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Felice Venosta
Elena di Campireali Abadessa di Castro

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  • III
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III

 

Il domani, giorno di domenica, appena le campanelle della parochia annunziarono la consueta messa del curato, Elena mosse colla madre per la chiesa.

La prima persona che ivi scorse fu Giulio Branciforte. Con uno sguardo si accertò ch'egli non era punto ferito. La felicità che provò in quell'istante fu immensa: gli avvenimenti della notte le erano le mille miglia distanti dal pensiero. Aveva fin dal mattino preparati cinque o sei biglietti scritti su frammenti di carta macchiata con terra stemperata in acqua, e tali da potersi credere trovati sul lastrico d'una chiesa: tutti que' biglietti contenevano gli stessi avvertimenti:

«Hanno ogni cosa scoperta; ma non il nome dell'autore. Che ei più non compaja nella via; altre persone si recheranno costì di sovente»

Elena lasciò cadere uno di que' biglietti: uno sguardo avvertì Giulio, il quale lo raccattò, ed uscì dal tempio.

Rientrando in casa, la giovinetta rinvenne sulla scala un pezzo di carta, che fissò l'attenzion di lei, per la esatta rassomiglianza con quello che poco innanzi aveva gettato a Giulio. Lo prese senza che la madre se ne addasse, e lesse:

«Fra tre giorni tornerà da Roma, ove è forzato andare. A sedici ore si troverà sulla piazza del mercato».

Quella partenza per la capitale parve strana alla fanciulla. Teme egli forse l'archibugio di mio fratello? andava ripetendo con dolore, o là trae, onde ordire a suo svantaggio!...

Egli è che per l'amante una volontaria assenza è un gran martoro. In vece di protrarre il tempo in una soave melanconia, e di pensare alle ragioni che si hanno d'amare il preferito garzone, la vita è agitata da crudeli dubbiezze.

E non è dire quindi come scorressero que' giorni per la misera, combattuta tra la speranza d'esser ancora amata e il timore di non esserla.

Ma i suoi timori si cangiarono in immensa gioja, quando al terzo dì scorse Giulio, che, vestito di nuove assise, si aggirava fra la ressa che spesseggiava innanzi al palazzo Campireali.

Nè fare di manco si poteva di scorgerlo. Quella nobiltà del suo incesso e quelle ricche vestimenta che aveva in dosso, quella cert'aria di festa e nello stesso tempo di bravería, comune allora anche agli uomini più quieti, che gli si leggeva sul volto, non avevano mai brillato con più vantaggio. E non è cosa da raccontare quante congetture brulicassero ne' cervelli de' terrieri e si annunziassero tronche e misteriose ne' loro discorsi a quel cangiamento di Giulio sì negli abiti che negli atti.

Giulio non fece che darsi spasso in tutto il giorno: sperava di poter vedere Elena davvicino, farle un segno, che so io; invano. Ella non uscì di casa; imperocchè se gli occhi di lei avevano, fra la folla, conosciuto il garzone, c'erano due altri occhi che pur l'avevano conosciuto.

Giulio aveva più che mai bisogno di bearsi nella vista di Elena. Egli era in quel dì, a malgrado dell'aria riottosa che si dava, quasi in uggia a sè stesso; temeva di trovarsi tutto solo nella propria casa; aveva duopo di distrarre la mente.

La causa era questa. Un vecchio soldato, per nome Ranuzio, dopo d'aver fatte col padre di Giulio dieci campagne, sotto gli ordini di diversi condottieri, l'ultimo de' quali Marco Sciarra, lo aveva seguíto in Albano, allorchè venne forzato, dalle riportate ferite, ad abbandonare il servizio militare. Il capitano Branciforte aveva sufficienti ragioni per non andare ad abitare Roma; ei non voleva trovarsi a contatto con coloro cui aveva ucciso o il padre, o il fratello, o il figlio. Aveva bisogno d'un luogo all'aperto, dal quale potesse scorgere i suoi visitatori di lontano. E la casa, che, fra i ruderi dell'antica Alba, aveva comperata, s'affaceva in tutto alle sue idee. Il capitano Branciforte non pensava punto pe' futuri bisogni del figlio. Allorchè s'allontanò dall'armi era su i cinquant'anni soltanto; ma pensò, che coperto qual era di ferite, non avrebbe campato che per oltre dieci anni; per lo che spese ogni anno il decimo di quanto aveva racimolato ne' saccheggi delle città e de' villaggi ai quali aveva avuto l'onore di assistere.

Dopo otto anni il capitano morì, e a Giulio non rimase di retaggio che la casa, l'attiguo giardino e la vigna di cui egli parlava nella lettera che aveva mandata ad Elena. Gli rimaneva ben poca cosa al mondo; però acquistava in Ranuzio un secondo padre. Ma stanco alfin questi d'una vita oziosa, riprese il servizio nella truppa del principe Colonna, e Branciforte si trovò tutto solo, appunto allora che aveva duopo d'un amico, d'un sostegno.

Un giorno Ranuzio venne a trovare il suo figlio, come e' diceva, e gli tenne questo parlare:

– Giulio, tu se' coraggioso, tu porti il nome di tuo padre, e puoi divenire un bravo avventuriere, e far la tua fortuna invece di morir dall'inedia in questo tuo tugurio.

Giulio pensò a quelle parole; s'abbandonò a' consigli di Ranuzio, e si trovò a più fatti d'arme, specialmente a quello della fortezza di Rôcca Petrella3 quando il principe Colonna, di quella signore, dovette sostenere un forte attacco. Ma dal momento che amò Elena, gli tornò in odio tutto ciò che era carnificina e saccheggio: un gran mutamento era avvenuto in lui.

Giulio, che aveva fondate le sue speranze nell'osteggiare, come su d'una risorsa sicura pel tempo in cui avrebbe speso il prezzo degli oggetti d'oro che aveva trovati nella cassa di ferro del padre, non avrebbe più osato, dall'istante che amava, indossare la divisa di soldato d'avventura, neppure in sogno. Ei temeva disgradarsi vieppiù agli occhi del signore di Campireali.

Quando poi questi gli diresse quelle pungenti parole sul suo abbigliamento, stette per più giorni immerso nel più profondo dolore. I più strani progetti gli rampollarono per la mente, però a nessuno si appigliava. Uccidere il vecchio era male, lasciarlo vivere ancora male. Rapire Elena, gli sembrava la migliore delle cose; ma in qual città condurla? Come vivere?...

Risolse infine di consultare Ranuzio, il vero amico che avesse quaggiù, anzichè protrarre il tempo a limarsi il cervello. Ma lo comprenderebbe egli mai? Ecco quanto ancora rattristava il misero.

Giulio cercò invano Ranuzio in tutta la macchia della Fagiola; gli fu giuoco forza andare oltre Velletri, ove l'amico comandava un'imboscata: vi attendeva Ruiz d'Avalos, generale spagnuolo, il quale si recava, con numerosa scorta, a Roma, senza punto rammentarsi che alcun tempo prima aveva parlato male assai de' soldati del Colonna.

Appena Ranuzio ebbe udito la narrazione di Giulio, così prese a dire:

– Descrivimi, figlio, con esattezza la persona di questo signore di Campireali, onde non abbia a prenderlo in fallo. Terminato l'affare che qui ci ritiene, andrai a Roma, e avrai cura di farti vedere in tutti i pubblici convegni ad ogni ora del giorno, affinchè di ciò che accadrà non nasca il sospetto su te.

Non fu facile a Giulio di calmare la collera dell'antico compagno d'armi del padre.

– Credi tu forse ch'io abbia bisogno della tua spada? gli diss'egli alfine incollerito. Non ho d'uopo che d'un savio consiglio!...

Ranuzio aveva per intercalare in tutti i suoi discorsi:

– Tu sei giovane, non sei ferito, e l'insulto fu pubblico: ed un uomo disonorato è disprezzato anche dalle donne.

Giulio, stanco della strana logica di Ranuzio, gli rispose che desiderava riflettere ancora sull'avvenuto; e, malgrado le istanze di lui, che a tutta forza voleva che il suo figlio prendesse parte all'attacco della scorta del generale spagnuolo, mosse soletto pel proprio abituro.

E fu appunto lì che il giorno prima che il signore di Campireali gli mirasse l'archibugiata, ricevette Ranuzio e un suo caporale, che eran di ritorno dalla spedizione di Velletri. Ranuzio volle, a tutto costo, vedere la cassa di ferro ove il vecchio capitano teneva rinchiuso il suo denaro. Ranuzio rimase estatico: nella cassa non c'erano che due scudi. Fissò un istante silenzioso, colle mani conserte al seno il suo Giulio e:

– Ti consiglio a farti frate, gli disse con una serietà tutta canzonatoria; tu hai tutte le disposizioni immaginabili per ciò: amore per la virtù e la povertà; la prova l'abbiamo nel tuo rifiuto ad accettare d'esser de' nostri nell'affare di Velletri, ove potevi guadagnare non pochi dobbloni d'oro fino di Spagna, i quali, certamente, non ti avrebbero recato impaccio, senza poi contare l'onore; umiltà somma; quel villan rifatto ti vilipende pubblicamente, e tu ti tieni le mani a cintola com'e' t'avesse insignito di qualche titolone; non ti manca che l'ingordigia e l'ipocrisia. In così dire trasse dalla borsa più monete d'oro, e le gettò nella cassa.

– Ti do parola, proseguì sul tono istesso, che, se fra un mese il signore di Campireali non è ancor sotterra con tutti gli onori dovuti alla sua nobiltà e alla ricchezza sua, il caporale Anselmi, che or ti sta dinanzi, verrà con trenta uomini, e appiccherà il fuoco a questa tua catapecchia: non sarà mai detto che il figlio del capitano Branciforte si mostrò vile col pretesto dell'amore.

Quando il signore di Campireali e il figlio tirarono le due archibugiate, Ranuzio e il caporale s'erano appostati sotto la balconata; Giulio poi dovette a tutt'uomo instare ond'essi non avessero ad uccidere Fabio, lorchè fece la sortita nel giardino, o a farlo prigione.

La domani di quest'avventura Ranuzio prese la via della macchia, e Giulio quella di Roma. La gioja ch'ei provò nel comperare, colle monete che avevagli date Ranuzio, quelle belle vesti che aveva in dosso, era contrastata dall'idea, straordinaria assai pel secolo in cui viveva, che Elena non lo conosceva ancora, come lo avrebbe dovuto. Ogni altro uomo dell'età sua e del suo tempo non avrebbe pensato che a godere dell'amor suo col rapire la fanciulla, senza darsi cura cosa diverrebbe sei mesi dopo, e quale opinione lei ne serberebbe in cuore.

Il dopo pranzo del giorno che ritornò in Albano seppe, per mezzo di un suo amico per nome Scotti, che Fabio era uscito dalla città a cavallo, per recarsi, in tutta fretta, tre leghe distante in una sua terra. Quindi vide il signore di Campireali prendere la via del lago accompagnato da due frati cappuccini. Dieci minuti dopo una vecchia s'internava con ardimento nel palazzo Campireali col pretesto di vendere frutte. La prima persona che le si fe' viva fu una certa Marietta, cameriera intima di Elena: la vecchia le diede un bel mazzo di fiori da consegnare alla signorina.

Elena divenne rossa come una ciliegia ricevendolo; e, nell'esaminarlo, scoprì che nascondeva una missiva. Giulio le raccontava tutto quello che aveva fatto dalla notte fatale in cui poco mancò non perdesse la vita; ma le tacque come fosse figliuolo d'un celebre capitano, e come esso stesso avesse date non dubbie prove di valore. Terminava la lettera con queste parole:

«Ignoro se gli abiti che apportai da Roma possono aver cancellato dalla vostra mente la crudele ingiuria che una persona da voi rispettata m'indirizzò, perchè le mie vesti non erano orrevoli; avrei potuto vendicarmi, lo avrei dovuto, l'onore me lo comandava, ma me ne astenni pensando che la mia vendetta avrebbe costato lagrime amarissime ai vostri occhi. Ciò è una prova che si può esser poveri ed avere nobili sentimenti».

Tre giorni dopo Giulio entrava nel giardino attinente al palazzo Campireali, e si gettava ai piedi di Elena. Più minuti scorsero que' due giovani in un perfetto silenzio. Tutt'e due erano invasi da quel tremito dilettoso che si prova, lorchè per la prima volta ci troviamo innanzi alla persona che amiamo.

Giulio, ginocchioni stringeva con adorazione quella soave beltà che sorridevagli così come non si sorride costaggiù.

– Elena, sclamò alfine il garzone riscuotendosi, Elena, ho una confessione a farvi e che non dovrei farvi. Forse, proseguì con voce quasi spenta, vedrò dileguarsi quel filo di speranza che mi unisce alla vita; ma tant'è, duopo è che lo faccia. Elena, voi mi credete povero; or bene: povero e figlio d'un brigante io sono.

Elena a quelle parole voleva fuggire, pensando alla propria famiglia; se non che il pensiero che Giulio potesse credere fosse pur da lei disprezzato per quella confessione, le fece nascere un altro sentimento. Si chinò verso il giovine che stavasene tutt'ora in ginocchio; si appoggiò a lui, e non istette guari a cadergli fra le braccia priva di sensi.

Nel sedicesimo secolo amavasi l'esattezza nelle storie d'amore. Lo spirito non giudicava quelle storie, l'imaginazione le sentiva, e la passione del lettore si identificava con quella dell'eroe. Le carte che consultiamo danno uno stretto conto di tutti i colloqui che seguirono questo. Il pericolo toglieva ad Elena il rimorso: sovente i pericoli furono estremi; ma non fecero che viemmaggiormente infiammare que' due poveri cuori, che, ad ogni sensazione che venisse dall'amore, si sentivano beati assai.

Più d'una fiata il signore di Campireali e Fabio furono sul punto di sorprenderli; e la loro rabbia si accresceva, poichè tenevano per fermo che i due amanti li bravassero: la voce pubblica apprendeva loro che Giulio amava, riamato, Elena, e mai potevano coglierli insieme. Fabio, giovane impetuoso alquanto e non meno altero di sua nascita, proponeva al genitore si dovesse uccidere Giulio.

– Finchè sarà a questo mondo, gli diceva egli, Elena correrà i più grandi pericoli. Forse un giorno avremo a macchiare le nostre mani del sangue di quell'ostinata; ell'è giunta a tale stato che più non nega il suo amore; lo vedeste, o padre, come rispose alle vostre interrogazioni: con un tetro silenzio! Or bene, quel silenzio sia la sentenza di morte di Giulio.

– Pensa, figliuol caro, gli rispondeva il genitore, chi fosse il padre di Giulio. Ci sarebbe facilissimo d'andare a Roma per un dato tempo, e torci di fra' piedi, frattanto, colui. Ma chi ci assicura che suo padre non abbia, mercè la sua liberalità, ancora di molti amici nelle compagnie del duca di Monte-Mariano e del principe Colonna?... Io son d'avviso di condurre l'affare con assai prudenza... dobbiamo ventilarlo lungamente.

Tali parlari, sovente ripetuti, giungevano agli orecchi di Vittoria Caraffa sbiaditi e confusi, ma sempre tetri e cruenti. Il suo povero cuore di madre prevedeva quanto funesto sarebbe stato per la diletta sua Elena l'amore che ella sentiva per Giulio.

Dopo non brevi contestazioni il signore di Campireali decise: che non conveniva più abitare Albano, stante le ciarle che circolavano sul conto di Elena; che, non potendosi far freddare Giulio, la cui insolenza, dal momento che aveva ricchi abiti, era venuta più manifesta, osando di pien meriggio o in pubblico convegno interrogare i signori di Campireali, sarebbe savio consiglio andare a Roma; che di nuovo Elena verrebbe rinchiusa nel convento della Visitazione a Castro, ove rimarrebbe sino a tanto che le si fosse trovato un conveniente partito.

Elena non aveva ancora osato confessare l'amor suo alla madre: madre e figlia s'amavano con tenerezza, protraevano il tempo insieme, eppure, mai una parola che desse appicco di parlare su quell'amore venne pronunciata.

Soltanto, se ben si rammenta il lettore, in una certa notte si scambiarono tronchi parlari, sommesse voci fra loro: e, d'allora in poi, più nulla.

L'una temeva d'interrogare, l'altra di confidare il segreto; quantunque tutte e due si convincessero, che quell'amore non era punto un mistero.

Vittoria aveva taciuto colla figlia; aveva fatto bene? Ed Elena aveva fatto bene a tacer colla madre? Secondo i doveri d'ambedue, no; ma quel caso non poteva riguardarsi come un'eccezione? E ci sono delle eccezioni ai doveri dell'uomo?... Questioni importanti, ma che il lettore risolverà da sè, se n'ha talento.

Noi non cerchiamo che fatti da raccontare, e raccontiamo.

Il punto quasi unico de' loro pensieri si fece palese, allorchè donna Vittoria disse ad Elena che il padre aveva deciso recarsi a Roma con tutta la famiglia, e mandare lei, per qualche anno, al convento di Castro.

Un tale dire sarebbe a riputarsi biasimevole assai, se non si pensasse quanto grande fosse l'affetto che donna Vittoria sentiva per la figliuola. Questa non poteva darsi pace; e, pazza d'amore, scrisse a Giulio che era decisa d'uscire di casa a mezza notte, d'andare seco lui nella sua dimora, protrarvi la notte: e additava il travestimento che avrebbero indossato.

Fa di mestieri osservare ch'ella doveva credersi ben salda nella virtù per osare cotanto!...

Allo scocco di mezza notte, due persone, che portavano l'abito di s. Francesco, sguisciavano, leste leste, silenziose, tutte incamuffate, dalla porticina segreta del giardino del signore di Campireali, e, dopo aver guardato in giro, prendevano la via d'Alba.

Giunte ad uno stretto sentiero, che rasentava il muro del convento de' cappuccini, ecco farsi loro incontro il signore di Campireali e il figlio Fabio, i quali, preceduti da un paggio portante torcia accesa e seguíti da quattro bravi armati fino ai denti, se ne tornavano da Castel Gandolfo4. I Campireali fecero ala onde lasciar passare i due supposti cappuccini.

A que' tempi erano questi avvezzi a tutto. Andando per via, potevano egualmente abbattersi in un titolato che loro baciasse con riverenza la punta del cordone, oppure in una frotta di monelli che, fingendo d'esser fra loro a baruffa, inzaccherassero loro la barba di fango. Non possedendo nulla, portando un abito più stranamente diverso dal comune, facendo più aperta professione di umiltà, s'esponevano più da vicino alla venerazione e al velipendio, cose che partono dal diverso umore, e dal diverso pensare degli uomini.

Ma i nostri due frati non avevano quell'aria di umiltà che caratterizza i figli di san Francesco; il loro incedere era incerto, la testa tenevan alta, non si curando quasi di accennare col capo essere grati alla deferenza loro usata.

Mettiamoci nei panni di Giulio e di Elena, identifichiamoci a quanto potessero, in quel momento, sentire entro di sè; e giudichiamo poscia se pensassero a bravare il pericolo in cui si trovavano.

E vaglia il vero: sarebbe stato assai meglio per Elena che fosse allora riconosciuta!... Forse un colpo di pistola l'avrebbe uccisa: ma il supplicio avrebbe durato soltanto un lampo. Il dito di Dio aveva scritto altrimenti (superis aliter visum)!...

Fabio, vedendo come il più vecchio de' due frati non salutava nè lui, nè il padre, s'avvicinò, gridando:

– Questo diavolo d'un frate m'ha un'aria da riottoso, e' non si degna neppure di salutarci! Lo sa Iddio cosa va a fare a quest'ora indebita fuor del convento! Son quasi d'avviso di alzargli il cappuccio per vedere il colore della sua faccia.

Giulio, a quelle parole, cavò di sotto la cocolla una daga, e ritto si piantò fra Elena ed il suo interlocutore.

Una lotta stava per succedere; ma strano a dire, la collera di que' due giovani si calmò d'un tratto: era così ordinato dagli eventi: essi dovevano darsi in altro modo la morte.






3 Rôcca Petrella, luogo solitario posto sull'Appennino fra Roma e Napoli, e più precisamente sopra un colle dell'Abruzzo ulteriore, e a confine della Sabina Pontificia, a quindici miglia da Aquila e trenta dal lago di Celano.



4 Borgo negli Stati Pontificj, la sua situazione ed i giardini annessi non ponno desiderarsi più deliziosi ed ameni: quivi i Papi protraggono le autunnali vacanze.





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