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Salvatore Farina Fante di picche IntraText CT - Lettura del testo |
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V.
.... Quando, scendendo giù per la china del monte, ci voltammo e non vedemmo più la casicciola rosea, l'amico Antonio ed io ci guardammo in volto ed uscimmo all'unisono in una sonora risata. «L'hai visto bene quell'uomo felice? - E non mi escirà più di mente! Antonio ed io ci abbandonavamo così interi a quella ilarità, che giù per la rapida china non ci era più possibile fermarci, e fummo più volte a un pelo di provare, coll'esempio che l'eccessivo buon umore fa perdere la gravità. Non mai la nostra linea di direzione fu così in pericolo di uscire dalla base, nè il nostro naso più vicino ai ciottoli della via. «Io leggo nella felicità di quell'uomo come in un libro aperto, disse Antonio. - Ed io anche. - E dico che quello è un uomo disgraziato come noi. - E più di noi... - E che la sua maggior disgrazia è d'essersi spacciato per un uomo felice... - Amico dei monti e della solitudine, e che tanto ama egli i monti e la solitudine, quanto noi il digiuno. - E si è spacciato per tale solo per cavarsi il gusto di dare invidia agli amici, e mi ha scritto perchè mi arrampicassi fino da lui, colla speranza che io gli facessi un po' di reclame... - E per interrompere la sua noia profonda. - È un uomo che vive della sua piccola vanità d'uomo felice, come un altro vive della sua piccola vanità d'autore in voga, o della sua piccola riputazione d'uomo di spirito... - Vuoi dire che muore. Quella non è vita, è agonia. Immagina la sua giornata, e concedine pure larga parte al sonno, e al desinare, e alla cena, e alle due colazioni, e se vero è che il monte Barro eserciti sulle facoltà digestive un benefico influsso, aggiungi pure la merenda - tutto il resto non è che un lungo interminabile sbadiglio. - Oh! disgraziato Tallini! - Infelice baritono! - Ed anche un pochino scimunito! - Molto... - Badiamo a non dirne male; stiamo ancora digerendo il suo desinare! E qui da capo la stretta del nostro duetto di risate, come in un'opera buffa. I mille echi del monte Barro erano in gran faccende e duravano fatica a tenerci dietro; il sole spariva dietro i monti, ammiccando ancora con un paio di raggi all'onde del lago lievemente increspate, rugose ganze di vaporosi amori. La china scoscesa era finita, e la via si stendeva ora con facilissimo pendìo. «È proprio così, ripresi a dire; quell'eccellente baritono mi ha tutta l'aria di essere oppresso sotto il cumulo della sua immensa felicità... - Una felicità che dura da un mese! È troppo! è troppo! Deve essere insopportabile!.. - E che, dopo d'aver vestito i panni di un semidio, specie di fauno d'altri tempi, non sappia più come rientrare nella sua pelle di baritono, e ridiscendere al piano. - Tanto più che coll'aver posto a base della sua felicità tutta l'altezza del monte Barro, egli crede in buona fede d'essere fatto visibile come una statua colossale, e che a Lecco ed a Milano non si faccia altro che guardare in alto per cercar di vederlo. - Questo è in parte il danno della celebrità, osservai, obbedendo ad un filosofico istinto suggerito dal vinello; un uomo celebre ha due svantaggi: primo, che il mondo si occupa dei fatti suoi e lo guarda, come una bestia feroce in gabbia; secondo, di non essere sempre una bestia, tanto per non darsene pensiero. - Qualche volta... corresse Antonio... Fra i monti, la luce crepuscolare è più breve che in pianura; quando il sole fu scomparso, le ombre, come se si tenessero nascoste e pronte dietro i cespugli, uscirono in frotta ed invasero la scena, press'a poco colla rapidità dei fenomeni atmosferici melodrammatici. Anche la natura riportava a forza il pensiero ribelle al baritono Tallini. Intanto gl'insetti si svegliavano nei prunai, ed alcuni uccelli, desti nel primo sonno dalle nostre ciancie e dai nostri passi, si levavano qua e là a brevi voli, per mutar letto. «Quanto tempo credi tu che possa durare la felicità del baritono Tallini? mi chiese improvvisamente Antonio. - Un mese... a conti fatti... un mese; una settimana per venire alla determinazione di lasciare il monte; il rimanente è il tempo minimo che egli deve supporre necessario agli uomini, perchè, non fiatando e non facendo più fiatare verbo dei fatti suoi, si disavvezzino dal pensare a lui. - Io dico che non starà neppur tanto, e che il giorno che si sia determinato a lasciare il monte Barro, non ci potrà più rimanere un minuto, e salirà quel poco che lo separa dalla vetta per discendere non visto dalla parte di Valmadrera... rotolando a capo fitto, se occorre, per far più presto. - Questo è vero... ma... - Solo, invece di otto giorni, gliene concedo quindici; un baritono non è un tenore, voglio dire che non sempre è un eroe, e ad una determinazione eroica di questa fatta ci vorrà pensare lungamente. - E credi che se ne andrà dai monti alla chetichella, senza nemmeno venirti a trovare? - Ne sono convinto, e non più tardi di quindici giorni da oggi... - D'un mese... - Di quindici giorni, nemmeno uno di più; e se dobbiamo scommettere... fra due settimane ci inerpicheremo ancora sul monte e troveremo il nido color rosa, ma il baritono no, che avrà preso il volo... Non so perchè io mi ostinassi a credere fermamente che il baritono Tallini dovesse rimanersi sul Barro ancora un mese, non un giorno di meno; per ciò probabilmente che il mio amico Antonio si ostinava a dire due settimane, non un giorno di più. Quella fede sconfinata nella propria opinione, fede che fa gli apostoli ed i tribuni, ci proveniva forse dal vinello bevuto a desinare. - Quindici giorni, ripetè per la ventesima volta Antonio. - Un mese! ribattei. Questa volta la doppia risata che accompagnava inevitabilmente i termini della nostra scommessa, fu così sonora che gli insetti tacquero ad ascoltarla. Bisogna sapere che, dietro di noi, avevamo sentito un rumore di passi frettolosi, ed un ohè! gridato in cadenza, ma colla voce di un baritono di buoni mezzi a cui manchi il fiato. Cinque minuti dopo ci stringevamo fra le braccia il baritono Tallini.
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