V.
Dieci volte si è incontrato
distrattamente con un'idea buia che gli passa ogni tanto dinanzi, ma ancora non
sa bene che sia; ha l'occhio, il pensiero ed il cuore al solito fantasma dai
labbruzzi rosati; ma l'ombra nera, instancabile, ripassarsi fa una luce di
baleno nello spirito di Donato... è dessa, la cambiale che scade al domani!
Il fantasma dai labbruzzi rosati
scompare, tutto un esercito di immagini paurose invade il campo dei suoi sogni
ad occhi aperti; è un istante solo, ma quante amare ricordanze in un istante!
Ah! che ha fatto! che ha fatto! Come sarebbe felice ora se...
Bizzarra beffa della sorte, che
egli debba la felicità alla propria sciagura! Pure è così: senza quel denaro
perduto, or non si sentirebbe tanto ricco! Gli viene un estro di filosofo.
«Ecco, dice Donato a Donato, quando tu perdi di tasca uno scudo, ti si fa
pagare con questa moneta quel tanto d'esperienza necessario a non mettere gli
scudi nelle tasche sfondate.» Potrebbe moltiplicare gli esempi all'infinito, ma
si pente, si arresta, e per non conchiudere che a lui l'esperienza fu fatta
pagare troppo cara, avvia il pensiero da un'altra parte. E da qual
parte? La cambiale che
scade al domani anticipa, gli si presenta allo sconto, ed egli, non pratico di
codeste operazioni bancarie, ci si confonde, ci perde il capo.
Viene la notte, una eterna notte di
fantasie nere, viene il mattino.
Ora si inquieta: le cinque mila
lire non ci sono ancora, se mancassero!... Costanza non ha scritto, lo zio non
si è fatto vivo. Tutto ieri pareva una cosa naturale e logica che il denaro
dovesse venire al domani; appena è l'alba del domani pare invece una cosa
naturale e logica che il denaro doveva venire alla vigilia. Donato, frugando
nel codice di commercio, ci ha trovato molte dozzine di articoli che lo
riguardano, ha nel cervello una processione d'immagini disparatissime,
scadenze, protesti, baci, tavolieri colmi d'oro, la canizie del padre, il coro
delle rane di Romanò, e in coda a tutto... l'arresto personale.
Sono le dieci del mattino; qualcuno
picchia all'uscio del suo domicilio legale; a Donato tremano le gambe
nell'andare ad aprire. Se si sapesse già che egli non ha il denaro, che non può
pagare, e si venisse ad arrestarlo!... Non ci è senso comune, lo sa, ma tanto
tanto trema; e giunto sul limitare, si ferma e non osa tirare il catenaccio,
che gli par già di vedere dietro l'uscio un volto freddo, marmoreo, un uomo
dall'aspetto rigido, a cui dovrà dire.... che cosa?...
Egli non sa risolversi ad aprire e
l'altro pare determinato ad entrare, perchè borbotta fra i denti contro la
mancanza d'un campanello e tira calci all'uscio.
Qualcuno si affaccia al
pianerottolo e dice all'impaziente: «dormirà!» E l'impaziente risponde: «quando
si hanno da pagare cinque mila lire, non si dorme fino alle dieci e un quarto.»
E l'altro, un ottimo vicino: «E
quando non si hanno....» Senza dubbio lo scherzo gli pare amenissimo perchè
sghignazza forte.
Un istante di silenzio; Donato, ora
che vorrebbe aprire, ha paura di lasciar entrare gli sguardi curiosi di quel
vicino che ride. Ma il buco della toppa si oscura; forse qualcuno guarda...
Donato si tira indietro quanto può, senza far rumore, per non esser visto; ma
ode nuove ciancie, rumore di passi sul pianerottolo, giù per le scale, poi più
nulla. Il buco della toppa è sempre oscurato; Donato ci va presso, guarda e
vede una cartolina piegata; l'afferra, torna nella sua camera da letto e si
lascia cadere fra le braccia d'una poltroncina. Ha la fronte coperta di sudore.
Quella cartolina dice press'a poco
così: «Il signor Donato X è invitato a pagare alla Banca (qui una delle cento)
Lire 5000 per un effetto scaduto oggi.»
Ci pensa, rilegge, non capisce,
rilegge ancora:
«Il signor Donato X è invitato a
pagare alla Banca..., lire 5000 per un effetto scaduto oggi.»
Ma si tirano nuovi calci all'uscio.
Una speranza entra baldanzosa nel cuore del giovine, e gli dice: «va ad
aprire.» Non ci va, ci corre.
Un ometto sottile e nervoso, con una
faccia mobilissima e sorridente, si affaccia nel vano:
«Il signor Donato X?
- Sono io, per servirla.
- Vengo da parte del signor Martino
Bruscoli.
Donato non ha mai inteso questo
nome, e tira ad indovinare:
«Lo zio di Costanza?
- Precisamente lo zio della
signorina Costanza.
E l'ometto in così dire è guizzato
in camera, sorridendo e guardandosi intorno coll'aria d'uomo soddisfatto di sè
medesimo.
Anche il giovine studente ne è
soddisfatto; il volto, i modi, tutto gli piace nell'incognito, sente che se lo
stringerebbe volentieri al petto, ma un naturale sussiego lo trattiene.
In quella vece accosta un
seggiolone, invita il nuovo venuto a sedere, e gli domanda col miglior garbo
possibile:
- Ella è il signor?...
- Come le ho detto, vengo da parte
del signor Martino Bruscoli, ripete l'ometto, chiudendo un occhio e cacciando
una mano nella tasca del farsettone.
Che modi, che sorriso, che uomo
adorabile!
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