XI.
Il signor Asdrubale, col pugno
sull'anca, colla faccetta petulante, se non ha un aspetto odioso, come pare a
Donato, ha certo una gran voglia di ridere. A momenti spalanca la bocca
sorridente e se la lascia scappare la sonora risata di soddisfazione che gli
spira da tutti i pori.
«Come ho fatto? Mi domandi come ho
fatto, e si dia per vinto. Vede bene che io sono nato prima. «Uno secondi posti
per Seregno;» ho l'orecchio fino io ed ho fatto il papagallo... «uno secondi
posti per Seregno» ed ho viaggiato con lei, separato solo da un tramezzo, ed ho
inghiottito la polvere del suo calesse, ed eccomi... Così ho fatto.
Questa volta non resiste più e dà
in una risata che fa ammutolire i grilli mattinieri.
Donato si ricompone, fa un passo
innanzi, si ferma e dice:
«Ignoro le sue intenzioni; le mie
sono da galantuomo, non ho avuto in mente di sottrarmi alla mia sciagura, ma
alla sua presenza odiosa che me la fa parere cento volte più amara.
Che ci è da ridere in queste
parole, pronunziate con una solennità dignitosa?
Pure il signor Asdrubale minaccia
di far saltare i quattro bottoni della giubba e si stringe i fianchi con tutte
e due le mani. Finalmente si rifà serio, e risponde in falsetto:
«Non dirà sempre così, non dirà
sempre così.
Certo l'eco della risata ha passato
il muricciuolo ed è entrato in giardino, perchè lassù, sulla montagnuola, di
mezzo alle foglie della vite ed ai grappoli immaturi, si affaccia una figurina
gentile, e poi un'altra. Due esclamazioni di gioia, ed un replicato batter di
palme e due voci amorose che gridano:
«Donato!
«Lo zio!
L'ometto dal farsettone nero leva
il capo in alto e dice senza turbarsi:
«Sì, piccina mia! siamo noi; arrivati
a piedi come due studenti; buon giorno, signorina Mariuccia.
Mariuccia non risponde nemmeno, è
la prima a sparire, Costanza l'accompagna; si odono le loro voci fresche e
festose che si allontanano gridando la buona novella; Donato non ha parole, si
crede beffato da un'illusione, guarda l'ometto a bocca aperta, e l'ometto
guarda lui con un sorriso incoraggiante.
«Il signor Martino Bruscoli?
balbetta il giovane.
- Sono io per fortuna... perchè
potrei anche essere il signor Asdrubale.
Lo studente non ha tempo di
domandare spiegazioni delle parole incomprensibili, che dall'estremo punto del
sentieruolo appariscono Costanza e Mariuccia,
tenendosi per mano, ansimando e ridendo.
Eccoli stretti in un amplesso;
fratello e sorella, zio e nipote. Poco stante apparisce il signor Norberto, col
volto pieno di rughe e d'amore, coi capelli canuti accarezzati dalla brezza del
mattino. Donato si stacca dalla sorella e corre a buttarsi nelle braccia del
padre, lagrimando.
Ma Martino Bruscoli accorre,
stringe la mano al vecchio e spiega l'improvviso arrivo e le lagrime così:
«Fra quattro giorni Donato
incomincia gli esami; tutta la settimana ha studiato, ha studiato, ha studiato,
ci ha voluto rimetter gli occhi questo bravo figliuolo; sono stato a Milano per
certe mie faccenduole, ho visto una nuova macchina per la Filanda, ed ho parlato coi
professori della Scuola d'applicazione... Fra un mese suo figlio è ingegnere.
Ha voluto venire a salutarla un'ultima volta prima degli esami, ma questa sera
stessa partirà, perchè non ha tempo da perdere, e, come vede, è soverchiamente
impressionabile; ha torto, gliel'ho detto, ha torto!
Il tempo passa veloce; non anco sì
è arrivati, che già è l'ora della colazione. Donato ha sempre Camillo Bruscoli alle
costole; non se lo può levare d'attorno. Pure, non sa bene perchè, nella sua
miseria gli par d'essere tanto felice, tanto felice!...
«Signor Martino, egli dice quando
per la prima volta si trova con lui, se le ho mancato di rispetto, mi perdoni;
io non sapeva che ella fosse lo zio della signora Costanza.
- Non mi basta, risponde l'ometto,
tu devi (ti do del tu perchè mi piaci e ti voglio bene, e se vuoi fare
altrettanto accomodati) tu devi prima fare ammenda di tutte le ingiurie che mi
hai detto o che hai pensato.
- Io?
- Sta zitto... cioè che ho una
figura odiosa; questo l'hai detto; guardami bene, ti pare proprio che io abbia
una figura odiosa?
Donato ride.
«Hai sospettato che io fossi un
usuraio; non è forse vero?
- È vero.
- E che ti rubassi al gioco?
- Questo poi...
- È vero o no?
- Ma perchè non darsi a conoscere?
- Oh! bella, perchè volevo
conoscere te, e ti ho conosciuto.
Donato china gli occhi, e si perde
in un labirinto di congetture... finalmente trova il bandolo e ne esce con un
sospiro.
«Quando vuol che le faccia
l'obbligazione... dice poi, cambiando tono di voce.
L'ometto leva le braccia in alto
invocando la misericordia del cielo su quell'ingenuo, e risponde:
«Che obbligazione d'Egitto! Oh! non
capisci dunque che ho fatto per ridere?
Donato sbarra tanto d'occhi e non
trova parole; alla fine balbetta:
«Ma io ho fatto sul serio, ho
perduto e devo pagare... il denaro del gioco è sacrosanto.
Martino Bruscoli scatta come una
molla e tappa la bocca allo studente.
«Non mi ripetere queste corbellerie;
non pretendere d'impormene con queste sentenze virtuosissime che escono dal
tribunale della bisca, con questi postulati
che non hanno altro valore se non di dare prestigio al vizio; le son
ciancie che stanno bene in bocca al signor Asdrubale; ma io mi chiamo Martino
Bruscoli, per grazia di Dio, e Martino Bruscoli non conosce altro denaro
sacrosanto fuor quello che si è guadagnato col proprio lavoro. Tu non mi devi
nulla, ti ripeto, ho fatto per guarirti in tempo da un brutto male; tocca il
polso alla tua coscienza e se ti senti proprio sano, non ho perduto la notte. E
fammi il famoso piacere di non fiatare nemmeno.
- Ma se avesse perduto lei?
- Se avessi perduto io, ti avrei
fermato sulle sei mila lire, e ti avrei detto: «Figliuolo mio, hai riguadagnato
il tuo denaro; il signor Asdrubale pagherà a Martino Bruscoli la somma che la
signorina Costanza ti ha dato in prestito, eccoti l'obbligazione; non devi più
nulla, bada che hai talento, hai cuore, ed eri sulla via di diventare un
cattivo soggetto. Piglia la laurea d'ingegnere, fa felice il vecchio babbo,
lavora, poi innamorati sul serio di una qualche bella ragazza e valla a
domandare allo zio...»
L'ometto si tappa la bocca, ma
oramai è scappata... conchiude: «Verrai a vedere la mia filanda; imparerai
qualche cosa, perchè già la vita è una scuola d'applicazione, e ci è da
imparare da per tutto; i bachi da seta, per esempio, t'insegneranno che prima
di farsi il bozzolo prezioso bisogna intorpidirsi; tu ti sei intorpidito due
volte; non pigliare alla lettera il sistema dei bachi, va e fatti il bozzolo.»
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