanto tempo vista i carboni erano sopiti sotto la cenere, or per la sua vista han preso vigore, m'hanno acceso nell'alma un tal incendio che son tutto di fuoco.

Simbolo. Poiché sète sazio della sua vista, partiamoci.

Don Ignazio. Che sazio? Gli occhi miei, in cosí lungo digiuno assetati, nel convivio della sua vista se l'han bevuta di sorte che son tutto ebro d'amore. Anzi questo convito mi è paruto la mensa di Tantalo, dove quanto piú bevea men sazio mi rendeva e piú ingordo ne diveniva; anzi nel piú bel godere è sparita via, ed io mi sento piú assetato che mai; anzi mi par ch'ancor mi sieda negli occhi, e ci sento il peso della sua persona. O alta possanza di celesti bellezze!

Simbolo. Se vi dolete per troppa felicitá, che farete nelle disgrazie?

Don Ignazio. Questa felicitá mi dá presagio di mal piú acerbo; ché amandola non riamato, quanto l'amarò riamato? piú m'infiammarò di quel desiderio di cui sempre son stato acceso. Ma dimmi, che ti par di lei?

Simbolo. Ella è non men bella di dentro che di fuori: mirate con che bel modo non ha voluto accettar il vostro dono né rifiutarlo; e se il dono era magnifico e reale, ella è stata piú magnifica e reale a non lasciarsi vincere da tanta ingordiggia.

Don Ignazio. Simbolo, sapresti indovinar in qual parte della casa ella sia?

Simbolo. Che posso saper io?

Don Ignazio. Non vedi? lá dove l'aria è piú tranquilla e tutto gioisce, ivi è la sua persona.

Simbolo. Ah, ah, ah! - Ecco don Flaminio, state in cervello.

 

 

 




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