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Giambattista Della Porta
Gli duoi fratelli rivali

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  • ATTO II
    • SCENA VII.   Polisena moglie, Eufranone.
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SCENA VII.

 

Polisena moglie, Eufranone.

 

Polisena. (Veggio il mio marito su l'uscio, piú del solito allegro). Gentil compagno mio, che ci è di nuovo?

Eufranone. Buone novelle.

Polisena. Ma non per noi.

Eufranone. Perché no?

Polisena. Perché siamo cosí avezzi alle sciagure che, volendoci favorir la fortuna, non trovarebbe la via.

Eufranone. Abbiam maritata Carizia.

Polisena. Eh, e con chi? con quel dottor della necessitá, nostro vicino?

Eufranone. Con un meglior del dottore.

Polisena. Con quel capitan Martebellonio bugiardo vantatore?

Eufranone Con un gentiluomo.

Polisena. Quel gentiluomo poverello che ce la chiese l'altro giorno? E che val nobiltá senza denari? avete l'esempio in noi.

Eufranone. Non l'indovinaresti mai.

Polisena. Dimmelo, marito mio, di grazia: non mi far cosí struggere di desiderio.

Eufranone. Non vo' farti piú penare. Con don Ignazio di Mendozza.

Polisena. Quel nipote del viceré della provincia, che combatté quel giorno con i tori?

Eufranone. Con quell'istesso.

Polisena. Egli è possibile, marito mio, che tu vogli cosí beffarmi e rallegrarmi con false allegrezze? Il caldo del piacere, che giá mi scorrea per tutte le vene, mi s'è raffreddato e gelato.

Eufranone. Giuro per la tua vita, cosí a me cara come la mia, che lo dico da senno.

Polisena. E chi ha trattato tal matrimonio?

Eufranone. Egli istesso; né ha voluto partirsi da me se non gli la prometteva.

Polisena. Quando egli la vidde mai?

Eufranone. Quel giorno che fu la festa in Palazzo.

Polisena. O somma bontá di Dio, quanto sei grande! e quanto sono secreti i termini per i quali camini, quando ti piace favorir i tuoi devoti! Tu sai, marito mio, che Carizia appena va fuor di casa il natale e la pasqua, cosí per l'incommoditá delle vesti come che è di sua natura malinconica; e se quei giorni che si preparava la festa, le venne un disio che mai riposava la notte e il giorno, pregandomi che vi la conducessi; e ributtandola io che non avea vesti e abbegliamenti da comparir tra tante gentildonne sue pari, se disse che le volea tôrre in presto dalle sue conoscenti, da chi una cosa e da chi un'altra. Ce lo promisi, tenendo per fermo che a lei fusse impossibile tanta manifattura: s'affaticò tanto con le sue amiche che accommodò sé e Callidora. Or io, non potendo resistere a tanti prieghi, chiesi licenza a voi e ve la condussi. Or chi arebbe potuto pensare che indi avea a nascere la sua ventura?

Eufranone. Chi può penetrar gli occulti segreti di Dio?

Polisena. O Iddio, che mai vien meno a chi pone in te solo le sue speranze? Ella si è sempre raccomandata a te, e tu li hai esaudite le sue preghiere, rimunerata la sua bontá e l'ubidienza estraordinaria che porta al suo padre e sua madre.

Eufranone. Ho tanto giubilo al core che mi trae di me stesso.

Polisena. Se ben i padri s'attristano al nascer delle femine, con dir che seco portano cattivo augurio di certa povertá e di poco onore; pur son state molte che hanno inalzato il suo parentado, come speriamo di costei.

Eufranone. Ella è una gran donna; e non m'accieca la benda del soverchio amore. Mai si vide tanta saviezza e bontá in una fanciulla.

Polisena. Vorrei dir molto delle sue buone qualitá che voi non sapete; ma le lacrime di tenerezza non me lo lasciano esprimere.

Eufranone. Va' e poni lei e la casa in ordine.

Polisena. E con che la ponemo in ordine?

Eufranone. Ecco genti cariche di robbe. Ho per fermo che le mandi don Ignazio: conosco il suo cameriero.

 

 

 




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