II.
A me la parte di conciliatore non
costava gran fatto, e non credo che alla signora Nina costasse di più.
Quando Concetta mi vedeva, non mi
lasciava proferir verbo dell'imbasciata, stringeva fra i nodi di ambe le mani
la mia destra, e con un muto tentennar del capo e un levar d'occhi al soffitto,
mi dimostrava tutto il suo dolore dell'accaduto, l'intenzione di ritornare nel
talamo, la gratitudine per la mia buona opera.
In fondo era evidente che Concetta
non poteva vivere separata dal suo Sulpicio, e che pensava nemmeno Sulpicio
potesse stare senza la sua Concetta. Si amavano come si erano sempre amati,
alla loro guisa battagliera, ma si amavano quanto è possibile che due si amino
in terra.
Quando il convertito Sulpicio, il
quale non aspettava altro, riappariva nel vano dell'uscio, dandosi un contegno sbadato
ed indifferente per non parere commosso alla mia presenza, Concetta si
ricordava non so qual rammendatura che doveva fare, e frugava in fondo alle
tascaccie per trovare il ditale e l'agoraio.
Allora o infilavo l'uscio, o
mettevo il capo ai vetri della finestra, o mi correvano gli occhi ad un libro o
ad un quadro.
Sulpicio si accostava a Concetta, e
Concetta si volgeva un pochino verso Sulpicio, ed entrambi un altro poco; poi
vedevo colla coda dell'occhio stringersi due mani tremanti, ed avvicinarsi due
volti illuminati da un magnifico sorriso, e due lagrime scendere incanalate
lungo i solchi delle rughe.... Finalmente si abbracciavano stretti. Ed io
continuava a guardare altrove, o mi voltavo sbadato, o dicevo che faceva un
magnifico sole quando non faceva una pioggia diluviana, pensando dentro di me
che quelle lagrime erano giovani e quei sorrisi in tutto degni della primavera
di due volti rosati.
Una volta però la burrasca fu così
tremenda, che prima che le due navi entrassero d'accordo nel porto matrimoniale
ci vollero parecchie ore e molte ambascerie. La parola separazione di letto
e di mensa era stata pronunziata da tutti e due, e nissuno voleva essere il
primo a disdirsi.
A sgominare la vicendevole
diplomazia, i due coniugi erano andati fuori di casa da due parti opposte. La
domestica, una fanciullona mezzo scimunita che i due vecchi avevano raccolto,
non capiva nulla di nulla, fuor che i suoi padroni erano usciti uno dopo
l'altro. Mi sedetti innanzi al caminetto, attizzai il fuoco ed aspettai. Era
una magnifica giornata d'inverno; il sole dardeggiava sui vetri, ed i tizzoni
scoppiettavano allegri.
I miei pensieri erano giocondi.
Cercavo d'indovinare quale dei due
dovesse ritornare primo al letto coniugale... Quale? Concetta senza dubbio. In
quella appunto udii un fruscio di abiti, mi alzai, mi volsi... e mi trovai
faccia a faccia colla signora Nina, la giovane vedova del terzo piano.
La signora parve meravigliata di
vedermi e si mostrava imbarazzatissima, tanto più che, essendo entrata colla
dimestichezza consueta, voleva non aver l'aria, d'aver commesso una
indiscrezione, e si guardava intorno per vedere se qualcuno giungesse ad
apprendermi indirettamente che ella usava d'un vecchio diritto.
Intanto io m'era inchinato a
salutarla, ed aveva fatto per parlare.
Ella mi prevenne.
«La signora Concetta non è in casa?
mi disse.
- Nè il signor Sulpicio, aspetto
l'una o l'altro.
- Ed io cercava dell'uno o
dell'altra, ritornerò...
Ma l'apprendere che i due coniugi
erano entrambi fuor di casa pareva inquietarla e non si muoveva.
«Se desidera attendere qui,
ritornerò io...
- Grazie... ella viene
probabilmente per...
- Per lo stesso motivo...
Così dicendo mi trassi in disparte
come per invitarla ad inoltrarsi, e un minuto dopo ella era seduta al mio posto
in faccia al camino, ed io non me ne andava.
La signora Nina non mi conosceva,
ma io conoscevo benissimo la signora Nina; molte volte, dalla mia finestra
posta sopra la sua, avevo studiato a memoria il colore dei suoi capelli
sperando invano che ella mi desse occasione di apprendere il colore delle sue
pupille; una volta l'avevo posta in fuga tossendo, e d'allora in poi non avevo
mai più tossito alla finestra. Ora quelle manine candide, che avevo visto
battere la solfa sul davanzale, tenevano le molle innanzi al camino, e quel
volto, che era quasi tuttavia un mistero per me, mi si mostrava aperto.
Ah! la signora Nina era bella, o
almeno mi piaceva tanto!
Vedendo che mi stavo ritto, mi fe'
un cenno cortese; sedetti; aspettammo alcuni momenti in silenzio; nessuno veniva.
A poco a poco quel silenzio ci
pesò, e per uscirne ella mi parlò di Sulpicio, ed io le parlai di Concetta.
Quando seppe l'ufficio che io
compiva dacchè avevo la fortuna d'essere il vicino dei due coniugi, la vedova
sorrise lievemente. Che bel sorriso! Che magnifici denti!
«Quale disgrazia! uscì a dire poco
dopo; passare cinquantacinque anni insieme senza riuscire ad intendersi!
- Debbe essere uno spasimo,
osservai; ma in fondo si vogliono bene.
La vedova fe' una smorfietta e non
rispose.
«Quei contrasti sono per essi come
i venti che separano onda da onda e le avventano, per ritornarle, passata la
burrasca, la superficie d'uno stesso mare. Non credo che due possano vivere
insieme gran pezzo senza incollerire.
Assolutamente la vedova non voleva
rispondere; crollò il capo e si die' a frugare impaziente nelle ceneri.
Tacqui.
«Quante ore sono? mi chiese
avvedendosi che il suo silenzio mi offendeva.
- Le quattro.
- È tardi; bisogna che me ne vada;
ritornerò...
- Mancano veramente tredici minuti alle
quattro...
La signora Nina sorrise e non se ne
andò. Io non comprendeva perchè, ma il cuore scampanava a festa...
Quand'ecco venire Sulpicio e
Concetta, tutti due, tenendosi per mano.
«La pace è fatta? interrogammo
coll'occhio la signora Nina ed io.
- Sissignori, ci risposero i due
coniugi alla stessa maniera.
- Ero venuto per salutarla, disse
forte la vedova a Concetta; ora è tardi e me ne vado.
Concetta era di buon umore; le sue
rughe avevano la mobilità delle grandi gioie e gli occhietti mandavano lampi.
«Meno male che il signor Carlo le
ha tenuto compagnia.
A quel riavvicinamento io sentii
che il cuore picchiava più forte, e mi avvidi che la vedova arrossiva.
Se ne andò; me ne andai subito
dopo... [nell'originale: dopo..]
E tutto il giorno pensai alla
signora Nina, e la sognai tutta notte, e al giorno successivo stetti alla
finestra l'intero mattino per vederla, e fui così fortunato che mi vide e si
volse e la salutai, e per un mese non lasciai di andare alle stesse ore alla
finestra, sempre colla stessa fortuna, e una volta ardii sorriderle, e un'altra
volta ardì sorridermi... e cinque mesi e otto giorni dopo, io mi stringeva
legittimamente al cuore la signora Nina... non più vedova.
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