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Felice Venosta Elena di Campireali Abadessa di Castro IntraText CT - Lettura del testo |
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VI.
Il posdomani, per tempissimo, Branciforte entrava nella città di Castro travestito da mercatante: cinque de' suoi soldati lo seguivano vestiti nella foggia istessa. Quegli uomini facevano mostra di non conoscersi e soltanto trovarsi vicini per caso. Giunti sulla piazza del mercato si separarono, come se avessero ad accudire ognuno ad una propria faccenda; ma invero per recarsi chi da una parte, chi dall'altra, tutti intorno al convento della Visitazione, senza dar ombra di sospetto e come si suol dire, facendo l'indiano, il forastiere. Giulio, come quello che innamorato era, mosse sollecito pel convento. Lungi d'aver questo que' segni che caratterizzano le monacali abitazioni, sembrava assai più ad una fortezza, per le alte torri che gli sorgevano ai lati, per le massicce e bugnate mura che lo circondavano. Incesse nel tempio: egli era assai ricco. Le monache, appartenenti quasi tutte alle prime famiglie, emulavano a chi meglio arricchisse quella chiesa, sola parte dell'edificio esposta agli sguardi del pubblico. S'avanzò tutto tremante: gli sembrava di essere sotto gli sguardi di Elena; si diresse verso l'altare maggiore7, a tergo del quale sorgeva gigante un graticolato che separava il coro delle religiose dalla chiesa, e lì si piantò ritto, pensando, seco stesso, che avrebbe potuto scorgere Elena, e farle un qualche segno mentre lei colà si recava, colle compagne, ad assistere agli Uffici divini, o a salmeggiare. Pensava pure che qualche conversa o qualche educanda si sarebbe forse recata nel tempio a pregare, e non poteva essere Elena?.... Ma nulla avvenne di tutto questo. E soltanto dopo di aver passati tre giorni ad udir messe sopra messe, e di essersi, a forza di elemosine, amicato un povero, che si recava ogni dì nel convento per ajutare la fattoressa nelle domestiche faccende, o come alcuni volevano, per narrare ciò che fosse avvenuto in paese, sentì nascere in sè un filo di speranza, di potere far pervenire per mezzo di costui, una lettera alla fanciulla. Ma più di lui fu fortunato uno de' suoi soldati, il quale avendo ricevuto ordine di spiare i passi di due donne che uscivano il mattino dal convento per le provvigioni, potè scoprire un gran secreto. Una delle due donne era in istretta relazione con un mercante; ed egli tanto disse e tanto fece, che si acquistò l'amicizia di questo. Una mattina poi gli spiattellò, senza tante perifrasi, che aveva bisogno di lui; e, inventandogli non sappiam che favola, gli promise uno zecchino per ogni lettera che avrebbe fatto consegnare ad Elena di Campireali. – Come! sclamò il mercante spalancando due grand'occhi, alla moglie del brigante!.... È un affare delicato... caro mio, affare delicato; non so se devo impicciarmi di ciò, sapete che fanno presto a dispicciarsi d'un povero uomo... del resto la proposta è così gentile, voi siete un galantuomo che... che... – Accettate. – Sì, accetto; chè in fin de' conti è una donna maritata; mentre tante altre dame, senza avere questo titolo, ricevono dall'esterno altro che lettere! Colla prima missiva, Giulio raccontava per filo e per segno quanto era avvenuto nella fatale giornata della morte di Fabio. «Mi odiate forse?» scriveva egli terminando. Elena rispose: «Io non odio nessuno, ma mi sforzerò dimenticare l'uccisore di mio fratello». Giulio si affrettò a rispondere; dopo alcune invettive contro il destino, stile attinto a Platone e allora di moda, diceva: «Tu vuoi dunque obbliare la parola di Dio trasmessaci colle sante scritture? Dio disse: la donna lascerà la famiglia, i parenti per seguire lo sposo. Oseresti asserire che tu non se' mia moglie? Ramméntati di quella notte. Tu eri mia, se lo avessi voluto, tu eri già fra le mie braccia, ogni resistenza essendo stata vinta dall'amore; se non che il suono dell'Ave mattutina giunse a noi e ci riscuotemmo. Tu mi cadesti ginocchione gridando: Lasciami pura come la Madre di Colui che tutto può. Più che le tue parole, que' tocchi lontani della campana, che mi rimbombavano negli orecchi, poterono su me, e, alzandoti, ti dissi: Alla Madonna ti sacrifico; verrà un dì che, senza tema nè rimorso, potrò gustare le più soavi dolcezze, lorchè tu mi sarai sposa nel nome di Dio. Tu sarai, soggiunsi, amabile come Rachele, saggia come Rebecca, come Sara pudíca, ché l'onestà della moglie è aureola di gloria al marito. E in quel momento pensava che gli ostacoli sarebbero non da te, o perfida, ma dalla tua nobile e ricca famiglia frapposti. Se ti ricordi, ti sedesti a me d'accanto; ed io, cavando dal seno la croce, che appesa tengo al collo, ti dissi: giura su questa che sarai mia e per sempre mia; e sulla tua eterna dannazione giurasti, che in qualunque luogo tu fossi, qualunque avvenimento potesse avvenire, a un mio cenno, tu verresti a me come quando c'eri nel momento che l'Ave colpì i nostri orecchi. Recitammo poscia con divozione una prece, e ci separammo. Or bene! ov'è quell'amore che un dì avevi per me? Lo hai dimenticato? Ti comando però per quel giuramento che pronunciasti, a ricevermi questa notte nella tua camera o nel giardino del convento, o avrai a pentirti del tuo spergiuro». Molte e molte lettere seguirono queste, molte le risposte di Elena. E noi uomini del secolo decimonono non ci possiamo fare un'idea dei sentimenti d'amore e di religione contenuti in que' fogli. Elena cedette alfine alle preghiere, più che ai comandi di Giulio, il quale trovò poi il mezzo d'introdursi nel convento. La fanciulla non iscese punto in giardino: da una finestra di pian terreno tutta chiusa da una grata ricevette il garzone. All'inesprimibile mestizia che dipinta era sulla faccia di Elena, alle maniere che usava, Giulio conobbe che molto era mutata con esso lui, e non aver lei ceduto che alla santità del giuramento. Breve fu il colloquio: dopo pochi istanti, Giulio, eccitato già dagli avvenimenti che da quindici giorni si succedevano, non potè star saldo, le lagrime vennero ad umettargli gli occhi, e pianse; ma le sue lagrime non vennero raccolte da una mano amica, nè confortate. Esse s'inaridirono appena scaturite, non venendo punto alimentate. Imperocchè se un cuore afflitto domanda consolazione, si deve mescolare colle sue le nostre lagrime. Giulio non potè nel suo dolore che dire: – Voi non siete più quella di prima: voi mi accusate perchè uccisi il fratello vostro; dimenticatevi del giuramento se lo potete: in quanto a me, non lo dimentico: Dio vi assista!... In così dire uscì dal giardino lasciando Elena in guerra colla propria coscienza. Albeggiava appena, quando, dato ordine ai suoi soldati che lo aspettassero a Castro per una settimana innanzi di dipartirsi; balzò a cavallo e mosse per Roma. Già vedeansi a luccicare rugiadose le fronde degli alberi vestiti dei primi raggi del sole, e tutta l'energia della natura svilupparsi lene lene. Quel profondo riposo che copriva, per così dire la terra, si cambiava a poco a poco in un'attività piena di vita e di grazia: i rami fremivano agitati da un venticello marino, le rondini pispillavano allegre. Da traverse e viottole sboccavano, soli, a frotte i terrieri, quali cacciandosi innanzi i buoi, quali armati di falce e di ronche, sbirciando le belle contadine che seco loro traevano ai campi. Ma quel viavai festoso era in uggia al nostro Giulio, il quale, raccolto nel proprio dolore, non poteva comprendere come quegli uomini mostrassero tutti i segni della contentezza e della pace, mentre lui, agitato dal più crudele affanno, aveva a lottare con una vita di spine. Tal pensiero accresceva la sua collera, e non cessava di dire fra sè: Fabio di Campireali tu sei vendicato a puntino! Più non reggendo alla piena dell'interna doglia, Giulio diresse il suo cavallo verso quel deserto che costeggia il mare. Allorchè non fu più turbato dalla vista degli uomini, mise fuori un sospiro; il luogo romito in cui si trovava s'affaceva benissimo allo stato suo: allora, rallentando il freno, si lasciò andare con più quiete a' suoi tristi pensieri. – Come! ho potuto allontanarmi da lei?.... andava dicendo fra sè; lei più non mi ama, no, più non mi ama! Noi siamo l'uno per l'altro come persone indifferenti.... E perchè?... Perchè non mi son lasciato ammazzare da Fabio. Giovane, ho ancora una risorsa: amerò un'altra donna!... Un'altra donna? No, io non potrò mai pronunciare parole d'amore ad un'altra donna, no!.. Ma Elena è poi così colpevole com'io la dipingo! soggiungeva d'un tratto piangendo. Oh! no. Quell'anima pura ed innocente s'è lasciata trascinare dagli atroci racconti che le fecero di me. E me lo figuro, le avran detto ch'io mi sono armato sino ai denti apposta per ucciderle il fratello; e chi sa che non le abbiano anche soggiunto che l'ho fatto per divenire ricco colla sua eredità... Ah! mondo, mondo! Ed ho potuto lasciarla per quindici giorni fra le mani de' miei nemici! Bisogna che convenga che sono ben poca cosa quaggiù. Sono un essere abbietto, disprezzato dagli uomini e dal cielo. Giulio ebbe allora un'idea rarissima per que' tempi: il suo cavallo camminava rasente il mare, e facile gli sembrò di poter finire la vita. – Indi, fermando la bestia, che docile, obbediente, si allontanava già dalla terra, sclamò: – Le pene che soffro ora, cosa sono a paragone di quelle che soffrirò laggiù? un nulla! Io la vedrò sposa ad un signore romano, ricco e potente, di quei che si fan lecito di tutto; e lei sarà obbligata di abbandonarsi... No, no; viviamo... Sì, voglio vivere! i demonj cercherebbero le più crudeli immagini, onde farmi soffrire, come è loro dovere, come non si soffre che laggiù. Così, neppure colla morte potrò dimenticarla. Il sole, astro divino, le cui dolcezze non sono mai sparse invano, si mostrò verso oriente, che sembrava tutto in fiamme. Il sorgere del sole è una mezz'ora d'incanto, e sarebbe assai da compiangere quell'uomo che in questo spettacolo sì grande, sì bello e sì delizioso, non riconoscesse la bontà e l'onnipotenza di Dio! Giulio abbandonato sulla sella, immobile, contemplò quell'ineffabile quadro; era forse la millesima volta che lo vedeva; eppure gli parve allora fosse la prima; sentiva il bisogno di posare l'animo suo trambasciato, e miglior mezzo non trovò che di fidare in Colui che invia la calma e la tempesta. Pronunciò allora ad alta voce questa preghiera: – Dio mio, tu m'hai salvato da un fatale errore, tu mi dona quella pace, quella felicità che tanto agogno: io spero in te.... io! Reso alla speranza, Giulio si diresse verso il suo cantonamento, ove giunse in poche ore. La sera dello stesso giorno egli mosse ancora per alla volta di Castro; e sua prima cura fu, ivi giunto, di scrivere ad Elena: la lettera conteneva queste parole: "La notte ventura potrà esser accetto? "Lo sarà, fu la risposta. Dopo la partenza del giovine, Elena si credette abbandonata per sempre. Allora cominciò a pensare ai ragionamenti di lui, e concluse col dire che alla fine era sua moglie; e che se il poverino aveva avuta la disgrazia di ucciderle il fratello, la si doveva soltanto ad un avverso destino. Questa volta Giulio non venne ricevuto con que' modi che tanto lo avevano fatto soffrire. Elena era protetta dalla ferrata, è ben vero, ma sul suo volto, nelle sue maniere, potevasi scorgere quanto fosse l'amore che sentiva per chi le stava dinanzi. Toccò invece a lei in quella notte a provare quanto v'ha di crudele nel sussiego tenuto con persona che si ama. Nel timore d'essere ancora punto con aspre parole, Giulio aveva preso un tuono dottorale, ed era uno sputar sentenze non indegne d'un magnifico rettore. Elena lasciava che parlasse, temendo di essere vinta dalle lagrime se gli avesse spiegato quanto fosse in inganno sui sentimenti cui ell'era animata. Ma vedendo poi che non avrebbe potuto reggere, consigliò al giovine che tornasse il domani che meglio si sarebbero intesi. Noi non seguiremo punto col cronichista ne' minuti particolari tutti i furtivi abboccamenti di que' due giovani; diremo soltanto che venne un dì in cui si trovarono di così pieno accordo come ne' primi giorni del loro amore. Una sola cosa non aveva voluto accordare Elena, quella di discendere nel giardino. |
7 Per farsi un'idea della ricchezza di quella chiesa, dirò che quell'altare costava più di cento mila scudi. |
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