IX.
Alle prime scariche delle armi
da fuoco, ogni cittadino era balzato a sedere sul letto, aveva teso l'orecchio.
– Cos'è? cos'è? ladri? banditi?
Faranno una delle loro? Molte donne consigliano, pregano i mariti di non
muoversi, di lasciar correre gli altri, di non andare in cerca di pericoli:
alcuni s'alzano, vanno alla finestra, l'aprono adagio adagio, e fanno capolino:
i poltroni ritornano sotto, come aderendo alle preghiere delle mogli: i più
bravi s'armano lesti lesti, e corrono là ove il pericolo li chiama: i più
curiosi stanno a vedere. Già innanzi la porta del convento s'era ammucchiato
buon numero d'armati; ma così alla rinfusa, senza nessuno che capitaneggiasse,
col timore fors'anche d'esser presi fra due fuochi, nessuno osava internarsi
nella porta comechè spalancata.
– Cos'è tutto questo fracasso?
– Cos'è?
– Chi è? erano le voci che
circolavano fra la ressa. Ecco giungere uno tutto ansante, e grida:
– Che fate quì, figliuoli? non è
quì il diavoleto; è giù in fondo alla strada, dalla parte dell'orto del
convento: gente armata; son dentro; par che vogliano ammazzare un giovine
vestito da corriere; tirano certe schioppettate!
– Che? che? che? E comincia una
consulta tumultuosa.
– Bisogna andare.
– Bisogna vedere.
– Bisogna far qualcosa.
Molti si muovono in massa, e giù
alla rinfusa per la strada, altri sguizzano tra uomo e uomo, e se la battono a
casa; il tumulto era grande.
Giulio aveva condotto i pochi
suoi uomini rimasti fino al cancello; e non vedeva il momento di poter trovarsi
lontano da quel luogo; chè, fra l'altre cose, sentiva le forze venirgli meno
per la perdita abbondante del sangue che gli usciva dalla ferita del braccio.
Ma sembrava che tutto avesse ad andar male in quella notte pel poverino. Per
quanti sforzi facessero i suoi, il cancello non si voleva aprire. Un vecchio
ortolano che stavasene alla finestra di una sua casetta, guidato dal rumore, tirava
senza posa archibugiate, così allo scuro, ad azzeccare; alcune volte le palle
passavano senza punto toccare, alcune altre lievemente ferendo; ma con tutto
ciò non tralasciavano di dare a pensare ai nostri fuggiaschi. Nel momento
appunto che il cancello cedette, una palla venne a ferire gravemente al
ginocchio Giulio, il quale, non potendo resistere a quel nuovo colpo, cadde a
terra privo di sensi.
Un calpestio affrettato si
avanzava, e il corpo dell'infelice sarebbe certamente caduto in mano d'un nuovo
nemico, se Ugone, che era sempre rimasto tetragono nel mezzo della sconfitta,
non avesse ordinato a due soldati, che lo sollevassero da terra e lo portassero
in salvo.
Cheton chetoni, mogi mogi, come
cani scottati, co' musi bassi, colle code fra le gambe, que' pochi rimasti, se
la fumaron via, lasciando il campo libero. Camminarono un pezzo di buon trotto,
in silenzio, voltandosi, ora l'uno, ora l'altro, a guardare se qualcuno li
inseguisse, tutti in affanno per la fatica della fuga, pel batticuore e per la
sospensione in cui erano, pel dolore della cattiva riuscita. E ancor più in
affanno li teneva un rumore continuo che si udiva là verso il convento, il
quale, quanto più si faceva lontano, pareva prendesse un non so che di più
lugubre e sinistro. Finalmente cessò. I fuggiaschi allora, trovandosi in un
campo disabitato, e, non sentendo un alito all'intorno, sostarono, deposero a
terra il corpo di Giulio, e fu il primo Ugone che ripreso fiato, ruppe il
silenzio.
– Che notte! che notte! Ne ho
vedute; ma una come questa, sfido!
Ordinò a due soldati di
ritornare in città, di indagare cosa si pensasse dell'avvenuto.
– Fate anche in modo, soggiunse,
di ritrovare i vostri compagni feriti; e ricordatevi di uscire da Castro
innanzi giorno. Noi prendiamo il sentiero di Rôcca. Se trovaste poi necessario
d'appiccare il fuoco in qualche parte, fatelo.
Allorchè Giulio ritornò in sè,
si trovò lontano tre miglia dalla città; il sole, già splendidissimo,
percorreva l'orizzonte. Ugone fece il suo rapporto.
– La vostra truppa non si
compone più che di otto uomini, di cui tre feriti. Due villani che
sopravvissero ricevettero due zecchini a testa di gratificazione, e se la sono
data a gambe; ho mandato due uomini in città, due al vicino paese, per un
chirurgo quale si fosse.
Il chirurgo, un vecchio tutto
pauroso, non si fece a lungo aspettare; ei si avanzava a cavallo d'un magnifico
asino, e ora a questo, ora a quello de' due uomini che aveva al fianco volgeva
parole, come per amicarseli.
Ce n'eran volute per deciderlo a
muoversi di casa; soltanto alla minaccia di appiccare il fuoco a questa, si era
armato di coraggio e aveva seguito i soldati. Ma quanti sospiri! quanti tentennamenti
di capo! quanti atti di contrizione!
– Se la scampo questa volta,
andava seco stesso ruminando, egli è un miracolo, un miracolone!
Quando piacque al cielo si mise
all'opera, e disse a Giulio che le sue ferite eran ben lievi, soltanto quella
del ginocchio, soggiuns'egli, bisogna curare, e curare per bene.
Medicò poscia i soldati feriti. Ugone
strizzò dell'occhio a Giulio; questi capì, ed ordinò si dessero due zecchini al
dottore, il quale, non avendo in vita sua mai ricevuta, in una volta, somma sì
grossa, non è a dire quanti inchini, quanti ringraziamenti profondesse. Venne
invitato per soprammercato a bere; e tale una quantità d'acquavite tracannò,
che n'andò guari ad addormentarsi profondamente. Fu trasportato allora in una
vicina campagna; e ai due zecchini che aveva in tasca, altri quattro ne vennero
aggiunti: era il prezzo dell'asino, sul quale venne collocato Giulio ed un
soldato ferito gravemente ad una gamba.
Che avveniva frattanto al
convento della Visitazione?
Erano appena scomparsi gli
uomini di Giulio, che la turba di popolo giungeva al cancello dell'orto, nel
punto medesimo che, per una strana combinazione, pur vi giungevano i soldati, i
bravi e li altri armati del convento. La turba credendo che questi fossero gli
assalitori che cercarsero salvarsi, senza dar loro tempo di parlare, pensò bene
di accoglierli con una scarica di moschetteria, la quale arrecò loro non lieve
danno. I bistrattati conobbero che avevano a fare con un nemico superiore di
molto alle loro forze, non vollero cimentarsi, e si ritrassero alquanto onde
deliberare sul partito che avessero a prendere. Vi fu uno che gettò, così a caso,
un suo parere, cioè che quelle genti armate li prendevano certamente in fallo,
come soventissimo avviene in circostanze tali. Si gridò, si fecero de' segni,
si venne ad un abboccamento, e si rise di cuore di quanto era avvenuto senza
pensare a que' poveretti che ci avevano lasciata la pelle.
– Ma ov'è il vero nemico?
– Ove s'è nascosto?
– Che non ci fugga?
Ecco le parole che circolavano
fra la folla; si rovistò, si rimuginò per ogni angolo del convento, e non si
rinvennero che morti. Si frugarono questi onde scoprire qualcosa che desse
indizio a qual fazione appartenessero: nulla! nulla!.... Ci furono allora di
quelli che, alzando la voce, proposero d'inseguire i fuggitivi: che era un'infamità
e sarebbe una vergogna per Castro, se ogni birbone, potesse a man salva venire
in un convento a fare Dio sa cosa. Altri soggiunsero che s'era perso troppo
tempo, e che non erano così minchioni quelli da farsi accalappiare, e che s'eran
messi in salvo certamente. La voce corse con rapidità, ottenne credenza; non si
parlò più di dar la caccia ai fuggiaschi; e la ressa si sciolse, e ognuno andò
a casa sua. Era un cicalío, un fracasso, un bussare e un aprir di porte, un
apparire e uno scomparire di lumi, un domandare di donne dalle finestre, un
rispondere dalla via. Tornata questa deserta e tranquilla i discorsi
continuarono nelle case, e morirono negli sbadigli, per ricominciare poi la
domani.
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