II.
Due giorni prima di abbandonar
casa d'una famiglia amicissima de' Gabriele avea veduto una fanciulla che gli
aveva fatti mutare in un subito tutti i suoi i suoi disegni intorno a Gargnano.
La Leopoldina
era una ragazza piuttosto piccola che grande, ma d'un corpino, d'un corpino sì
svelto e aggraziato, che non lasciava tempo di pensare alla statura. E poi due
occhi così dolci, così fiammeggianti, così belli; una bocchina così rosea e
capricciosa; delle treccie tanto nere e copiose; degli sbalzi così vaghi e
repentini di vivacità, di tenerezza e d'affetto, che chi non se ne innamorava a
starle insieme due giorni doveva esser avvezzo a vivere cogli Angeli del
Paradiso o colle donne del Pandiani. Gabriele se ne innamorò; ed era per lui un
amore di nuovo conio, un amore che a sua insaputa lo faceva affatto diverso da
quel di prima. Se la vita ha un libro, come dice la metafora, egli avea voltato
carta e si trovava cogli occhi sopra una pagina nuova, piena di arabeschi e di
rosei geroglifici. Addio vino, addio sigaro, addio bigliardo, addio cene! Fino
allora le sue amorose lo avevano lasciato nel pacifico possesso di tutte queste
buone cose. Ma la
Leopoldina gliene faceva una disdetta formale, e tutta
l'anima sua la prendeva per sè. Non so se un uomo limitato al solo odorato
fiutando una rosa diventi, come dice Condillac, odor di rosa; so peraltro che
la mente di Gabriele dopo che ebbe conosciuto la Leopoldina, divenne un
pensiero e un'immagine continua di lei. È benanco vero che la Leopoldina guardò forse
il giovane più del dovere; e non potrei giurare che a questo la partenza da
Gargnano riescisse più spiacevole che a lei la lontananza da Brescia. Ad ogni
modo io ho qualche sospetto che con un'ultima occhiata essi si fossero promessi
di rivedersi ben presto. E certo quando tre giorni dopo Gabriele tornò tra il
contento e l'impacciato nella famiglia della Leopoldina, la sorpresa di costei
fu tre volte minore della consolazione. - Insomma devo stringervela in poche
parole? - I viaggi di Gabriele a Gargnano si facevano sempre più frequenti,
l'amore avanzava più assai del riattamento della casa: quando questa fu in
tutto punto colle sue ampie finestre, colle sue persiane verdi, col suo
giardino, colla sua serra, egli finì collo stabilirvisi in pianta stabile. Lo
zio che lo vedeva a Brescia sempre più di rado, cominciò a brontolar prima, e a
sospettar poi; egli ordì una terribile congiura, piombò improvviso sugli
amorosi di Gargnano, scoperse tutto, strepitò, minacciò, perdette gli occhiali
e lasciò cadere la scatola che era di tartaruga e si ruppe in due pezzi
spandendo tutto il tabacco. Questo dal canto suo; dall'altro lagrime,
preghiere, proteste, disperazioni! Finalmente, siccome lo zio tardava a
sormontare quel culmine dell'ira dopo il quale l'anima precipita allo
spossamento e alla ragionevolezza, Gabriele si tolse l'assunto di spingere
coraggiosamente la cura, protestando colla sincera violenza d'un primo tragico,
ch'egli non poteva vivere senza l'amor suo, che allo zio, al padre domandava
umilmente il permesso di sposar Leopoldina. Il tasto era toccato. Il vecchio
cascò sopra una poltrona (forse egli stesso lo aveva preveduto) colla schiuma
alla bocca e la gola soffocata da una maledizione. I genitori della ragazza
correvano per la camera sturando boccette, e rovesciando seggiole; la ragazza
era quasi svenuta sopra un sofà; Gabriele inginocchiato dinanzi allo zio gli
bagnava le mani colle sue lagrime, e si sdrusciva miseramente i calzoni sul
pavimento di cotto. Finalmente a risolvere il quesito capitò la fantesca con
una limonata senza zucchero. Il vecchio zio che era goloso dello zucchero più
d'una mosca fu costretto da otto mani a sorbirne una boccata. Egli la sbruffò
in viso a tutti quelli che lo circondavano; ma l'amaro della bevanda pose il
colmo al suo dolore e lo fece sgorgare in pianto. Tutti lo guardavano
pietosamente; Gabriele più inquieto che mai lavorava di ginocchi e di lagrime a
dimostrare la sua desolazione; la
Leopoldina riavutasi languidamente faceva udire dal suo sofà
qualche singhiozzo soffocato quel tanto che bastava a renderlo più
compassionevole; la fantesca stava lì ancora minacciosa col resto della
limonata. Il vecchio zio era sconfitto; irreparabilmente sconfitto! - Infatti
le sue prime occhiate domandavano pietà, la sua prima parola voleva esser un
rimprovero e fu una preghiera!... - La scena finì con un abbracciamento
universale, e con otto o dieci rivoletti di lagrime l'uno più dolce dell'altro.
La serva presentò al signor zio una limonata carica di zucchero e senza una
goccia di limone; il padre della Leopoldina gli offerse la sua scatola di bosso
che era peraltro piena d'un ottimo rapè e fu accettata con riconoscenza.
Gabriele si pulì i ginocchi colla manica del vestito, la Leopoldina si rimise le
forchette nella pettinatura, e dopo due mesi senza altri discorsi essi furono
chetamente marito e moglie.
Lo zio per verità
avrebbe voluto che gli sposi si accasassero a Brescia, ma sciolta la prima
maglia si sfila l'intera calzetta, ed egli finì col trovar incantevole il loro
disegno di dividere egualmente l'anno fra Brescia e Gargnano. Anzi quel
traditore di Gargnano guadagnò tanto alla prima prova sull'emula Brescia, che
al secondo anno essi vi dimorarono nove mesi, e passarono così in città solo il
crudo dell'inverno. Solo svagamento a questa lunga e deliziosa campagnata fu
una gitarella a Venezia al tempo dei bagni, la quale fu trovata così ricreativa
che promisero di non ommetterla nelle stati venture. Del resto della loro
casetta di Gargnano essi si erano fatto un ricovero così pieno d'amore,
d'allegria, di felicità, che nemmeno il pensiero veniva loro di cambiarla con
qualche freddo e massiccio palazzone di città. La Leopoldina che da tre
anni era uscita da un ottimo collegio ove s'insegnava molto e si imparava ben
poco, si maravigliava di trovar gradevoli certe occupazioni che colà le
riescivano insopportabili. La lettura, il disegno, il ricamo le facevano corta
la mattina che non se ne accorgeva quasi; poi, gli è vero, si occupava qualche
quarto d'ora ad aspettar Gabriele, che non capitava mai esatto, alla refezione del
mezzodì. Ma lo zio le serviva allora di compagnia; e quando ella giungeva a far
venir le lagrime del riso agli occhi di quel buon vecchio credeva di aver ben
cominciato la sua giornata. Su quelle ore ch'ella passava assieme al marito non
voglio farvi cenno per non farvi venir l'acquolina in bocca. Ma nel dopopranzo
e nella sera la loro casa era il convegno di tutto il paese: e come avesse
giovato l'armonia di quella nuova famiglia a rannodar la concordia fra quelle
del paese io non ve lo saprei spiegare. Certo dopo tre mesi di loro soggiorno
colà non era più traccia delle antiche inimicizie, e Gargnano era diventato un
vero giardino d'incanto. Salò, Tuscolano lo guardavano invidiosamente, e
nessuno confessava a sè stesso che la sincera affabilità d'un giovine,
l'ospitale giocondità d'una sposina, e il buon vino dello zio, e l'esempio
della loro felicità aveva operato quel miracolo. «Gli uomini fanno i luoghi»
dice il proverbio: e il proverbio aveva ragione.
Così passarono cinque
anni d'una vita di paradiso, solo il vecchio zio era ormai molto malandato di
salute, e il clima del lago gli faceva bene assai, ma venne finalmente il
giorno che il clima non potè più nulla, e il malato morì proprio come una
lampada cui vien mancando a poco a poco l'olio. Gabriele e la Leopoldina erano stati
fino allora infelici nella prole, chè di due bambinelle avute non una aveva
oltrapassato il secondo giorno di vita; onde trovandosi così soli e melanconici
pensarono di intraprendere un viaggio di due o tre anni. Gabriele non vedeva il
momento di poter ammirare Firenze e Roma: alla Leopoldina tardava l'ora di
veder contento Gabriele. E così partirono da Gargnano una bella mattina di
aprile, accompagnati dalle lagrime, dai baci, dai saluti e dagli augurii di
tutto il paese. - La loro casetta restò ancora mutola e chiusa; ma vi aleggiava
intorno una certa aria di pulitezza e d'allegria che mandava innanzi il
pensiero a quel giorno, in cui l'amore de' due sposi sarebbe tornato ad
abitarla. E ad ogni modo essa non ebbe più dalle bocche dei terrazzani il
cognome della casa del cattivo augurio, come quando la era abitata dal castaldo
e dalla sua famiglia.
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