FANTE DI PICCHE
I.
A ventidue anni Donato è un bel
giovane bruno; sa tirar di sciabola e di pistola, caracollare con grazia sopra
un cavallo, infilar come saetta le vie di Milano sul velocipede, e sa
all'occorrenza camminare a piedi senza dinoccolar le gambe per far pompa d'una
disadattagine che è l'ultima parola dell'arte del perfetto cavallerizzo. A
ventidue anni Donato, non ostante il contagio della città dove vive da un
pezzo, si è serbato figlio e fratello tenerissimo, adora la canizie del suo
vecchio padre e non immagina al mondo cosa più soave della testolina bionda
della sorella. Or ecco perchè il vecchio Norberto e Mariuccia in quella calda
sera di luglio si lasciano rubare i sospiri dalla brezza senza quasi
avvedersene: Donato deve abbandonare ancora una volta la paterna villetta di
Romanò in Brianza, per tornarsene alle severe assiduità della Scuola
d'Applicazione ed alle innocenti delizie del Veloce-Club di Milano.
Nè ciò soltanto affligge le due
anime buone; all'occhio della loro tenerezza non è sfuggito che Donato, nei tre
giorni passati in villa, fu inquieto più del solito.
Certo egli ebbe ancora sorrisi, ma
brevi e fuggitivi, di quelli che appaiono a fior di labbro e di repente si
cancellano senza lasciare alcuna traccia. Talvolta pure infilò le ciancie, gli
si accesero le gote impallidite, gli brillò lo sguardo, ma d'un tratto
ammutolì, si oscurò in volto, si ritrasse nella sua cameretta od uscì
all'aperto, e quando si credette non visto si lasciò cadere sopra un sedile, e
stette lungo tratto d'ora immobile, coll'occhio fisso a terra. Mariuccia ed il
babbo lo spiarono senza saper l'un dell'altra; venti volte vennero entrambi da
opposte vie ad incontrarsi per caso in faccia a Donato meditabondo; e allora il
babbo si arrestò estatico a guardare un alberello, Mariuccia si chinò a
cogliere una miosotide, per dar tempo al giovine di comporre il volto alla
pietà d'un ingannevole sorriso. La sorellina, che potè tener dietro a Donato
con assai maggior naturalezza e punto scrupoli, vide poc'anzi il fratello colla
testa fra le mani... un pezzo... un pezzo, trattenne il respiro e sentì
gonfiarsi il cuore dall'affanno, e finalmente non potendone più, diede in uno
scoppio di pianto che costrinse Donato a scoprire la faccia lagrimosa. Egli
corse a lei, si abbracciarono stretti, confusero le loro lagrime, finchè la
giovinetta levò il bel viso, e pose negli occhi una domanda.
Donato si schermì, si chinò a
raddrizzare una dalia curvata dal vento, poi appiccò discorso, costrinse la
sorellina ad ammirare il ceruleo anfiteatro delle montagne lontane, si provò
anche a cercar argomento scherzevole, e trovatone uno vi spese più barzellette
che non meritasse, e delle barzellette rise più forte del solito, e fe' pure
ridere la fanciulla; ma quando, esaurita quella forza fittizia, guardò negli
occhi di Mariuccia, vi lesse chiaro la stessa dimanda di prima: «e perchè
piangevi?»
«Sono uno sciocco, disse allora, mi
vergogno di me stesso; piangevo perchè ho paura di presentarmi agli esami; un
superbiaccio pari mio meritava questa umiliazione; a te lo posso dire: il
Veloce-Club, e le cavalcate, ed altro mi hanno fatto trascurar la scuola di
meccanica e di costruzioni, gioco una brutta carta...
E come se gli si ripresentasse alla
mente l'immagine della propria sciagura, s'interruppe e non aggiunse parola.
Anche Mariuccia tacque, perchè vide
venire il babbo da lontano. Altrimenti ella avrebbe pur detto al fratello che
le sue paure erano fantasime vane, che d'esami ne aveva già superati un
esercito senza averne mai trovato uno che gli facesse proprio paura, che per
dieci o venti lezioni di meccanica perdute uno studente di matematica non è già
in rovina, e può diventare ingegnere e dei buoni ugualmente. Ella avrebbe pur
detto tutte queste cose ed altre, o piuttosto non avrebbe detto nulla, perchè
s'era accorta che, per la prima volta in vita, Donato, il suo buon Donato... mentiva,
e si teneva certa non altro essere tutta la storiella degli esami se non un
nero tessuto di bugie per carpire la fede della sorellina ingenua.
Donato alla vista del babbo tornò
ilare, passò il rovescio d'una mano sugli occhi per cancellare ogni traccia
delle lagrime versate, si dimenò come una girandola che non piglia fuoco,
facendo cento cose inutili, gettò qualche scintilla di buon umore... e
finalmente si spense. E per non trovarsi innanzi alla tenera sollecitudine di
quella faccia serena di vecchio, tutta rughe ed amore, girò sui tacchi come
sopra un cardine, e se n'andò a testa bassa, curvandosi a raccogliere un fiore
che non guardava nemmeno od un sassolino che lanciava distratto a saltellare
sul viale...
Ed ecco perchè il vecchio babbo e
Mariuccia, rimasti soli, guardano alle giogaie alpine baciate ancora dal sole,
alla vallata del Lambro dai larghi piani d'un verde cupo, sentono in quell'ora
melanconica come un'ansia paurosa, e non si avvedono che la brezza invola alle
loro labbra un sospiro.
«Bella sera! dice Norberto.
- Bella! risponde Mariuccia.
E il babbo pensa che la fanciulla
abbia ricevuto le confidenze di Donato, e la fanciulla dice a sè stessa che
certo il babbo dev'essere informato della vita che Donato fa a Milano e di
quanto può essergli accaduto.
Tacciono.
I raggi del sole valicano le ultime
creste del Resegone e si perdono nello spazio azzurro, le ombre si addensano
tutt'intorno, le campane dei paeselli si rispondono da lontano, e l'ala greve
del pipistrello passa come un'ombra nera nella luce impallidita del crepuscolo.
«Partirà domani Donato? domanda la
fanciulla.
- Domani...
- Povero Donato! È in pensiero
pegli esami.
- Te l'ha detto lui?
- Sicuro.
- Ho notizie dai suoi stessi
professori, non deve temer di nulla, è studioso, diligente ed assiduo.
- Anche alla meccanica?
- Anche a quella.
Mariuccia l'ha immaginato, non
domanda altro; e il babbo che vorrebbe sapere dalla fanciulla... senza metterla
inutilmente in malizia... non sa proprio come fare.
- Non ti ha confidato nulla Donato?
chiede finalmente, tirandosi sotto il braccio la figliola ed avviandosi verso
la palazzina.
- Null'altro.
Mariuccia, la scienza dei suoi
sedici anni compiti, se anco non l'ha appresa da altri, l'ha indovinata
benissimo, e però soggiunge dentro di sè:
«A questo avevo pensato anch'io! Ma
se fosse innamorato, a me lo avrebbe detto!»
Due ore dopo la piccola Maria ed il
vecchio Norberto si augurano la buona notte con un bacio. Ciascuno d'essi deve
passare innanzi ali'uscio socchiuso della camera di Donato.
«Buona notte!
«Buona notte!
E alla voce argentina della
fanciulla ed alla tremula voce del vecchio, Donato risponde facendosi
sull'uscio a baciare in volto i suoi cari, poi rientra, si ferma nel mezzo
della stanzetta ad ascoltare i passi della sorella e del padre, e quando non
ode più nulla, altro che il rauco coro delle rane e il zirlo degli insetti
nella campagna, si appoggia alla finestra, e sprofonda lo sguardo lontanamente
nel buio.
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