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Felice Venosta
Elena di Campireali Abadessa di Castro

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  • II.
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II.

 

Il signore di Campireali venne avvertito, circa due settimane dai fatti narrati, che ogni sera, dopo che la campana del convento de' cappuccini aveva suonata la mezza notte, si scorgeva rischiarata la stanza della figliuola sua, e cosa più strana, la finestra erane spalancata, e a questa lei tenevasi come se cercasse a deciferare negli astri ciò che il destino serbavale di fausto o d'infausto.

Il signore di Campireali non si diè per sorpreso; e, come se gli fosse stata narrata la cosa più semplice del mondo, ringraziò i suoi avvisatori con un fare il più benevolo che mai.

Ma la sera, poiché ognuno se n'era ito fra le coltri, egli ed il figlio, armati entrambi di archibugio, sguisciarono su d'una balconata che sottostava alla finestra di Elena, e attesero.

Mezzanotte suonò; e padre e figlio udirono rumore sotto gli alberi che erano rimpetto al loro palazzo; ma quello che li sorprese fu che alla finestra di Elena non compariva lume veruno.

Egli è che dal momento che amava, quella giovinetta, sì semplice, sì innocente, e che sembrava una bimba alla vivacità de' suoi movimenti, aveva mutato carattere. Sapeva che la più lieve imprudenza avrebbe compromessa la vita dell'amante, e che se un signore del rango del padre avesse ucciso un uomo come Giulio Branciforte, sarebbe andato impunito, quando si fosse volontariamente recato su quel di Napoli sino a tanto che gli amici avessero rappattumato l'affare: e il tutto si sarebbe terminato coll'offerta d'una lampada d'argento e qualche rotolo di scudi alla Madonna allora di moda.

Le donne sono dotate d'un sentire più squisito del nostro; esse leggono con sorprendente facilità sul volto dell'uomo ciò che il cuore nasconde, ciò che medita; epperò da uno sguardo che Elena fissò sul viso del padre si accorse che una grande tempesta ferveva entro di lui; e che ella non era certamente straniera a quanto lo agitava. Quegli archibugi non più coperti di polvere, quel guatarla che faceva il padre, quando credeva non esser visto, le dimostravano chiaramente che dessa era la maggior cagione di ogni cosa. Tuttavolta, vedi potere di donna! Elena non si diè per sgomenta; e, durante il dì, fu di una allegrezza non mai la simile; entrava in ogni stanza, ne usciva, vi rientrava, sempre cantando, saltellando come vispa capinera; ad ogni tratto facevasi al balcone sperando scorgere l'amato giovine ed avvisarlo. Ma questi, colla memoria ancor fresca dell'insulto ricevuto, non osava prescindere, fosse stato per un istante, a quanto aveva progettato in cuor suo: egli era stato trattato troppo come roba di rubello da poter facilmente acquietare l'accasciato suo animo.

La mortale inquietezza che tutta invase la fanciulla, allorchè scorso il dì non ebbe più speranza di vedere Giulio, da nessuno fu sospettata, merce gli sforzi che questa impiegava a sembrare calma. Alle due di notte trasse alle proprio stanze, si asserragliò ben bene di dentro, si distese prona sul lastrico del verone, onde non esser veduta, e attese. Ogni tocco di campana che suonasse erano tanti dardi scagliati sul cuore della misera. Non si trattava più di rimproverare sè medesima pella rapidità colla quale aveva appreso ad amare Giulio, sebbene a cercare qualunque via si fosse ond'ei non avesse a supporre che lei lo avesse tradito. Vinse più in quel dì il garzone, che altri in sei mesi di costanza e di protestazioni.

– Perchè debbo mentire? diceva fra sè stessa. Non l'amo io con tutte le forze del cuore?

Vide il padre ed il fratello stare alle velette sul balcone che sottostava al suo; e, due minuti dopo che il campanile de' cappuccini ebbe sonata la mezzanotte, udì le pedate dell'amante che sostava sotto la solita quercia. Le sembrò con piacere che nè il padre, nè il fratello se ne fossero accorti: faceva di bisogno l'ansia dell'amore per udire i leggieri passi di lui.

– Adesso, disse fra sè Elena, mi uccidino anche; ma è giuoco forza che essi non abbiano a sorprendere la lettera di stasera: persecuzioni senza fine principierebbero per Giulio.

Fece un segno di croce; e, con una mano soffolcendosi al davanzale, si sporse in fuori a metà vita. Non era peranco scorso un quarto di minuto, che il mazzo di fiori infisso, come al consueto, alla lunghissima canna, venne a colpirla sul braccio. Lo afferrò tosto, e stava per farselo proprio, quando la canna, per un moto troppo violento, battè contro il verone. Nel medesimo istante si udirono due colpi di archibugio.

Fabio non potendo scorgere fra l'oscurità l'oggetto che aveva destato l'allarme, pensò fosse una scala di corda colla quale Giulio discendesse a terra dalla camera della sorella, e mirò in alto; il domani ella trovò la palla conficcata accanto alla finestra della sua stanza. Il signore di Campireali invece avendo udito rumore nella via li mirò. Giulio alla sua volta accortosi di quanto accadeva sopra il suo capo si era messo in sicuro.

Fabio ricaricò rapidamente l'arma; e, per quanto il padre si opponesse, volò nel giardino, aprì colla massima precauzione un usciuolo segreto che dava verso la montagna, e, data una giravolta, andò ad asolare sotto al balcone. Elena, che temeva ognora pell'amante, intavolò ad alta voce tale un parlare:

– Quanti ladri avete uccisi? disse ella al fratello.

– Pensate forse ch'io abbia a credere alle vostre mentitrici parole, le rispose questi con mal piglio; preparatevi piuttosto a piangere, chè io sto per punire l'insolente che osa salire alla vostra finestra!

Pronunciate appena queste parole, Elena udì che alcuno picchiava all'uscio della sua camera. Si affrettò ad aprire.

– Non so come sia chiusa quella porta, disse vedendo la madre che si avanzava accigliata.

E questa a lei:

– Figliuola, con me non cale usare menzogne, tuo padre è assai adirato e potrebbe.... vieni a dormire nello stesso mio letto; e se hai una lettera, consegnamela pel tuo bene.

– In questo mazzo di fiori, le disse Elena, una lettera è nascosta.

Erano madre e figlia appena sotto le coltri, quando il signore di Campireali entrò nella camera della moglie: riveniva dall'oratorio ove tutto aveva messo sossopra. Ciò che colpì la fanciulla, era che il padre, scialbo come la morte, agiva con lentezza e come colui che abbia presa una fiera risoluzione.

– È finita per me! sclamò seco stessa la poverina

– Godiamo quando ci nascono figliuoli, disse il signore di Campireali, passando accanto al letto della moglie per recarsi nella camera di Elena, e affettando il più perfetto sangue freddo; ma dovremmo spargere lagrime di sangue quando questi sono femmine! Imperocchè esse d'un tratto tolgono l'onore al più rigido osservatore dell'etichetta, colla loro testa balzana.

In così parlare mosse per la stanza della figlia.

– Sono perduta, disse Elena alla madre, sono perduta; le lettere si trovano sotto il piedestallo del crocifisso.

La madre, senza porre tempo in mezzo, balzò a terra, e corse appresso al marito. Questi stava per imboccar l'uscio, quando si sentì assalito da una salva d'invettive. Il signore di Campireali non era un seguace di Giobbe; e, alle parole dalla moglie, montò in una tal furia, che entrato nella stanza di Elena mise tutto a soqquadro; ma la moglie potè fugare le lettere, ed era quanto bramava.

Soltanto un'ora dopo, e quando il signore di Campireali si poteva supporre veramente addormentato nella sua camera, che era posta vicino a quella della consorte, Elena osò interrogare la madre.

– Le lettere? le disse.

– Le son quì; io non voglio leggerle; pensa solo a qual rischio corresti! se io fossi in te, le darei alle fiamme. Va; addio...

Elena andò nella sua stanza; e sciolse in lagrime amarissime. Le sembrava che dopo le parole della madre più non potesse amare Giulio; e già si ammanniva a bruciar le lettere; se non che pensò non esser poi male rileggerle per una sol volta. E tanto e sì ben le lesse che il sole aveva già indorate le creste dei monti, quando si determinò a seguire il salutare consiglio.





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