Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Salvatore Farina
Fante di picche

IntraText CT - Lettura del testo

  • FANTE DI PICCHE
    • IX.
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

IX.

 

Il pendolo della sala da gioco segna le undici da tempo immemorabile; ma porgendo l'orecchio, in un intervallo di profondo silenzio, si odono le voci variamente fioche degli orologi lontani. Sono le due dopo mezzanotte.

La fortuna di Valente ha stancato gli avversarii che ad uno ad uno sono scomparsi; rimangono un paio di testerecci, ed una mezza dozzina di scioperati, i quali, non avendo un quattrino per pagarsi vizii proprii, campano sulle bricciole dei vizii degli altri. Costoro non se ne andranno che dopo l'ultima partita.

Donato, col capo curvo sul petto, sembra estraneo a quanto succede tutt'intorno, ed il signor Asdrubale, dopo essere stato un pezzo in silenzio, si decide a rammentare la sua presenza con un sospirone lungo lungo. Lo studente si scuote, si leva in piedi, e come colto da un improvviso pensiero, ricade sulla seggiola balbettando:

«Sono agli ordini suoi.

- Agli ordini miei, dice l'ometto con accento di evangelica pietà; agli ordini miei! ma io non ho ordini da darle, caro signore; il suo debito, ella sa benissimo che ascende a... ecco... lo dicevo, ella lo sa benissimo; dunque non ne parliamo altro; quanto al termine ed al modo di pagamento, io... (ah! le giuro che mi duole di aver guadagnato, non dico che preferirei aver perduto perchè non mi crederebbe e non sarebbe vero, ma in coscienza mi duole,)... quanto al termine io lei non ne sappiamo nulla, dipende dal cielo, il meno che posso fare per dimostrarle il mio... la mia... i miei, insomma il meno che posso fare è di augurare a quell'ottimo signor Norberto gli anni di Matusalemme.

Donato si fa forza per chiudere l'uscita ad un'onda amara di lagrime, ed arriva appena in tempo a trattener coi denti un singhiozzo che si perde in un mugolio lamentevole.

Il signor Asdrubale sembra proprio alla tortura

«Non ne parliamo più, egli dice; e se può, se ne dimentichi ella stessa, veda, io me ne sono bell'e scordato; la cosa è semplicissima, e deve passare fra noi due soltanto; anima viva non l'ha a sapere; di questo fatto doloroso nissuno avrà dolore, eccettuato lei ed... io. A suo tempo, fra venti anni, fra trenta, salderemo i nostri conti senza amarezze soverchie.

Bisogna dire che l'ometto trovi proprio irresistibile la sua eloquenza, perchè, interrompendosi un istante, ripiglia fiato così:

«Allora ella sarà in grado di non avvedersi nemmeno di questa piccola sventura... perchè è giovane, ha talento, buona volontà, ed i giovani ingegneri di talento, se lo lasci dire ancora una volta, hanno sempre una miniera sotto i piedi; un bel giorno battono il tacco e trovano il filone buono, afferrano la fortuna per i capelli d'oro e non la lasciano più scappare. Così farà lei; è il solo rimedio al suo male, è la sola via onesta...

Alla parola onesta, Donato rialza vivamente il capo; senza rendersene conto, ha una voglia pazza di regalare un paio d'impertinenze al suo avversario. Il quale interpreta quell'atto a modo suo e tira innanzi senza fermarsi:

«Bravissimo; così mi piace. Un uomo volgare, dopo una brutta notte come questa, penserebbe a mille corbellerie, a disperarsi, ad impazzire, a pigliare un semicupo nel naviglio, od a cacciarsi in corpo una palla, che spesso va di sghimbescio e ti inchioda a letto un paio di mesi... che so io; un giovane volenteroso e savio, come lei, medita invece una partita coraggiosa colla fortuna, combatte col lavoro e coll'ingegno, si piglia una rivincita solenne e fa onore ai propri impegni e paga i proprii debiti... Le ho detto che mi sono scordato del mio credito... sarò sincero, ci penso invece, e sono sicuro che ella non mi farà aspettare un pezzo.

Donato si rizza in piedi, finge di ravviarsi i capelli innanzi allo specchio, abbozza un sorriso a due o tre camerati, esce a passo fermo colla desolazione nel cuore - ed il signor Asdrubale dietro.

Uno degli orologi più frettolosi di Milano batte la mezz'ora, un altro gli risponde e dieci altri.

Donato cammina un breve tratto a gran passi, poi rallenta l'andatura.

E la voce fessa dell'ometto dal farsettone nero ripiglia a dire, mutando accento:

«Un istante di torpore è necessario a preparare le nobili cose; il filugello s'intorpidisce quattro volte prima di farsi il bozzolo; anche lei si farà il bozzolo, sissignore, se lo farà anche lei, se Dio le conserva questo tesoro di salute. Ed io spero di sì, perchè se ella morisse prima del tempo sarebbe una sciagura per tutti...

Donato si ferma nel mezzo della via, ed alla luce d'un lampione guarda la faccia contrita del suo compagno.

«Sissignore, per tutti, soggiunge costui, e prima di tutti per lei... poi per Martino Bruscoli, idest per la signorina Costanza, e in fine per il signor Asdrubale suo umilissimo servitore. Badi un po' quanto la sua vita è preziosa: morendo lei, l'eredità del signor Norberto toccherebbe tutta alla sorellina, ed addio crediti; la signorina Costanza non potrebbe nemmeno farsi i ricciolini colla sua obbigazione, perchè non porta ricciolini, mi pare, ed il signor Asdrubale non potrebbe nemmeno accendere la pipa colla obbligazione che ella gli farà... perchè non fuma; veda un po' se la sua vita è preziosa! E veda quanto è facile pagare i debiti quando non si ha coscienza, e veda che rischio si corre di appaiare in un istante di debolezza una corbelleria irrimediabile ed una cattiva azione...

Qui le intenzioni del vincitore cominciano a farsi palesi anche a Donato, il quale si arresta di botto e dice:

«La ringrazio del consiglio; so i miei doveri; domani venga da me, le scriverò l'obbligazione.

Lo studente di matematica, ciò detto, volta a mancina, ma il signor Asdrubale non lo lascia.

«Come mai da quella parte? non va dunque a casa?

- Non ho sonno, non dormirei stanotte...

- To'! anch'io non ho sonno.... e non dormirei; non le duole già che l'accompagni?... quanto all'obbligazione non ci è tutta la premura che ella immagina... ed è una cosa subito fatta, quattro parole sopra un foglio di carta bollata... vorrei che fosse già aperto uno spaccio di tabacchi che si leverebbe la seccatura subito... abbia pazienza fino a domattina. E dica... non vuole che andiamo al caffè a prendere una chicchera di latte caldo? Fa bene il latte caldo dopo una notte vegliata... pago io, s'intende, poichè, salvo errore...

L'oscurità non permette a Donato di vedere l'occhiata che il suo compagno gli lancia dal basso in alto con un occhio solo; ma nondimeno l'indovina, come l'altro indovina che lo studente si fa rosso in viso.

«Non ci è da arrossire; ella ha perduto tutto quanto aveva, e non ha più un soldo; ma sono qua io per lei; dica che cosa le occorre per i bisogni più urgenti e faremo un conto solo...

Suonano le tre, quando il signor Asdrubale spinge con lieve violenza il giovane nel caffè della stazione.

Non vi è anima viva, tranne due camerieri ed un grosso micio che sonnecchiano.

Vedendosi ancora faccia a faccia col suo avversario, col suo nemico, Donato sente come un impeto d'odio, come un'amarezza nuova, come uno spasimo indefinibile. Quella faccetta asciutta, quell'occhio che ammicca, quel labbro che sorride e par che ghigni, quel farsettone chiuso come una cassa forte dopo di aver inghiottito ogni sua ricchezza, quella voce monotona, uguale, stridula, quella disinvoltura provinciale, non vi è dubbio tutto ciò è lui - il fante di picche!

Non pensa, solo gli sta innanzi la fatale visione; non ragiona, ma sente un bisogno irresistibile: allontanarsi da quell'uomo.

Si alza bruscamente, e dice con voce rotta dallo sforzo che fa per contenersi:

«Ho bisogno d'esser solo, venga domani; come le ho detto, le farò la sua obbligazione.

Ma il signor Asdrubale non sembra avvedersi di quei modi di quell'accento, afferra il giovine per la falda dell'abito e lo costringe a sedersi, picchiando sul tavolino coll'altra mano per chiamare un cameriere.

«Due chicchere di latte caldo, ben caldo... Veda, caro signor Donato, come le dicevo, io non ho premura; fra un'ora albeggia, e se ha tanta fretta faremo subito l'atto; intanto eccole qui trecentocinquanta lire... le bastano?... non faccio che pigliarne nota e sono sue...

Tanta sicurezza l'ultimo crollo al giovine studente, il quale per la prima volta fissa gli occhi in faccia del compagno importuno; ma costui non batte palpebra, sorride bonariamente ed insiste per fargli accettare il denaro.

Sotto quelle sembianze di cortesia e di buona fede è un'ansia paurosa che non inganna nemmeno Donato.

«Ha paura che gli scappipensa il giovane, «diffida di me.»

E ne ha ragione, figliuol mio; e che farnetica la tua mente scombuiata se non il modo di fuggirgli di mano? Non sai perchè, non immagini che farai, non vedi nulla oltre il bisogno del momento, perchè le tenebre ti si stringono intorno al cervello; ma questo tuo bisogno prepotente, l'hai pur detto, è sempre lo stesso - rimaner solo. E che farai quando sarai solo?

Così sembrano parlargli il sorriso bonario e la dolce insistenza del signor Asdrubale per fargli accettare il denaro.

E Donato accetta, beve il latte caldo, risponde a monosillabi alle chiacchiere del compagno, spinge l'occhio nel buio della sua mente quanto più gli riesce, cerca un'idea. Non trova; in quella ridda di fantasie strambe - carte, tavolieri, debiti, sorrisi di Costanza, lagrime del vecchio padre, carezze melanconiche di Mariuccia e quesiti di meccanica applicata - non vi è nulla che abbia l'aria d'un pensiero proprio.

Pure il bisogno di togliersi la seccatura del suo compagno ha preso a poco a poco il carattere di mania; cominciano a venirgli alcune idee di evasioni impossibili; pensa al conte di Montecristo, una delle poche reminiscenze romantiche della sua vita numerica; si guarda intorno cercando uno scampo; fa disegni insensati; fugge in cento mila modi, e invano, chè il signor Asdrubale gli è sempre alle calcagna come un'ombra.

E il tempo passa.

«Chi parte per Sesto, Monza, Seregno, Camerlatagrida all'improvviso una voce stentorea nella sala.

Ah! ecco finalmente un'idea!

«Pagherò io, dice Donato levandosi di botto ed accostandosi al banco.

- Oibò, ribatte l'altro, è già pagato, e chiama a sé col gesto un cameriere.

Ma il giovine non gli bada e tira dritto, piglia l'altro cameriere in disparte e gli dice sommessamente mettendogli in mano cinque lire: «Un biglietto secondi posti per Seregno; spicciati, il resto è per te.»

Cinque minuti dopo la voce stentorea ripete: «Chi parte per Sesto, Monza, Seregno, Camerlata

E la campana annunzia la partenza.

Donato guarda attorno ansiosamente, non badando al signor Asdrubale, il quale per la ventesima volta ripete: «Ah! triste cosa il giuoco, non è contento chi perde, e non è nemmeno contento chi vince... Creda...

Il cameriere arriva, Donato scatta in piedi senza dir parola, afferra il biglietto ed infila l'uscio che gli sta in faccia.

Due minuti dopo il convoglio si muove, parte... lo studente di matematica respira.

 

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License