Signori,
Tra le tante buone e cattive cose che
veggiamo ai tempi nostri va certamente notata la somma facilità con la quale
gli uomini discorrono ed emettono su di ogni cosa i giudizi loro, che sono
perciò spessissimo erronei. Il che nasce dalla ignoranza delle cose delle quali
essi giudicano, per cui spesso mi sento dire il tale conosce bene la lingua, il
tal altro è un gran botanico o un sommo astronomo, l'uomo discende dalle
scimmie, da chi dice e scrive ferrovia, reddito, decessi, per
istrada ferrata, rendita e morti, da chi non sa distinguere la malva
dall'avena, Giove da Sirio; da chi non sa quanto diverso sia il piano di
struttura dell'uomo da quello di un Orang-utang o di un Gorilla, e come in
quello ogni cosa miri alla intelligenza ed in questi alla natura loro ferina.
Cagione principalissima di tale ignoranza
è il mal vezzo del nostro secolo della lettura quotidiana delle gazzette, delle
quali moltissimi fanno solo pascolo della mente loro e la mancanza perciò di
forti e profondi studi, massime nelle scienze fisiche e naturali, le quali
dovrebbero essere base principale dell'insegnamento e della educazione sin
dalla più tenera età, dappoichè oltre alla necessità di conoscere le cose che
d'ogni intorno ci circondano e che sono per noi sorgente di beni e di mali, è
nello studio della natura la vera pietra di paragone per fare retti i giudizî
nostri, senza di che noi saremo sempre nel falso, prenderemo come suol dirsi
lucciole per lanterne, e daremo importanza ad uomini e cose che meriterebbero
di essere tenuti a vile o disprezzati. A me gode l'animo quando vedo una madre
accompagnare i suoi bambini nelle sale del nostro Museo per insegnare loro a
conoscere la tigre, l'aquila o la conchiglia della perla, non tanto per la
cognizione che quelli acquistano di quegli animali, quanto perchè vedo
stamparsi in quelle giovani menti idee certe e positive, e che a poco a poco
gioveranno a rettamente giudicare.
A. questo nobile fine a me pare debbano
più di ogni altra cosa mirare le lezioni che son dette popolari perchè fatte
per il popolo, nel quale è sventuratamente ignoranza del vero, e maggiore
perciò la facilità di cadere in erronei giudizi. È dovere dei professori di aprire
a lui la mente, di allontanare gli errori e i pregiudizi, d'insegnare le sane
dottrine, figlie della esperienza e dei fatti. Ed io son lieto di manifestare
come a questo fine hanno appieno corrisposto e corrispondono, non solo nelle
lezioni popolari, ma nelle lezioni ordinarie, gli egregi uomini che mi onoro di
avere a colleghi, i quali, ripudiando le ipotesi lusinghiere che altri
facilmente accoglie per farsi un nome che non saprebbe in altro modo
acquistarsi, espongono i sani principi e si palesano in questo Museo degni
eredi delle gloriose tradizioni di Galileo e della Accademia del Cimento.
Più volte andando per la campagna, per la
raccolta e lo studio delle piante, mi è venuto fatto di domandare ai contadini,
ad uomini del volgo, a che servono le foglie delle piante? Chi mi ha risposto a
far ombra, chi a darle a mangiare alle bestie; e quando ho ripreso, ma vi
domando perchè le piante hanno le foglie? Tutti mi hanno sempre risposto:
Signore, non lo so; io non ci ho mai pensato. La qual cosa mi sono sentito
anche rispondere dagli abitatori delle città, per cui ho creduto di farne il
tema di questa lezione, nella quale, come ognuno ben intende, parlerò della
parte che le foglie hanno alla vita delle piante, ossia della respirazione di
queste, in modo assai diverso di quello con il quale io soglio di tali cose
trattare in uno degli anni delle mie lezioni, in quello in cui ho l'onore di
svolgere la fisiologia vegetale.
La ignoranza in cui l'uomo del volgo è
delle funzioni delle foglie fu per lungo correre di secoli divisa anche dagli
uomini dotti, i quali tutto al più come Hales, autore della famosa Statica
delle Piante, vagamente accennavano all'azione che le foglie dovevano avere
sui liquidi introdotti nelle piante. Soltanto nell'anno 1784 il ginevrino
Bonnet, celebre autore del libro Della contemplazione della Natura, ebbe
a sospettare che vi fosse nelle piante una respirazione, poichè mettendo sotto
acqua alcune foglie di vite vide svolgersi da esse alcune bollicine d'aria
simili alle perle, più nella pagina inferiore che nella superiore delle foglie
medesime, di giorno e non di notte; ma anzichè considerare quelle bollicine
come formate dalle piante, credette che venissero dall'acqua. Egli fu lì lì per
iscoprire la respirazione delle piante; ma, come spesso suole a chi fa i primi
passi in un campo nuovo, rasentò, senza fare, quella scoperta. Della qual cosa
è da dare principalissima cagione alla infanzia in cui erano a quel tempo la
chimica e l'anatomia vegetale, che appena forse meritavano allora il nome di
scienze.
Grande era l'ignoranza che si aveva in
quel tempo dell'aria come di tutti i gas, e, dirò pure, di tutti i corpi della
natura. Da pochi anni appena Enrico Cavendish, duca di Devonshire, che dovrebbe
servire di esempio a coloro che hanno sortito dalla natura nobilissima stirpe e
ricchissime sostanze, aveva meglio dei suoi predecessori distinte come diverse,
ciascuna con proprietà particolari, – l'aria che viene dalle latrine e si
svolge dalla fermentazione dei liquori spiritosi, che spegne i lumi e ammazza
gli animali, ed ha un peso specifico maggiore di un terzo di quello dell'aria
atmosferica, per cui si trova nei luoghi bassi, – e l'aria leggiera che si alza
verso la volta delle gallerie delle miniere, che s'infiamma e cagiona talvolta
forti esplosioni: alla prima, che noi chiamiamo ora gas acido carbonico, i
dotti davano allora il nome di aria fissa, e alla seconda, che diciamo
gas idrogeno, quello di aria infiammabile.
Era questo il primo passo che
doveva aprire una via feconda di grandi scoperte. Un altro illustre inglese,
Giuseppe Priestley, volendo studiare meglio gli effetti di quelle arie sopra
gli animali e tutte le circostanze nelle quali queste si manifestano, ebbe
presto ad accorgersi che in molte combustioni, e massime nella calcinazione dei
metalli, l'aria dove seguivano tali fenomeni era alterata senza che vi fosse
stato svolgimento di aria fissa o di aria infiammabile; egli potè scoprire una
terza specie di aria o di gas, anch'essa nociva, che chiamò aria
flogisticata, e che noi diciamo gas azoto.
Molte erano dunque le cagioni che
alteravano l'aria; la combustione, la fermentazione, la respirazione, la
putrefazione e via dicendo, poichè svolgevano ora aria fissa, ora aria
infiammabile, ora aria flogisticata; l'aria atmosferica pertanto continuava ad
essere pura, a sostenere la respirazione degli animali e la combustione dei
corpi combustibili. Era necessario perciò di trovare la sorgente della purità
dell'aria, i corpi che ridanno a questa ciò che ad essa tolgono la
respirazione, la combustione, la fermentazione ed ogni altro processo che la
corrompe. E Priestley ebbe la fortuna di scoprire questa aria pura che mantiene
la respirazione e la combustione, ch'egli chiamò aria deflogisticata e che
noi chiamiamo gas ossigeno, e la cui sorgente è in gran parte nelle piante.
Mettendo queste infatti in un vaso chiuso, dove l'aria sia già corrotta, egli
vide che quelle davano a questa la purità di prima, in modo che introdotta una
candela spenta di poco questa si accendeva e dava una luce chiara e brillante.
Osservò pure che le piante vegetano meglio nei luoghi di un'aria purissima o
deflogisticata, dal che dedusse che gli animali e le piante si prestano, come
tra poco meglio vedremo, uno scambievole aiuto, e che le esalazioni degli uni
sono vita e nutrimento per gli altri.
Tale scoperta, che ha
reso immortale il nome di Priestley, fatta nel mese di marzo dell'anno 1775 e
pubblicata nelle sue celebri osservazioni sulle arie, destò, come era da
aspettarsi, l'ammirazione di tutti i dotti e segnò un'êra nuova nella storia
delle scienze fisiche e naturali. Tutte le arie diverse dall'aria atmosferica spegnevano
i lumi, l'aria deflogisticata li faceva brillare di una luce vivissima; nelle
altre arie perivano gli animali, questa li faceva rivivere se caduti asfittici
di poco e dava loro una forza e una vivacità straordinaria. Per un momento,
scrive Cuvier nell'elogio di Priestley, fu creduto di avere in mano un nuovo
mezzo di eccitare e di prolungare forse la vita, o una medicina almeno contro
quasi tutte le malattie dei polmoni.
Tra i dotti che più si accinsero allo
studio dei fatti, annunziati in modo generale da Priestley, va qui ricordato
l'americano Ingenhousz, dimorante allora in Londra, il quale volle tentare di
conoscere meglio l'azione delle piante nella produzione dell'aria
deflogisticata, e con una serie di esperienze pubblicate nell'anno 1779, e più
estesamente in una seconda edizione in francese nell'anno 1787, spinse assai in
là la cognizione dell'importante fenomeno della respirazione delle piante. Egli
scoperse infatti che questo fenomeno dipende da un'azione che le piante hanno
sull'aria atmosferica, in modo che una parte di questa è assorbita ed è esalata
l'altra più pura; che esso siegue soltanto nelle parti verdi delle piante e più
nelle foglie e nella pagina inferiore di queste, e ciò per la presenza della
luce, mentre al contrario le piante all'ombra e nella notte, lungi di
purificare corrompono l'aria, come fanno giorno e notte le parti delle piante o
le piante non verdi, come tuberi, radici, fiori, funghi e altre simili. Il
fenomeno, quantunque fosse già conosciuto nelle sue parti, non era ancora noto
nella sua essenza, perchè s'ignorava tuttavia in che consistesse quell'azione
delle piante sull'aria, se esse ne scomponessero o no i principî e quale di
questi principî. Nè questa azione poteva essere conosciuta senza la scoperta
degli elementi che compongono l'aria, e della natura di questi elementi. La
quale scoperta è dovuta a Lavoisier, a quell'uomo che ha più di ogni altro
fatto mutar faccia, e si può dire innalzata la chimica al grado di scienza, a colui
che l'illustre chimico Dumas non teme di considerare come il più grande uomo
che nelle scienze abbia mai prodotto la Francia, e che pure i suoi concittadini non esitarono di far perire sul palco infame, in un periodo di grande
sconvolgimento di principî e d'idee, in cui, come accade sempre in simili
tempi, non si rispettarono le cose più sacre e le maggiori glorie della patria.
A Lavoisier noi dobbiamo la scoperta della proprietà dell'aria deflogisticata di
generare la maggior parte degli acidi, chiaramente a lui dimostrata dalla formazione
dell'acido solforico e fosforico, per cui egli chiamò gas ossigeno o generatore
degli acidi quell'aria che alcuni, anche dopo Priestley, chiamavano pure aria
vitale. A lui dobbiamo la scoperta della composizione dell'aria che egli
scompose nei suoi elementi, ossigeno ed azoto, e ricompose dipoi con il
miscuglio di essi. Restò così ancora conosciuta la composizione dell'aria fissa
o gas acido carbonico di essere un corpo composto di ossigeno e di carbonio. Con
la fiaccola di tali scoperte Lavoisier rischiarò la respirazione animale nella
quale è formazione di gas acido carbonico, funzione in cui egli credette di
scorgere un fenomeno simile all'ossidazione, per cui il sangue da venoso o
rosso scuro si cangia in arterioso o rosso vivo. Senebier studiò la respirazione
vegetale e fu primo a dimostrare che l'ossigeno esalato dalle piante e che si
mostra come tante bollicine nella pagina inferiore delle foglie delle piante messe
sotto acqua ed esposte all'azione della luce è il prodotto della scomposizione
che le piante fanno durante il giorno del gas acido carbonico dell'aria
atmosferica, e che queste perciò fissano allora il carbonio ed esalano
l'ossigeno al contrario della notte, in cui come le parti non verdi anche di
giorno esalano gas acido carbonico dell'aria atmosferica. La scoperta degli stomi
e delle cavità pneumatiche delle piante, le molte esperienze dei chimici e dei
fisiologi sull'azione delle foglie sull'aria hanno messa in chiara luce la
importantissima funzione della respirazione delle piante.
Forse taluno si maraviglierà che siano
dovuti correre molti secoli prima che un fenomeno tanto importante fosse
conosciuto. Ma le scienze fisiche e naturali non sono cose tanto basse e vili
come alcuni credono di considerarle. E questo dico, perchè spesso sento dire e
ripetere che la botanica e la zoologia sono scienze di memoria, e il maggior
complimento che si fa a un naturalista è quello di dirgli: Ella ha una gran
memoria; quasi che la scienza consistesse nel sapere e rammentare i nomi di
tutte le piante e di tutti gli animali. La colpa è in parte dei naturalisti
medesimi, che per lungo tempo, e doveva essere così, hanno fatto consistere
tutto lo studio della storia naturale nella cognizione del nome di una pianta e
di un animale; sventuratamente è così ancora di molti che fanno della botanica
come la facevano nei secoli decorsi Dalechampio, o Mattioli. Ristretti alla
meschina cognizione della pianta o dell'animale che essi distinguono per una
tale o tal'altra particolarità, non osano entrare nel vero campo della scienza,
e contenti di dare un nome nuovo spesso ad una semplice forma o varietà di un
ranuncolo o di una rosa, di una lucertola o di una tignola, credono di passare
per questo agli occhi dei dotti come botanici o come zoologi; essi non sono
veri scienziati; a me paiono come i suonatori di flauto o di violino che fanno
le variazioni sui loro strumenti, ma non sono i maestri che sanno metter
d'accordo gli strumenti per fare una sinfonia o un'opera musicale. Più volte mi
son sentito dire che i naturalisti sono da meno degli altri dotti, dei
letterati e degli artisti, giudizi al solito fatti da persone che non conoscono
le scienze naturali, e perciò falsi, ai quali io soglio rispondere che se le
lettere e alcune delle arti belle salirono a gran perfezione presso gli antichi
greci e romani o nel principio dei tempi moderni, non è così delle scienze
fisiche e naturali, le quali, se si eccettui forse l'astronomia che vanta nell'antichità
i nomi d'Ipparco, di Tolomeo e di El Mahoum, e giunse ad altissimo seggio per
le scoperte di Copernico, di Keplero, di Galileo e di Newton, sono per la
massima parte nate sul cadere del secolo passato o nel principio di questo, la
qual cosa dimostra quanto sia cosa difficile di leggere in questo libro della
natura, che pur gli uomini hanno dinanzi a loro da che mondo è mondo e che si
compone di geroglifici per chi non sa con occhio osservatore afferrare la
chiave della loro spiegazione. La dottrina dei quattro elementi di Aristotile,
il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra, con l'aggiunta o la sostituzione di un
quinto elemento figlio dell'ipotesi, la quintessenza di Paracelso e il flogisto
di Stabl, è durata per circa 22 secoli sino a Cavendish, a Priestley, a
Scheele, a Lavoisier, che hanno con le loro scoperte fatto conoscere la
composizione dei corpi, dell'aria, dei gas, dell'acqua, delle terre, fondata la
chimica e aperta una nuova via a tutte le scienze fisiche e naturali.
Dalla storia che ho brevemente fatta
della respirazione delle piante ognuno ha potuto rilevare una cosa essenziale a
quella funzione, il contatto cioè delle foglie con l'aria e con la luce. I
liquidi che le estremità delle radici tirano dalla terra salgono nel fusto e
nei rami e da questi passano nelle foglie. Per agevolare e per estendere questo
contatto i fasci fibrosi avvicinati tra loro nel fusto, nei rami e nel picciòlo
o gambo della foglia, si allontanano poi per divergere e formare con la costola
e con i rami e rametti, di questa, che noi chiamiamo nervi, nervetti e venette,
ciò che i botanici chiamano scheletro della foglia, che è a guisa di un albero
o se si vuole anche di una rete le di cui maglie sono piene di un tessuto
celluloso; così si forma questa parte larga che i botanici chiamano la lamina
della foglia. Tale tessuto è il parenchima, diverso nella parte che
corrisponde alla pagina superiore e nell'altra che corrisponde all'inferiore, e
quasi formato di due strati distinti. Lo strato superiore si compone di cellule
bislunghe, ottuse, fitte, perpendicolari, con pochi o punto spazî tracellulari o
meati; l'inferiore risulta al contrario di cellule irregolari, spesso ramose,
le quali lasciano tra loro spazi maggiori o cavità che si dicono pneumatiche
perchè sono piene di aria: si può dire quasi un tessuto spugnoso o cavernoso il
quale fa sì che la pagina inferiore della foglia è sempre o quasi sempre di un
colore più pallido della superiore, alla quale, come ho detto, corrisponde un
tessuto più fitto. A tali cavità corrispondono alcune aperture o boccucce che
si chiamano stomi, formati da due cellule a guisa di un fagiuolo che si
corrispondono con la parte concava; stomi che per lo più mancano o sono pochissimi
nella pagina superiore e in gran numero nella inferiore, tantochè in alcune
piante se ne contano in questa molte migliaia e diecine di migliaia e pochi o
punto in quella. Tali stomi stanno nell'epidermide, strato sottile di cellule
spesso sinuose e ondeggianti, da cui partono, quando vi sono, i peli delle
piante e che è coperto di fuori dalla cuticola, sottilissimo velo formato da una
sostanza gelatinosa che con la macerazione si stacca, come vedete nel pezzo che
qui vi mostro e che appartiene alla Jucca gloriosa, mostrando i fori che
corrispondono agli stomi e dei prolungamenti a guisa di diti di un guanto che
cuoprono i peli. Singolare produzione che ha per iscopo d'impedire il soverchio
svaporamento dell'acqua nelle foglie e l'azione soverchia di un'aria calda e
secca su queste, per cui è molto grossa nelle piante grasse che devono vivere
principalmente nell'arene dei deserti e nelle terre caldissime della zona
torrida.
La
estensione a della lamina delle foglie, la distribuzione delle cellule e le
cavità pneumatiche nella parte inferiore di queste sono condizioni propizie a
favorire ed estendere meglio il contatto dell'acqua, giunta alle foglie, con
l'aria, e con la luce, ma ciò non bastava per i bisogni della nutrizione e
della vita delle piante. Bisognava estendere questa superficie di contatto,
favorire questo in tutti i punti di una pianta. Per questo oggetto in ciascuna
pianta sono molte foglie e queste in tanto maggior numero quanto sono più
piccole, ed il fusto è spessissimo verticale e i rami ora più ora meno aperti,
perchè le foglie da essi sostenute sieno meglio esposte all'azione dell'aria e
della luce. A questo fine pure le foglie non sono distribuite a caso sulla
pianta, ma con mirabile previdenza esse formano una spira in guisa che l'una
sta sempre nel fusto o nel ramo a qualche distanza dall'altra. Vi è una parte
matematica o, se vuolsi dire, geometrica della scienza che studia la
distribuzione delle foglie e delle brattee e scaglie sulle piante, nella quale,
come ognuno comprende, io non posso entrare stamane per la brevità del tempo
concessomi, ma non posso fare a meno di notare che in generale la prima foglia
corrisponde nel fusto alla sesta, essendo necessarî due giri di spira e cinque
foglie, per cui la frazione è di 2/5, stando il
numeratore ad indicare il numero dei giri ed il denumeratore quello delle
foglie. In altre piante è la frazione 5/13, 8/21,
perchè per trovare una foglia che corrisponda alla prima nello stesso lato del
fusto o del ramo è necessario di fare 5 o 8 giri con 13 o 21 foglie. Di tali
mirabili distribuzioni di foglie vi sieno d'esempio quelle che qui vi mostro di
alcune specie di Aeonium, piante grasse che vivono nelle rupi vulcaniche
delle isole Canarie. Nè questo è tutto. La lamina delle foglie è spesso con
smerli, con lobi, divisa in lacinie ora più ora meno profonde nelle foglie, che
i botanici chiamano semplici, e in foglioline in quelle che essi chiamano composte
e sopracomposte, nelle quali cioè ciascuna divisione della lamina ha un piccolo
gambo o picciòlo proprio; mentre questa lamina è sempre continua nei lobi o
nelle lacinie delle foglie semplici. In altre piante poi la lamina che sarebbe
grandissima si lacera nello stato adulto, donde risultano ancora delle lacinie,
nei margini-o nei seni delle quali si vedono le fibre rimaste spesso
sole per quelle lacerazioni, come si vede nelle Banane e nelle Palme,
lacerazioni, divisioni in lobi, in lacinie e in foglioline che non hanno altro
scopo fuorchè quello di favorire il libero passo alle foglie dell'aria e della
luce, che sarebbe stato in quel caso impedito o reso difficile per la larghezza
e la vicinanza di una foglia all'altra.
Ma come siegue la respirazione delle
piante? Per ben intenderla è necessario che io richiami qui alla memoria vostra
come, per le analisi fatte dapprima da Humboldt e da Gay-Lussac, poi da Boussingault
e Dumas, da Regnault e da molti altri, in cento parti di aria atmosferica sono
circa 21 di ossigeno, 79 di azoto e una piccolissima parte di gas acido
carbonico, meno di un centesimo, la quale, quantunque sia tanto piccola in
cento parti di aria, è però grandissima nella massa dell'atmosfera, poichè
questa contiene 1500 bilioni di chilogrammi di carbonio, più del carbonio di
tutte le piante. È importantissimo di notare che tali proporzioni sono
invariabili in ogni punto e a qualunque altezza della terra. Il famoso chimico
Berthollet che accompagnò Napoleone in Egitto e fu capo della Commissione dei
dotti che resero anche per le scienze tanto memorabile quella spedizione, ebbe
il felice pensiero di raccogliere l'aria sul fiume del Nilo e di farne
l'analisi, per la quale conobbe che essa aveva la stessa composizione di quella
di Parigi. Un tal fatto, già in parte sospettato prima di lui, ebbe dipoi una
solenne conferma, massime per i viaggi di Humboldt e di Boussingault per le
Ande dell'America. Oramai è noto che tanto l'aria raccolta da Gay-Lussac a
circa 7000 metri sul livello del mare, quand'egli il dì 16 di settembre
dell'anno 1804 giunse con il pallone a tanta altezza dove non era mai arrivato
alcun uomo prima di lui, quanto quella del Chimborazo o di altro altissimo
monte delle Ande di Quito, quanto infine quella delle cime delle nostre Alpi,
ha sempre la composizione dell'aria che è nei luoghi bassi o alla superficie
stessa dei mari, dappoichè le proporzioni dei gas che la compongono sono sempre
le medesime. Da che dipende dunque questa maravigliosa invariabilità dei
principî dell'aria? Dipende dalla respirazione delle piante, imperocchè queste
durante il giorno scompongono il gas acido carbonico dell'aria atmosferica,
fissano il carbonio ed esalano l'ossigeno. Senza esporre qui le tante
esperienze che si sono fatte da circa un secolo per dimostrare la verità di
questo fatto, la qual cosa sarebbe contraria alla natura di questa lezione,
dirò che per accertarcene basta mettere una pianta dentro una campana senza
rinnovare l'aria e fare l'analisi di questa dopo qualche tempo: allora si trova
che l'aria ha perduto del carbonio ed ha più ossigeno, e che questa perdita di
carbonio ed aumento di ossigeno è nelle proporzioni per formare il gas acido
carbonico. Le piante di giorno respirano così diversamente degli animali.
Questi tolgono all'aria l'ossigeno e le danno gas acido carbonico, quelle
scompongono il gas acido carbonico e le ridanno l'ossigeno: i primi sono
macchine di consumo, le seconde di riparazione. Così i principî dell'aria si
mantengono sempre nelle medesime proporzioni, dal che nasce che animali e
piante non possono vivere gli uni senza delle altre, avendo le piante bisogno
di vivere nell'aria corrotta dagli animali, ai quali è necessaria l'aria
purificata da quelle. Circolo maraviglioso che alimenta e sostiene la vita di
tutti gli esseri, che fa che nessuna pianta, nessun fil d'erba è inutile
nell'armonia del creato, che rende utile anche ai paesi lontani l'aria, resa
pura dalle foreste vergini della zona torrida; circolo maraviglioso senza di
cui il nostro pianeta sarebbe deserto, squallido e muto, senza alcuna voce di
animale, senza alcun agitare di fronda.
Grande
è dunque il benefizio delle piante per la respirazione loro durante il giorno,
dal che ognun vede di quanta utilità sieno i giardini in mezzo alle grandi e
popolose città e la vicinanza dei boschi ai luoghi abitati. Ma tale benefizio è
soltanto, ripeto, durante il giorno, per la presenza della luce, perchè durante
la notte o di giorno all'ombra, e per ombra intendo un'ombra molto grande, le
piante respirano come gli animali, togliendo all'aria l'ossigeno e dando ad
essa gas acido carbonico. E quantunque la porzione di questa sia piccolissima
di fronte a quella che esse scompongono nel giorno alla luce, pure non è bene
di andar la sera per i giardini o di respirare l'aria dei boschi. Tale
esalazione di gas acido carbonico fanno pure anche di giorno le parti non verdi
delle piante, come i fiori, le frutta, le radici, i tuberi, massime di notte,
per cui è nocivo il tenere in una camera molti fiori durante la notte, o il
respirare l'aria di uno stanzino in cui si tengano molte mele o molte pere,
come noi le conserviamo per farle maturare a poco a poco. La stessa cosa deve
dirsi delle piante che non sono verdi, della Cuscuta o fiamma, che a
guisa di fili avvolge in modo inestricabile il trifoglio ed altre erbe e piante
dei prati e delle siepi, del succhiamele, Orobanche caryophyllacea, che
cagiona la distruzione delle nostre fave, e di altre Orobanche che
nascono sulle radici delle Ginestre, dell'Ellera e via dicendo, come pure dei
Funghi, le quali piante non hanno foglie e non scompongono il gas acido
carbonico dell'atmosfera e non danno perciò ossigeno nè prendono carbonio, anzi
esalano gas acido carbonico e sono tutte parassite, perchè non possono fare dei
succhi nutritivi, cui hanno perciò di bisogno di ricevere da altre piante.
Tutte queste parti e queste piante perciò non si colorano in verde ma sono
bianchiccie o gialliccie, e non fissando il carbonio che dà la consistenza, la
solidità alle piante, sono molli e carnose e non dure e legnose. Ne abbiamo una
prova facendo germogliare al buio il grano ed altri semi di graminacee: allora
si hanno delle pianticine di grano bianchiccie e scolorite, come le veggiamo
nei sepolcri della settimana santa: bianche e molli sono le foglie interne
della lattuga, dell'endivia, dei cavoli che non vanno in contatto con la luce e
non respirano perciò come le foglie esterne di tali piante, che sono verdi e
più consistenti; e bianche e molli facciamo che siano le foglie interne della
Palma del dattero, perché le leghiamo in alto della pianta per privarle così
della luce, per farle servire all'uso di Palmizî. Più le piante sono esposte
alla luce e più non solo si colorano in verde, ma il loro tessuto è
consistente, il loro legno è più duro, perchè meglio e più abbondantemente si
fissa il carbonio, principio solido delle piante medesime; per cui nella zona
torrida, dove la luce è abbondante ed ugualmente distribuita in dodici ore di
giorno e dodici ore di notte, le piante hanno le foglie dure e consistenti
quasi come cuoio e il legno più compatto e più peso: dalla zona torrida infatti
vengono i legni più forti e più pregati per la stipetteria, il magogano, il
palisandro, l'ebano, il legno di ferro, per tacere di tanti altri. A questa
maggiore fissazione di carbonio si deve pure l'abbondanza colà delle scorze
medicinali, degli aromi e delle spezie, del chinino, della cannella, dei
garofani, del pepe, della noce moscada, dello zenzero, della curcuma e via
dicendo.
Tale fissazione di carbonio fu prodigiosa
nei tempi antichissimi del nostro pianeta, quando la terra si componeva di
tante piccole isole in mezzo a vastissimi oceani. In quelle isole erano in gran
parte Felci e Licopodî, ma non piccoli quali noi siamo soliti vederli nelle
nostre parti, ma grandi e robusti alberi quali si veggono ora nelle isole e in
parte ancora nei continenti della zona torrida, e come si può rilevare da
questo bellissimo albero di felce che è dell'estrema punta meridionale ed
orientale della Nuova Olanda. L'aria atmosferica era a quei tempi sopraccarica
di gas acido carbonico, poichè secondo i calcoli degli uomini dotti essa doveva
averne non 4 o 5 dieci millesimi come è presentemente, ma almeno 8 o 9 centesimi.
Le felci e i licopodî d'allora insieme alle altre piante scomposero quel gas
acido carbonico, fissarono una gran quantità di carbonio, il quale con la
caduta delle foglie e dei tronchi, dei quali qui vi mostro qualche saggio, potè
a poco per volta formare i grandi ammassi di carbon fossile, di cui noi ora ci
gioviamo pei bisogni principalmente dei piroscafi e delle strade ferrate, ed
esalare l'ossigeno. Mancando allora sulla terra gli animali terrestri, questo
andò a grado a grado aumentando e venne meno il gas acido carbonico, per cui
con il correre di lunghi secoli poterono venire sulla superficie, già allora
estesa del nostro globo, gli animali terrestri ed anche l'uomo.
Quasi ugualmente delle terrestri
respirano le piante che stanno nelle acque dolci o marine. Quelle tra esse che
hanno le foglie galleggianti per cavità interne del gambo o della lamina, come
le Ninfee, la Vittoria, i Nelumbium, il Limnanthemum ed altre,
respirano per la parte superiore delle foglie dove sono gli stomi, ora sparsi
su tutta la pagina, come nelle Ninfee, ora raccolti in un sol punto nel centro,
come nei Nelumbium: le altre che sono immerse o hanno foglie parte galleggianti
e parte immerse respirano in queste quasi nel modo dei pesci, per la superficie
loro, priva generalmente di epidermide, per cui il parenchima è quasi in
contatto immediato con l'aria e con l'acqua. Tutte esalano del gas ossigeno
anche in queste parti immerse che allora si mescola con l'acqua in modo che
esso aumenta, secondo le belle osservazioni di Morren e di altri, nelle acque
dei nostri fossi, degli stagni e della paludi nelle diverse ore del giorno,
contenendo l'acqua, secondo quegli osservatori, da 25 parti di ossigeno la
mattina, 48 a mezzogiorno e 61 verso le cinque di sera; per cui le acque sono
rese meglio potabili e sono migliori all'annaffiamento nelle ore della sera che
in quelle della mattina. Un tale aumento di ossigeno corrisponde ad una
diminuzione di gas acido carbonico, per cui si ha ragione di credere che quello
dipende da una scomposizione di questo. Ad esso è dovuto il coloramento in
rosso di alcune acque nelle diverse ore del giorno, quando nelle acque stesse
si svolgono in modo straordinario alcune piccole alghe che per solito o son
poche o mancano quasi interamente. I laghi sanguigni della Svezia; dei quali ha
scritto Linneo; il lago di Morat che si colorò in rosso, secondo che ci
descrisse Augusto De Candolle; il Mar Rosso che di quando in quando piglia un
color rosso generale, ed altri mari, o dirò meglio punti del Mar Pacifico, di
un colore ora più ora meno rosso e vermiglio, devono tali colori alla presenza
e alla respirazione di alcune piccole alghe diversa nelle diverse ore del giorno.
Tale è in brevi e generali parole la
respirazione delle piante, quale almeno io ho saputo ritrarla a grandi
pennellate senza entrare nell'esame delle particolari esperienze e delle
opinioni che sulla medesima portano i diversi autori moderni. Sarò ben lieto se
sarò riuscito a persuadere anche i più restî che è necessario a tutti di
conoscere le cose anche più comuni che ci circondano, e che nulla è inutile
nella natura, ogni cosa avendo un fine speciale nell'armonia generale del
creato.
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