III.
«Signor Donato! signor Donato!»
Così chiama alle spalle del
fuggitivo una vocina fresca, d'un timbro giocondo. Donato si arresta, si volge;
sul sentierolo si tien ritta una svelta personcina, con un viso da Madonna
meridionale, piccolo, rotondo, bruno, irradiato dalla gaia luce di due grandi
occhi neri. La giovinetta non sa come comporre il bel volto, ha sulle labbra un
sorriso e nello sguardo intento un affanno; ha udito lo sparo, e subito dopo ha
visto il giovine attraversare il sentieruolo, per cui ella saliva, coll'arme in
pugno e coi capelli arruffati. Nè sa che pensare.
Donato anch'esso ha riconosciuto la
giovinetta: Costanza! Ma parendogli già i due occhi lucenti gli abbiano letto
in cuore, e sentendo l'impaccio della rivoltella che tiene tuttavia stretta in
pugno, non sa risolversi a muoverle incontro, e lascia cadere le braccia lungo
i fianchi. Allora Costanza non esita più, si volge come a cercare dell'occhio
il suo compagno di viaggio, che apparisce tutto trafelato nella persona scamiciata
d'un monelluzzo da campagna, si avanza fra le piante e vien diritta incontro a
Donato.
«Se non mi fa male con
quell'arnesaccio lì, vengo...» dice con voce scherzosa, e già gli è presso, e
già ricerca pietosamente sulla faccia stravolta, negli occhi gonfi dalla veglia
e dalle lagrime, nello sconforto dell'atto, la sciagura che si nasconde. Donato
volge appena il capo, tenta un sorriso e dice, facendo un gran sforzo sopra sè
stesso, con una compitezza che fa male al cuore: «Buon giorno, signorina, come sta?»
Costanza piglia nelle sue la mano
che le viene offerta, e la trattiene, e di nuovo interroga cogli occhi e
coll'ansia.
Donato è titubante; sente il
bisogno di versare l'anima sua con una confidenza intera; un istinto lo spinge
a confessare, ma un altro più forte lo trattiene; la lotta è breve, gli occhi
pietosi della fanciulla squarciano il velo; il giovine rivela la sua sciagura,
il suo proposito, tutto l'immenso affanno.
«È il cielo che la manda, aggiunge
tremante; non so perchè ho subito sentito il bisogno di confessarle quanto mi
passa in cuore, so che a nissun altro avrei fatto simile confidenza.
- Sì, è il cielo che mi manda,
risponde Costanza con accento melanconico, ma dolce; è il cielo che ha fatto
spezzare il timone della nostra carrozza sulla via maestra, ed ha costretto lo
zio a tornarsene indietro fino al vicino paesello per farlo accomodare; è il
cielo che mi ha messo in capo l'idea di attraversare il boschetto per
risparmiare due buoni terzi di strada; è il cielo che mi ha fatto arrivare proprio
oggi ed a quest'ora, mentre Mariuccia ed il signor Norberto non ci aspettano
che domani... sì, tutto questo lo ha fatto il cielo per impedire una sciagura
cento volte maggiore.
Donato porge orecchio alle parole della
fanciulla come ad una musica, ne guarda il bel viso compassionevole come una
cara visione, e istintivamente nasconde dietro le spalle l'arme che ha nella
destra. Ora che ha tutto detto, gli par di sentirsi alleggerito; si dimentica
quasi, ripiglia le mille fantasie della notte, rallegrate dai trilli delle
rondini inquiete e dalla splendida luce del mattino; gli par di non essere mai
stato colpevole di nulla, e sia la propria angoscia un brutto sogno della
notte, ed egli si trovi in faccia a quella natura sorridente, a quel leggiadro
volto amoroso, a quegli occhi fascinatori, attratto da un sentimento nuovo che
è una festa, una luce; tutte le potenze dell'anima dimentica bisbigliano una
parola, la stessa che gli ripetono i passeri ciarlieri e i tremoli riflessi
delle rugiade ed i soffi tiepidi della brezza: «Amala!»
Amala! tu hai bisogno di un dolce
nodo che ti trattenga nella vita, poichè gli affetti santi dei tuoi cari, per
tua sciagura, ti fanno desiderare la morte, hai bisogno di un sentimento nuovo e
tirannico che t'invada il petto da padrone e vi soffochi le angoscie vane, d'un
pensiero che cancelli ogni altro pensiero, d'un caro fantasma rosato che
disperda un'orda di fantasime nere; colma in un istante il vuoto di ventidue
anni, apprendi qual sia la gran festa del cuore: «Amala!»
Vi sono palpiti che compendiano
tutta l'esistenza; udite la vecchiaia volgersi indietro e ripetere: «Io vissi
in quel giorno, in quell'ora, quel dolore e quella gioia sono cosa mia, il
resto appartiene al tempo.»
Se non appar nulla in volto a
Donato, perchè Costanza abbandona la mano del giovine, e, quando egli tenta di
riafferrarla, sorride?
«Senta, dice la giovinetta con un
accento determinato che le da un vezzo di più, senta, io le voglio bene, perchè
siamo cresciuti, si può dire, insieme; crede ella che io abbia il diritto di
interessarmi al suo dolore?
Cogli occhi, coll'atto, col fremito
delle labbra, Donato risponde di sì, di sì, di sì - a parole non può;
- Ebbene, prosegue la fanciulla, se
ho questo diritto, ho anche quello di pensare al rimedio.
- Non vi è rimedio, balbetta il
giovine, tranne uno...
Costanza si arresta.
- Dica...
Ma Donato si turba, si fa rosso in
viso, poi impallidisce e fissa l'occhio a terra ripetendo fra sè e sè: «Non vi
ha rimedio.»
- Quando è così, la lasci dire a me
che ve n'ha uno.
- Quale?
- Il più semplice; pagare le
cinquemila lire quando sia il momento, senza dir nulla al babbo, lavorar poi
assiduamente e riguadagnare il denaro perduto... è dell'altro insieme.
- E il denaro?
- Bisogna trovarlo in prestito...
Il giovine tentenna il capo.
- La cambiale scade fra otto
giorni.
- E fra otto giorni bisogna avere
le cinquemila lire, e le avremo. Io sono ricca, così dicono tutti nel paese,
non ho il babbo da un pezzo, e l'anno passato mi è morta anche la mamma, non mi
rimane che lo zio, il tutore; domani egli sarà a Romanò, gli dirò tutto, gli
farò giurare che terrà il segreto col signor Norberto...
A Donato balenano negli occhi la
gratitudine e l'amore, ma lo sconforto lo vince di nuovo.
- È impossibile, non posso
accettare...
- Perchè è superbo.
- Simile sagrifizio...
- Nessun sagrifizio!... Mio zio è
di quella razza di zii che fa miracoli per accontentare le nipotine, non dirà
di no; giurerà tutto quello che vorrò io, e piglierà le sue precauzioni per
assicurare il mio denaro, andrà da un notaio se occorre, insomma farà le cose
in regola. Ella non conosce mio zio, perchè da soli sei mesi ha comperato da
queste parti la filanda; se lo conoscesse direbbe che è cosa fatta.
La mente di Donato assediano mille
idee, mille fantasie; non sa che rispondere, e intanto fissa gli occhi attoniti
negli occhi lucenti della fanciulla, la quale, non sospettosa, gli sorride.
- Non se ne parli altro, dice
finalmente la giovinetta, è cosa fatta - e porge la mano al giovane che la
piglia melanconicamente e la porta alle labbra sospirose.
Costanza lascia fare crollando il
capo.
- Ed ora la mi dia quell'arme,
soggiunge con accento di soave imperio.
Gli va dietro le spalle, gli toglie
di mano la rivoltella con mille cautele, poi la impugna e domanda al giovine,
che si è voltato e la guarda tuttavia sbigottito: «Così bisogna premere?»
Donato fa per pigliarle l'arme, ma
la fanciulla lo allontana colla mano manca, protende la destra, tira indietro
quanto può il corpo, chiude gli occhi e preme coraggiosamente il grilletto. Un
colpo parte, poi un altro, ed un altro, e ad ognuno Costanza si tira indietro,
serra le labbra, socchiude gli occhi e ride. Quando l'arma è del tutto
scaricata, la restituisce, al giovane, e gli si attacca a braccetto.
Si avviano senza dir nulla;
all'atto di uscir dal bosco, la fanciulla si ferma e dice a Donato: «Non ha
detto che accetta la mia offerta, lo dica ora, perchè non se ne parlerà più.»
Allo studente di matematica par
finalmente che torni proprio la rettorica; incomincia una frase, va fino a
metà, si ferma...
- Ella ha fatto molto per me, dice
finalmente balbettando, mi ha tratto da morte a vita, faccia di più...
- Che cosa? domanda Costanza
sorridendo.
- Permetta che io la baci in
fronte.
E perchè Costanza si fa rossa, egli
soggiunge:
- Non può rifiutarsi al capriccio
d'uno che ha risuscitato...
Ma il piccolo monello che
accompagna la giovinetta si è fermato anch'esso, e guarda curiosamente.
«Vieni qua, gli dice Donato,
obbedendo ad un'ispirazione.
Il fanciullo si accosta titubante.
«Chiudi gli occhi, ed indovina che
moneta è questa.»
Il fanciullo è sicuro d'indovinare
e vuoi guadagnare il suo denaro onestamente. E allora Costanza, sorridendo,
porge la fronte a Donato che vi imprime un bacio ardente e lungo.
- Un soldo!» dice il monello.
E non venendogli subito risposto,
corregge: «Due soldi!»
Questa volta indovina e in premio
ne ottiene altri sei. Che gioia pura, profonda e muta! Il fanciullo afferra il
suo tesoro senza dir parola e corre a gambe levate giù pel bosco, mentre
Costanza e Donato attraversano, a braccetto e pensosi, il viale che dalla
chiesa mena a Romanò.
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