UNA SEPARAZIONE DI LETTO E DI MENSA
I.
La camera che io abitava allora in
via Bagutta era veramente in alto più del bisogno. Lo dicevo a me stesso
quattro volte al giorno, sempre che salivo i cento e dodici gradini che mi
separavano dalla folla, ma siccome quando si era su si godeva dalla finestra un
magnifico panorama di tegole e di fumaioli, ci rimanevo. E poi in quattro mesi
avevo fatto la conoscenza di tutti i vicini, e di solito fra i vicini d'uno
scapolo ve n'è sempre qualcuno da cui dorrebbe esser lontani.
Fu là ch'io conobbi la più bizzarra
coppia coniugale che si possa immaginare. Dire che il signor Sulpicio e la
signora Concetta erano la legittima metà l'uno dell'altro non sarebbe una
metafora, che tra tutti e due non so bene se avessero il tanto di polpe e di
muscoli necessario a formare una sola creatura umana mediocremente pasciuta.
Ponendo però insieme i loro annetti passavano il secolo e mezzo un bel tratto,
e se coll'immaginazione (il decoro non consentiva altrimenti) collocavo la
signora Concetta ritta in piedi sul cranio del signor Sulpicio, mi conveniva
rassegnarmi a veder la testa della veneranda moglie sfondare il soffitto e
passare dall'altra parte. Ora il soffitto della mia camera distava dal
pavimento tre metri e mezzo.
Quando uno abbia sciolto tutti
questi quesiti aritmetici si troverà, credo, innanzi il più preciso ritratto
dei due coniugi, e li vedrà come io li vedo nel mio pensiero, lunghi, esili,
allampanati, colle teste incanutite, coi volti tagliuzzati dalle rughe, cogli
occhi sprofondati e lucenti.
Vivevano insieme dividendo il letto
e la mensa e le tribolazioni da cinquantacinque anni, e s'erano tanto guardati
nel bianco dell'occhio, che a poco a poco i due volti avevano come fatto la
smorfia l'uno all'altro, e se non erano i nasi, si avrebbe detto che Sulpicio e
Concetta fossero fratello e sorella. Ma i nasi, non ci era verso, avevano
voluto rimaner tal quali, ed io dico che di nasi più in antitesi non mi toccò
mai di vederne in vita; quello del marito, incurvato a becco d'aquila, come un
curioso che guarda a tutto ciò che entra in bocca, quello della signora
Concetta, rivolto in su, come un prudente che si tira indietro quanto può per
non dar soggezione ai buoni bocconi. Le due similitudini non le ho fatte io, ma
avevano avuto origine alla mensa dei due sposi, cinquantaquattro anni e undici
mesi innanzi, in un momento di collera reciproca prodotta da non so quale
intingolo che sapeva di fumo.
Fu la prima nuvola del loro
azzurro, ma fu un nuvolone brutto, che come dall'intingolo si era passato ai
nasi, così dai nasi si passò alle abitudini e dalle abitudini agli umori. Si
finì a conchiudere che la catena del matrimonio non aveva mai appaiato due che
la portassero insieme così di malavoglia; Concetta parlò di ritornare ai
parenti e Sulpicio voleva che ci ritornasse subito, ma si considerò che,
siccome viaggiavano per le nozze, i parenti di Concetta si trovavano a dugento
miglia dal luogo della prima catastrofe matrimoniale, e si differì la cosa.
La gran parola era stata
pronunciata «separazione di letto e di mensa!»
Al giorno dopo Sulpicio pensò che a
lui era stato affidato il verginale tesoro della sua compagna, ricordò le
parole d'un commovente discorsetto che gli aveva rivolto il suocero, ricordò
d'aver giurato di farla felice, ricordò un mondo di oneste ricordanze,
pensò un mondo di savii pensieri e conchiuse che gli bisognava indurre Concetta
a rimanere nel tetto coniugale.
Dal canto suo Concetta, donna
giudiziosa se mai ve n'ebbe, s'era tirata in mente i consigli della mamma, il
sì pronunziato all'altare, l'invidia delle amiche rimaste zitellone, aveva
pensato al dolore dei suoi, alla segreta gioia ed alla falsa compassione delle
compagne e conchiuso che forse dopo tutto Sulpicio non era cattivo, e che se non
fosse stato quel disgraziato intingolo che sapeva di fumo...[nell'originale:
fumo..] Quando Sulpicio venne col suo più bel sorriso, Concetta aveva anch'essa
il suo più bello, si strinsero le mani, si abbracciarono stretti e fecero la
pace.
In fondo però rimaneva inteso che
si davano l'uno all'altro in prova.
Quella prova era, per mille
burrasche della stessa natura, giunta fino al quarto piano di via Bagutta, e
durava ancora.
A volte il vicinato era messo
improvvisamente sossopra da uno strillo acuto.
«È Concetta!» si diceva.
Era Concetta. La disgraziata
vittima, dopo di aver lanciato al suo tiranno tutti gli epiteti graziosi
ammucchiati in cinquantacinque anni di ricerche, senza riuscire a debellare il
dizionario del marito, gli gettava finalmente uno strillo formidabile. Si
accorreva e si trovava che il vecchio Sulpicio si era posto in salvo giù per le
scale e che Concetta gli avventava un ultimo aggettivo qualificativo dal
pianerottolo.
I primi uffizi di buon vicinato
venivano prodigati a Concetta, e si sapeva a memoria che dovevano consistere
nel lasciarla dire fino a tanto le fosse sbollita la collera. Guai a
compiangerla o a dirle che non meritava la sua sorte e che suo marito era un
disgraziato: anche quando pareva spenta, ripigliava fuoco come un fiammifero a
protestare che il suo Sulpicio se l'era voluto lei e se l'avrebbe tenuto, che
quello che era il suo Sulpicio lo sapeva lei sola e non doveva saperlo altri, e
nessuno venisse ad insegnarle a leggere nel cuore del suo Sulpicio, e che essa
da un pezzo lo sapeva a memoria e che in fondo lui valeva meglio di
tanti.
Cessato l'impeto, e quando il
pianerottolo era ridiventato solitario, la vecchia usciva di soppiatto dalle
proprie camere, si guardava intorno colla testa tremante entro la larga cuffia
di seta nera, scendeva due scalinate ed andava a picchiare all'uscio, della
signora Nina, una giovine vedova che viveva con uno zio pieno di acciacchi,
amico di Sulpicio. Concetta sapeva che il suo uomo voleva un gran bene a
quella giovane donna e non solo non era gelosa, ma ne invocava l'intercessione
per farle fare la pace.
Press'a poco nello stesso tempo il
fuggitivo marito ritornava furtivamente in casa, saliva le scale ansando e
faceva irruzione nella mia camera.
Sapeva che Concetta mi voleva bene
come ad un figliuolo, che una mia parola poteva molto sull'animo di lei, e mi
affidava il carico di ridargli la sua domestica tranquillità.
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