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Felice Venosta Elena di Campireali Abadessa di Castro IntraText CT - Lettura del testo |
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VIII.
Verso le ventitrè ore del giorno dopo, un certo Ugone, già medico di professione, e che d'alcun tempo aveva preso la macchia per aver ucciso il cognato, e che faceva parte della banda del Colonna, si presentava al parlatorio del convento della Visitazione, e chiedeva di poter prestare l'opera sua ai bravi ed agli altri armati che erano alla custodia di quello. Non era cosa rara a que' dì il vedere monasteri muniti quasi a fortezza: erano tanti i pericoli che minacciavano que' luoghi, che i Papi avevano ad una parte di essi tolta la clausura, onde vi avesse a stanziare quella quantità d'uomini d'arme che il convento potesse mantenere. E il monastero della Visitazione sopra ogni altro di bisogno aveva di starsene in guardia, come quello che assai era vicino alla famosa foresta della Fagiola popolata di briganti, i quali non si facevano scrupolo di sforzare un convento e commettervi rubamenti e qualcosa di peggio. In generale era un bel vivere a que' tempi nello stato romano. I briganti regnavano ovunque; i magistrati erano venduti alle famiglie potenti; le leggi c'erano, ma a che giovavano? Se un povero andava a chiedere giustizia contro certi soprusi, certe angherie ricevuto da un nobile; sì, altro che giustizia! Era meglio che se ne stasse zitto, perchè gli capitava addosso qualche altro malanno. Nel 1572, che fu l'epoca del processo di Elena, montò sul trono di san Pietro, Gregorio XIII Buoncompagni. Questi fu un uomo che riunì tutte le virtù apostoliche; ma la storia imparziale non può tacere di accusarlo di troppa debolezza nel governo degli affari. Ei non seppe scegliere giudici onesti, nè reprimere i briganti, che osavano mostrarsi persino alle porte di Roma: sentiva dolore di quanto accadeva, ma non sapeva prevenirlo. Gli sembrava che, infliggendo la pena di morte, una grande responsabilità sarebbe pesata sulla sua coscienza. Questa maniera di vedere fece sì, che i briganti giunsero a tale numero che per viaggiare con un po' di sicurezza, faceva di mestieri essere amico di qualcun di loro. La macchia della Fagiola8, il cui nome e il timore che incuteva vengono trasmessi di generazione in generazione nel popolo romano, era già da molto tempo il quartiere generale di un governo nemico a quello di Sua Santità; e più d'una fiata Roma fu obbligata di venire a patti, come fra potenza e potenza, con Marco Sciarra, uno de' re della foresta. Ciò che concorreva a costituire la forza di quelle genti, era che desse erano amate dai contadini loro vicini, i quali come dicevano, guadagnavano più col servire ai briganti, che obbedire al Papa. Tutta questa chiacchierata s'è fatta per dare un'idea a' nostri dieci lettori dello stato delle cose di quel tempo.
Verso mezzanotte, venti uomini, zitti zitti, nelle tenebre, a passo misurato, respirando appena, si dirigevano verso il convento della Visitazione, e sostavano alfine in un canto di quell'edificio. Avevano in dosso certi abiti strani; sul volto certe barbacce finte; in mano archibugi e coltelli. Agli atti ed al contegno ben si avrebbe potuto conoscer perché quegli uomini fossero venuti lì. Poco dopo, il rumore d'un cavallo, che a briglia sciolta correva, rompe il silenzio che regnava sulla città. Il rumore cresce, si fa più vicino, finchè si vede a spuntare sulla piazza l'ombra d'un cavallo e d'un cavaliere. Allora due degli uomini nascosti si avanzano verso il nuovo giunto, e: – Siam qui tutti, capitano, l'un d'essi dice sottovoce. – Anche i villani, risponde il cavaliere con un accento che non si sbagliava a dire fosse quello di Giulio. – Anche i villani. – Benissimo; voi due venite, come di concerto, con me, e gli altri aspettino il segnale convenuto. Tra il primo pensiero d'una impresa terribile, e l'esecuzione di essa, l'intervallo è un sogno, il quale, non rare volte, asseconda i pensieri di chi ne è in preda. Ma, al momento di dar principio all'opera, l'animo si trova tutto trasformato. Al terrore e al coraggio che vi sovrastavano, succede un altro terrore e un altro coraggio; talvolta comparisce grande l'ostacolo a cui s'era appena badato, talvolta diventa agevole tutt'a un tratto, ciò che prima spaventava di più; le membra ubbidiscono a stento, e il cuore manca alle promesse che aveva fatto con più sicurezza. Così fu di Giulio nel trovarsi sul luogo, ove pensava di far man bassa per venire ad un suo scopo, quello cioè di rapire Elena. Stette in forse, se dovesse, o no dare addietro: pensò alle conseguenze che potevano nascere; gli sembrò sentirsi fischiare nelle orecchie voci di scomunica e di dannazione; e allora si sentì venir, come si dice, i bordoni, e voleva proprio deporre il pensiero di soddisfare alla passione. Ma fu l'affare d'un momento: il trovarsi fra' suoi uomini; il pensiero subentrato che questi avessero potuto dire, ch'ei aveva indietreggiato innanzi al pericolo lo fece avanzare. Bussò ripetutamente al portone del convento; e si spacciò per un messo del cardinale di Santi-Quattro, allorchè gli venne risposto. Seguendo l'uso scrisse il suo nome su d'un pezzo di carta; e questo, dopo tutte le cerimonie dovute, fu consegnato alla madre badessa. La risposta si fece aspettare quasi un'ora; durante quel tempo Giulio si die' molta fatica per tenere in silenzio la sua truppa, la quale non vedeva il momento di prendere una buona satolla, lì nel convento. Giulio entrò nel corpo di guardia per mezzo di una scala di corda, che due bravi, che erano di sentinella, gli gettarono da una finestra alta sei piedi da terra: i due che si erano avanzati all'arrivo di Giulio, lo seguirono sotto il nome di servi. Appena scavalcata la finestra, Giulio s'abbattè in Ugone, che gli susurrò in modo da non farsi scorgere: capitano, sono ubbriachi cotti, sapete! Giulio fece sembiante di nulla; ma voltosi al capo della squadra gli disse: che tre famigli della casa Campireali, che aveva fatti armare come soldati, per tutto ciò che poteva avvenire lungo la strada, avevano comperata della buona acquavite, e chiedevano di poter essere ammessi nell'interno, per non annojarsi tutti soli sulla piazza: tale desiderio venne facilmente appagato. In quanto a Giulio, seguito dai due finti servi, discese per una scala che conduceva ad un cancello di ferro, il quale dava accesso nella parte dell'edificio abitato dalle monache. E innanzi a quel cancello sostò, dicendo ad un de' suoi di aprirlo a tutto costo, dipendendo da ciò l'esito dell'impresa. Stava lì aspettando una conversa, onde recare all'abbadessa quanto di scritto portasse il corriere: poichè, passata essendo la mezzanotte, nessuno poteva aver entrata, senza un ordine dell'arcivescovo, in quel sacro ricinto. Giulio, che non si aspettava di sentire una tale cosa, rimase di stucco; ma il tempo incalzava, e riscuotendosi disse alla giovine: che nel disordine che aveva accompagnata l'impreveduta agonia del signore di Campireali, non si aveva avuto tempo di scrivere; però, quando fosse duopo, poteva presentare alla reverenda madre abbadessa un certificato medico, di cui egli era munito... – Sentite, quella ragazza, disse Giulio vedendo che l'altra se n'andava a fare l'imbasciata, sentite; sarebbe meglio che mi apriste, così potrò, con questi miei compagni, sedermi su quella panca; e, in così dire, le offriva un pugno di zecchini. In questo punto, il cronista da noi consultato, con una lunga filastrocca, fa conoscere quanto male avesse fatto Giulio ad offrire del danaro ad una monaca; e conchiude col dire, che col ferro e non coll'oro doveva agire. All'offerta fattale, la giovane si allarmò, e, come disse poscia, riconobbe nell'uomo, che le stava dinanzi, non un corriere, ma un amante di qualche educanda. Côlta d'orrore afferrò la fune d'una campana, e forte l'agitò. – Incomincia la guerra, gridò Giulio a' suoi, attenti! Nell'istante medesimo si udì lo sparo di un archibugio; la fanciulla si salvò; e Giulio e i suoi due compagni si posero a scassinare il cancello. Ugone aveva frattanto aperta la porta di strada e il rimanente della truppa cominciava pian piano ad entrare in convento: se non che, uno de' bravi di guardia, brillo sì, senz'essere ubbriaco, fattosi alla finestra, e scorgendo tanta gente, diretta verso l'ingresso, cominciò a gridare che si fermasse. Bisognava o rispondere o far orecchia da mercante; ciò che fecero i primi; ma un certo villano, che, veniva in coda, vedendo quel matto che gridava a più non posso, pensò bene di farlo freddo, e gli tirò una pistolettata. Il colpo e le grida dei bravi riscossi nel veder a cadere un loro compagno, destarono i soldati del convento, che tranquillamente russavano ne' loro letti. E, in men che non si dice, fu un parapiglia, una confusione da non si poter descrivere.
Otto o dieci armati corsero all'ingresso, e contesero gagliardamente il passo ai soldati di Branciforte. Nel momento appunto che incominciava il tafferuglio, Giulio giunse ad aprire il cancello; e, seguito sempre da' suoi due soldati, precipitò nel giardino, correndo verso la scala che conduceva alle celle delle pensionarie. Ricevuto da più colpi d'archibugio, ebbe i suoi soldati uccisi, e lui il braccio destro passato da parte a parte. Tale scarica venne eseguita dagli armati della signora di Campireali; i quali, dietro gli ordini di lei, facevano la ronda nel giardino, a ciò autorizzati da un permesso che donna Vittoria aveva ottenuto dal vescovo, che era tutta cosa sua. Giulio volò solo verso l'usciuolo, da lui sì ben conosciuto, ove tante volte aveva veduto la sua Elena: e' a tutt'uomo si adoperò onde aprirlo; invano, che era troppo solidamente assicurato. Chiamò le sue genti, ma nessuno rispose; per soprassello, attirati alle grida tre de' servi della Campireali, dovette battersi gagliardamente a colpi di daga, se volle uscir salvo dalle loro mani. In quel frattempo un regolare conflitto si era ingaggiato fra gli armati tutti del monastero e quelli di Giulio. Questi mostravano un coraggio, un'abnegazione non mai la maggiore; ma di notte, in un luogo non conosciuto, venivano sacrificati senza frutto veruno. Giulio disperava omai della riuscita dell'impresa; sentiva che il fuoco era ben alimentato, ma chi erano i vincitori? Indovinala grillo. Allora pensò di unirsi al grosso del corpo, e di vedere come stessero le cose. Guidato da una lampada che ardeva innanzi ad una Vergine, Giulio entrò in una capace stanza; e quale non fu la sua sorpresa nello scorgere basita, in un seggiolone a bracciuoli, Marietta la cameriera di Elena. Ei la scosse non troppo dolcemente; ed ella, destandosi: – E che! signor Giulio, sclamò, uccidere volete Marietta, l'amica vostra?... E sciolse in copiose lagrime. – Tu mi credi da tanto, ragazza mia?... Io t'ho desta affinchè tu dica ad Elena ch'io le chiedo perdono se le ho turbato il riposo, e la preghi a mio nome che si sovvenga dell'Ave. Prendi questo mazzetto composto di fiori côlti nel suo giardino d'Albano; dille che son tinti del sangue mio. Ora, dimmi, ov'è la chiave dell'usciuolo. – No 'l so; ma ecco quella del cancello dell'orto. Giulio prese la chiave e uscì dalla stanza. – Seguitemi, sclamò egli raggiungendo i suoi soldati, e vedendo a quale stato erano ridotti; potremo uscire dalla parte opposta, dall'orto. Allora ognuno de' superstiti desideroso di tôrsi da quel luogo troppo funesto, di sottrarsi alla vista di testimonj, che so io? di nascondere a sè medesimo la parte che aveva avuto in un eccesso, che prevedeva quanto dovesse aizzare la collera del principe, che non rare fiate aveva punito colla morte simili intraprese, indietreggiò. Ma non erano finiti i guai ancora. |
8 La macchia della Fagiola è a cavaliere della via d'Albano a Napoli. |
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