VII
Una notte Giulio trovò la
fanciulla mesta e pensosa. Chiestane la cagione, seppe che donna Vittoria
avevale scritto che fra pochi giorni si sarebbe recata a Castro. Quella madre
era così affettuosa, sempre aveva avuto per la figliuola un'estrema cura, che
questa sentiva entro di sè un profondo rimorso d'essere obbligata ad
ingannarla; giacchè, avrebbe ella mai osato confidarle, che notte tempo riceveva
l'uomo, che l'aveva orbata del figlio? Disse Elena schiettamente a Giulio che
se la madre avesse toccato, in una maniera qualunque, quel tasto, non si
sentiva la forza di starsene salda, e che le avrebbe spiattellata ogni cosa.
Giulio comprese quanto fosse in pericolo la sua posizione: la sorte di lui
dipendeva dal caso che poteva dettare una parola a donna Vittoria. Nella
seguente notte così parlò alla fanciulla:
– Domani anticiperò di qualche
momento; sgretolerò il muro di questa finestra, e, tolta la ferrata, vi sarà
facile discendere nel giardino; vi condurrò quindi in una vicina chiesa ove un
prete a me divoto ci unirà. Prima che spunti l'alba, sarete nuovamente in
convento, e nessuno saprà che siete uscita. In quanto alla rottura del muro,
potranno credere sia un attentato di ladri; eppoi cosa c'importa a noi di ciò
che diranno; quel che ci deve premere è il vederci sposi, perchè allora nessuno
potrà dividerci; ed io vivrei tranquillo, quand'anche vostra madre vi tenesse,
come ad espiazione, piú mesi lontana de me.
E siccome Elena sembrava
costernata per tale proposizione, Giulio soggiunse:
– Il principe mi chiama appo
lui; l'onore e altre ragioni mi obbligano a partire. Soltanto ciò ch'ho
proposto può assicurarci l'avvenire; se non ci acconsentite, separiamoci ora,
in questo luogo, e per sempre. Partirò... sì partirò, e un giusto disprezzo,
inspirato dalla vostra condotta, mi guarirà da quell'amore che già da tempo è
il tormento di mia vita.
A que' detti Elena sciolse in
lagrime, e:
– Dio mio! sclamò con voce
straziante, Dio mio! Voi che vedete la tempesta del mio cuore, compatitemi,
perdonatemi... Accetto, soggiunse volgendosi a Giulio; ma una grazia vi chiedo:
aspettiamo che mia madre sia partita.
– O domani sposi, le rispose l'altro,
o vi lascio in questo punto istesso: io più non credo alla vostra parola.
Elena non rispose che con nuove
lagrime: ell'era soprattutto addolorata dalle maniere che Giulio usava con lei.
Ma perchè tale disprezzo? Perchè tale mutazione ne' modi dell'amante? Perchè
promettere lei?
Ecco quanto non poteva definire.
Appena partito Giulio, l'angosciata
fanciulla si recò nella sua cella; e sedutasi accanto al letticciuolo, appoggiò
il capo al guanciale. Non era il suo, nè sonno, nè veglia, ma una rapida successione,
una torbida vicenda di pensieri, d'immaginazioni, di spaventi. Ora, più
presente a sè stessa, vedeva quanto avesse di orribile la situazione sua; si
pentiva d'aver promesso, proponeva di non aderire al desiderio dell'amante, e s'applicava
dolorosamente alle circostanze della formidabile realtà in cui si trovava
avviluppata; ora la mente, trasportata in una regione ancor più oscura, si
dibatteva contro i fantasmi nati dall'incertezza e dal terrore. Stette un pezzo
in quest'angoscia; alfine rimase in uno stato somigliante a sonno vero. Ma tutt'a
un tratto si risentì, come scossa da una potenza invisibile, e le recenti
impressioni, ricomparendo nella mente, l'ajutarono a distinguere ciò che
appariva confuso al senso. Tutte le memorie de' fatti trascorsi, tutti i
terrori dell'avvenire, l'assalirono così violentemente, che l'infelice vinta
dal più crudele affanno, desiderò di morire. Ma in quel momento si rammentò che
poteva almeno pregare, e insieme con quel pensiero, le spuntò in cuore la
speranza che Dio avrebbe pensato a lei, e l'avrebbe ajutata. S'alzò e si mise
in ginocchio, e tenendo al petto conserte le mani, volse le pupille al cielo, e
recitò una tacita, ma fervente preghiera. I sensi affaticati da tanta guerra s'assopirono
a poco a poco; e finalmente, già vicino a giorno, col nome della sua madre
tronco tra le labbra. Elena s'addormentò d'un sonno perfetto e continuo.
Il domani la voce di donna
Vittoria destò la dormente; e madre e figlia furono nelle braccia l'una dell'altra.
– Come sei pallida, come sei
brutta, Elena! cos'hai? Parla. Se tu prendessi un pugnale e me lo trafiggessi
nel cuore, mi faresti soffrire meno di quello che fai col tuo crudele silenzio.
La tenerezza estrema di quella
madre era sì chiara agli occhi di Elena, che questa cedette al pensiero natole
allora, e che credeva ispirato da Dio, e cadde ginocchioni. Poche parole
pronunciò la tapina, le quali furono la sua confessione. Donna Vittoria sentì
orrore, udendo come l'uccisore del figlio fosse non lungi da lei; ma questo
sentimento cangiossi in suprema gioja, quando venne a conoscere che Elena mai
aveva mancato a' suoi doveri. Da quel momento ogni piano di quella madre cambiò
in tutto; ella credette potere usare qualunque sotterfugio con un uomo che
nulla le era. Il cuore di Elena era in lotta alle più crudeli passioni: duopo
aveva la misera d'un cuore che potesse consolarla. La signora di Campireali con
una chiacchierata, condita di certe parolone, convinse la figliuola, che invece
di un matrimonio clandestino, che sarebbe una incancellabile macchia nella vita
d'una donna, otterrebbe, colle belle e colle buone dal padre un matrimonio in
piene forme, se lei avesse accondisceso a protrarre di soli otto giorni l'atto
di obbedienza che doveva ad un amante generoso del pari che onesto.
Elena dominata dalle parole
della madre, parole che si succedevano con una tale prestezza che non davano
luogo a riflessione, promise senza sapere in fondo ciò che prometteva. La sera
quando fu sola, riandando sui fatti della giornata, con mente più calma, le
sembrava avesse fatto male a promettere alla madre: che dirà Giulio, diceva ad
ogni tratto; ma sono poi soltanto otto giorni, soggiungeva come per iscacciare
quel cattivo pensiero, e otto giorni passano presto; già mia madre non ci vorrà
tradire; sì... sì, ho fatto bene; le cose in regola vanno sempre bene e
piacciono anche a Dio, invece che.... Non finì la frase; ma, sedutasi ad un
tavolino, prese una penna, e scrisse:
"Questa lettera, che un
messo di mia madre aspetta, ti irriterà forse.... Tu mi guarderai con occhi di
sprezzo; tu dirai che ho un carattere debole, pusillanime, disprezzabile. Io
confessai tutto a mia madre. Come mai avrebbe potuto resistere un cuore di
figlia? se tu l'avessi vista, com'ella piangeva e pregava, sì ... tu stesso ne
avresti sentito pietà!.... Per quanto mi ricordo, sembrami che l'anima mia,
spoglia da ogni forza, aveva di bisogno d'un consiglio, d'un ajuto, e sperava a
ragione di trovarli nella voce d'una madre... Infatti ella mi disse: Elena,
otto giorni soli ti chiedo, ed io ti farò felice, unendoti all'uomo che hai
scelto, senza che tu sia obbligata di ciò fare, come una colpevole... Giulio;
io credei alle sue parole e promisi. Cesserai tu per questo d'amarmi? No,
perchè l'amor tuo mi dà forza e coraggio a sopportare questa mia povera vita.
Rapiscimi, se n'hai talento; ma sii persuaso che, se mia madre non avesse
anticipata la sua venuta in Castro, se non mi avesse promesso, i più orribili
pericoli, l'onta stessa, nulla al mondo avrebbe potuto impedire che io
obbedissi a' tuoi ordini... Ma questa madre è tanto buona! tanto generosa!...
Rammentati ciò che t'ho narrato di lei ne' primi tempi del nostro amore. Poichè
ella ebbe salvato le tue lettere dal furore di mio padre, me le consegnò, ogni
pericolo cessato, senza neppur volerle leggere, senza che il suo labbro osasse
rimproverarmi! Non dovremo noi dunque fidarci di lei? Impossibile è questa
notte il vederci, mille pericoli ti soprastano; ed io ti chiedo otto giorni di
sacrificio; otto giorni! indi, saremo uniti, e uniti per sempre!...»
Non è da raccontare, come
rimanesse Giulio al ricevere quella missiva; dopo aver imprecato contro il suo
barbaro destino, e maturato un disegno, che non tarderà a mettere in opera,
mosse per alla macchia della Fagiola.
Il vero stato delle cose era
questo. Il signore di Campireali era su di un letto di morte; l'impossibilità
di poter vendicarsi di Giulio lo conduceva a poco a poco alla tomba. In vano
avea fatto offrire considerevoli somme ai bravi romani: nessuno aveva voluto
assumersi la bisogna di uccidere un caporale, come e' dicevano, di
Colonna; erano sicuri, che la più acerba vendetta sarebbe sopra loro caduta.
Combinò allora colla moglie di
far venire dal regno di Napoli, ove, come abbiamo detto altrove, ella possedeva
considerevoli poderi, un certo numero di assassini; ma donna Vittoria non fece
che mostra di aderire; non le dava il cuore di far ammazzare il marito della
propria figlia. Ciò che proponeva era di donare ai due sposi le sue terre di
Napoli, affinchè là se la passassero, sotto mentite spoglie, il meno male
possibile. Ma la confessione di Elena tutto aveva cambiato. Il matrimonio non
era più necessario; anzi, e mentre la ragazza inviava all'amante la lettera di
cui sopra, donna Vittoria, senza perdere tempo, scrisse a Pescara e a Chieti,
ordinando agli affittajuoli, che da lei dipendevano, mandassero incontanente a
Castro persone sicure e capaci d'un colpo di mano: non nascondeva loro che si
trattava di vendicare la morte del loro giovine padrone.
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