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Felice Venosta
Elena di Campireali Abadessa di Castro

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  • XII
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XII

 

Il posdomani del ritorno di Branciforte a Petrella, Ugone, l'antico soldato che noi conosciamo, si presentò alla porta del convento di Santa Marta, e chiese con istanza di poter parlare ad Elena. Le parole di lui vennero rigettate. Allora si piantò sulla piazza della Stelletta, e cominciò a distribuire bajocchi a tutti i servi che entravano od uscivano dal convento, loro dicendo:

Allegri ragazzi, allegri; il colonnello Branciforte è vivo, è giunto a Petrella.

L'idea d'Ugone partorì il suo effetto: circa trentasei ore dopo che egli aveva distribuito il primo bajocco, la povera Elena, dal fondo della sua prigione sapeva che Giulio era vivo. Quella notizia la rese quasi pazza.

– O madre, sclamò con accento d'un dolore profondo, voi rendeste ben infelice la figlia vostra!

Alcuni giorni dopo, la notizia le venne confermata da Marietta, la quale, sacrificando tutti i suoi oggetti d'oro, potè ottenere di seguire la conversa che recava il cibo alla prigioniera. Elena si gettò fra le braccia della compagna piangendo di gioja: indi esclamò:

– È giunto, non è egli vero?

– Sì è giunto; quanto prima poi lo vedrete; perchè si dice che appena terminato il conclave, la vostra carcere sarà tramutata in semplice esiglio.

Rivedere Giulio! Lo potrò senza arrossire?

Nel cuore della terza notte che seguì questo abboccamento, una parte del pavimento della chiesa sprofondò con grande fracasso. Le monache credettero che il convento stesse per crollare. Il timore fu estremo; ognun gridava al terremuoto, tutti cercavano di scappare, fu un vero scompiglio.

Un'ora dopo la caduta del pavimento, alcuni bravi, fra' quali contavasi Ugone, penetrarono dal sotterraneo nella prigione di Elena, gridando:

Vittoria! vittoria!

Elena tremò tutta: il primo pensiero che le rampollò nella mente fu che Giulio potesse essere con que' bravi. Ma si rassicurò, e i suoi lineamenti ripresero la loro espressione severa, quando Ugone le disse che essi accompagnavano soltanto la signora di Campireali, e che Giulio era ancora lontano da Roma.

Dopo pochi minuti d'aspettazione, la signora di Campireali comparve; camminava ella a gran stento, soffulta al braccio d'uno scudiero, che era in abito di parata, colla spada al fianco: il viaggio sotterraneo aveva alquanto guasta la sua teletta.

Elena, diletta del mio cuore, sclamò donna Vittoria, appena ebbe veduta la figlia, alfine mi è dato salvarti!

– E chi v'ha detto, le rispose Elena con sussiego, ch'io ne avessi desiderio?

A quelle parole la signora di Campireali rimase di stucco; guardava la figlia con due occhi ove stava dipinta la più grande maraviglia: non poteva capire come ella fosse cotanto mutata verso di lei; ma riscuotendosi subito sclamò:

Figliuola cara, il destino mi forza confessarti un'azione, che, dopo le disgrazie che sulla nostra famiglia piombarono, si poteva riputare più che naturale, ma che ora mi si presenta in un modo affatto opposto; io ti prego, Elena, a perdonarmi quanto avessi potuto fare contro la tua volontà; tu non vorrai al certo mostrarti severa verso una madre la quale credeva operare a fin di bene: Elena... Giulio Branciforte è vivo!...

– Ed è appunto perchè egli è vivo che io voglio morire!

Donna Vittoria diresse le più affettuose parole alla figlia, le più tenere istanze; ma non ottenne risposta: Elena si era inginocchiata innanzi ad un crocifisso e pregava senza ascoltarla. Dopo un'ora d'inutili sforzi onde ottenere uno sguardo, una parola, donna Vittoria disse alla figlia che non sarebbe uscita da quel luogo sino a che non avesse parlato.

Al che Elena rispose:

– È sotto il marmo di questo Cristo che erano nascoste le sue lettere nella mia stanza di Albano; meglio sarebbe stato, anzichè serbarmi alla vita, farmi perire sotto i colpi di mio padre. Nel momento in cui siamo, vi chiedo soltanto che mi lasciate sola.

La signora di Campireali voleva continuare a parlare alla figlia, malgrado gli sguardi che le lanciava lo scudiero; questa s'impazientò, e:

Lasciatemi un'ora di libertà, gridò con voce imperiosa; voi mi avvelenaste la vita, deh! non vogliate rendermi amara anche la morte.

E la signora di Campireali sciogliendo in lagrime:

– Fra due ore ritornerò; spero che aderirai allora alle preci d'una madre.

Mentre tutti se ne andavano, Elena si volse verso Ugone e gli disse:

Rimanti costì, Ugone: ho d'uopo dell'opera tua... Tu, proseguì quando ognun si fu allontanato, tu mi aspetterai fuori sino a un mio cenno.

Dopo queste parole, Elena si assise, e scrisse:

«Giulio, tu mi credi forse colpevole; ma, nell'ora estrema in cui mi trovo, ti giuro che dopo di te nessun altro amai quaggiù, anzi il mio cuore era pieno di sprezzo per colui che potrebbe vantarsi d'avermi amato: soltanto la noja fu cagione della mia colpa. Il mio spirito affralito dalla lotta che aveva dovuto sostenere, circondato ed incalzato da dodici anni di menzogne, m'avevano resa insensibile a tutto; ed io cedei. Se il principe Colonna ch'io amava perchè tu l'amavi, non mi avesse mal ricevuta a Petrella, ciò non sarebbe avvenuto. Ne' primi tempi di tua lontananza ricevetti una tua lettera; giudica con quale trasporto l'aprii! ma leggendola, il mio cuore mi si agghiacciò. Esaminai il carattere, riconobbi la tua mano, ma non il tuo cuore. Sperai ricevere altre lettere, che venissero ad allietarmi l'animo, a cancellare l'impressione che mi aveva lasciata nel cuore la tua prima: ma nulla, nulla! L'annunzio di tua morte compì di spegnere in me quel poco che rimaneva del tempo felice del nostro amore. Il primo mio pensiero fu di recarmi nel Messico, e sulla gleba che ti copriva sparger lacrime, sino a che avessi esalato l'ultimo sospiro e le mie spoglie fossero dalla stessa coperte... Se avessi seguíto un tale pensiero saremmo ora felici: imperocchè a Madrid sarei certamente giunta a commuovere quelle anime nelle quali rimane ancora un senso di pietà per gl'infelici, e avrei potuto unirmi a te. Tu mi chiederai perch'io ciò non feci? In primo luogo fu l'accoglienza fredda del principe: poscia un pensiero di vanità che m'invase. Un giorno in cui, appoggiata al verone, contemplava il luogo ove un il tuo sangue fu sparso, udii parole di sprezzo a me dirette: alzai la testa e vidi tre monache che mi guardavano in modo insolente: per vendicarmi volli essere abbadessa. La madre mia, che sapeva che tu eri vivo, fece ogni sforzo onde ottenere quella nomina stravagante, e l'ottenne. Quella dignità fu per me fonte di noje, compì d'avvilire l'animo mio: trovava piacere a far sentire il mio potere coll'infelicità altrui: io commisi delle ingiustizie. A trenta anni io mi trovava, secondo il mondo, virtuosa, ricca, considerata, e tuttavolta infelicissima. Allora si presentò a me quell'uomo, e l'animo mio era, come sopra ti diceva, travagliato dalla sventura che più non aveva la forza di resistere alla benchè minima, tentazione. Oserò confessarti una cosa, Giulio! Malgrado la mia vita, io ti vedeva sempre a me dappresso, affettuoso, e buono come sempre lo fosti: tu mi guardavi amorosamente: allora provava momenti di tanta collera che giungeva persino a percuotere l'uomo che aveva tentato al mio onore. Questa è tutta la verità, o Giulio; io non voleva morire senza averti prima aperto il mio cuore. In questo punto estremo conosco quanto grande sarebbe stata la mia felicità se mi fossi conservata degna di te. Nelle ore che l'animo nostro è invitato a dolce tristezza, che sentiamo più che mai il bisogno di pensare ai cari amici abbandonati, volgimi o Giulio, per un istante il tuo pensiero e una lagrima di compassione non mi negare. Quantunque colpevole, sento che il Signore sarà meco indulgente, perchè vide quanto fui infelice, deh! tu pure mostrati indulgente per colei che non cessò un momento di amarti, e che non osò vivere sentendosi indegna di te. Perdonami, o Giulio; e morta, potrò godere di quella pace che mi fu negata in questo mondo di menzogne».

Dopo aver scritto, Elena si avvicinò al vecchio soldato, che trovò immerso nel sonno; gli tolse, senza ch'ei se ne accorgesse, lo stiletto che, secondo l'uso italiano, gli pendeva a destra: indi destandolo, gli disse:

Consegnerai tu stesso a Giulio questa lettera, tu stesso, capisci. Io non voglio che passi per altre mani. Aggiungerai anche questo fazzoletto testimonio delle mie lagrime, de' miei sospiri. Gli dirai ch'io non cessai un istante di amarlo, e che mi perdoni.

– Così Iddio mi dia bene in questa vita e riposo nell'altra, come vi prometto, mia buona signora, di fare ogni vostra voglia, rispose il soldato.

Partito che fu Ugone, Elena prese il ferro, che aveva tenuto nascosto, e se lo immerse nel cuore.

 

FINE




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