I.
Per l'appunto allora
nella più selvatica Giudicaria dell'isola viveva il barone Camillo di Nicastro;
viveva, in barba ai dolcissimi tempi, tutt'altro che beato. Il suo castello per
la qualità del paese era grande e magnifico; le torricelle non gli pencolavano
addosso con troppo amore, nè i colombi temevano di posare sulle grondaie; la
scala aveva quasi tutti i suoi gradini, e due sole finestre perdevano le
imposte; del resto tutti i boschi, tutte le montagne, tutti i seminati che si
scoprivano dal più alto abbaino ingrassavano la Baronia di Nicastro, e gli
avi remoti o per avarizia o per orgoglio, o per accidia aveano legato al loro
ultimo rampollo un cassone pieno raso di belle monete; di quelle gialle che non
patiscono ruggine o vecchiaia.
Finalmente l'albero, o
meglio la selva genealogica, che copriva dei suoi rami a spalliera tutte le
pareti della sala, faceva malleveria dei sessantaquattro quarti di questo
prezioso rampollo; il che voleva dire, che circa duecento anni addietro,
sessantaquattro parrucconi d'ambo i sessi erano abbassati a una certa funzione
plebea per condensare le loro esimie virtù in trentadue figli o figliuole, e
questi in sedici nipoti, e questi in otto pronipoti, e questi in quattro tra
figli e figliuole di pronipoti, e questi in due nipoti di pronipoti, e questi
da ultimo nel pronipote dei pronipoti, cioè nel Barone Camillo; il quale
raccoglieva in sè lo stillicidio vitale di centoventisei tra Baroni e
Baronesse, se non isbaglio; ma fate voi la prova della somma, poichè la parte
aritmetica dell'anima mia risiede nelle dita, e non me ne fido gran fatto.
Contuttociò, lo ripeto,
il Barone non era felice, e gli stessi antenati, che per fabbricarlo
squisitamente aveano speso tanti sudori, erano la cagione de' suoi sospiri.
Figuratevi che lo stemma dei Nicastro era una bilancia in campo rosso col motto
cabalistico: Pensare e pesare: alle quali parole uno stregone d'un
trisarcavolo aveva accomodato un suo giudizio, che nessuno della famiglia
potesse immischiarsi mai nelle cose degli uomini prima di averne cercato e
conosciuto il valore. E tutti di padre in figlio avevano obbedito rigidamente
alla sentenza gentilizia; sicchè tutti erano morti nel loro nicchio proprio
mentre si credevano vicini a toccare le ardue sommità di quella scienza. Non
saprei dir pel sottile a quali conclusioni fosse giunto ognuno degli antenati
del nostro Barone, quando la morte veniva a conchiudere le loro conclusioni;
soltanto posso affermare, che il bisavolo parteggiava per Democrito, e rideva
di cuore quando capitò il becchino ad annunziargli l'ora della partenza: che
l'avo invece s'attenne ad Eraclito vivendo per modo che dopo morto parve meno
lunatico di prima, e che il padre s'accommiatò da questo mondo recitando il
Rosario con pace serena. Ma già da qualche tempo il devoto infermo e il vecchio
pedagogo erano iti ai cavoli, allorchè il Barone Camillo, orfano di padre e di
madre a quindici anni, si chiuse nella Biblioteca di famiglia a rifar l'opera
de' suoi predecessori.
«Studiar il valor degli
uomini e delle cose!... pensava il giovine romito, vedendo fisarsi in lui dai
profondi scaffali l'occhio vitreo e miscredente dei morti scrittori;
converrebbe aver tra mano le anime non i libri!... pure anche il notomista
cerca nei cadaveri la scienza della vita, e cosa son altro i libri se non le
reliquie degli spiriti?»...
Smoccolò la lucerna e
senz'altro si diede a leggere.
Solo toccati i
ventiquattro anni intromise due giorni quello studio per disposarsi secondo lo
stile de' suoi maggiori ad una donzella appena slattata dalle Salesiane che a
sua volta contava sessantaquattro quarti abbondanti di nobiltà, e coll'aiuto
della quale sperava rendere ad un figliuol maschio l'egregio favore a lui reso
dai due genitori, dai quattro nonni, dagli otto bisnonni, ecc., ecc. - Ma un
tale svagamento non durò a lungo, e dopo il banchetto nuziale tornò nella
biblioteca; e là stette altri sette anni finchè la moglie dilettissima ebbe a
morire di noia, e a lui toccò accompagnarla alla Chiesa, e tornarvi l'ottava
seguente per l'Uffizio di commemorazione. «Peccato! mormorava il filosofo - mi
riempì gli armadii di calze e non fu capace di mettermi un bimbo nella
cuna!...»
Tuttavia la colpa di
tale ommissione cadeva più nel Barone che nella Baronessa; perocchè ligio come
egli era più assai degli stessi antenati al senso filosofico-morale del suo
motto araldico, si smemorava troppo sovente di certi altri doveri. Ciò
nullameno la funebre interruzione non gli vietò di tornare all'opera con
miglior lena; e tanto si diede fretta per non essere burlato come tutti gli
altri, che nel giorno appunto che compiva i quarant'anni potè alzarsi dallo
scrittoio e spalancar la finestra dicendo: Ho finito! - Povero filosofo!...
prima di cominciare credeva sul serio di aver finito! ... - Ma come poi aveva
finito?... Col ficcarsi appunto in capo la fede più santa, più generosa che mai
santificasse cranio di barone!... col creder che la virtù basti per conforto,
per alimento, per premio a sè stessa; ch'essa sia il sommo onore, la somma
felicità, la somma gloria, il sommo bene che regola il valore delle cose e
degli uomini!...
Tale opinione, lo
confesso, fu comperata assai a buon mercato con venticinque anni di studio e di
prigionia; nè fu piccola in ciò la ventura del Barone. Ma gli sovvenne allora
d'una tradizione gentilizia, che a qualunque primogenito, prima di abbandonare
il castello di Nicastro, imponeva l'obbligo di leggere le pergamene d'una
scansia inchiodata fra due travi del soffitto. Richiuse dunque la finestra,
appoggiò una scala a piuoli al misterioso ripostiglio e salì con gran
batticuore, fermandosi ad ogni gradino. Finalmente la chiave rugginosa girò
stridendo nella toppa e la scansia s'aperse ch'era piena di polvere: ma per
cercar che facesse della mano per entro a quel buio non palpava altro che
polvere; tuttavia dopo molto frugare eccoti che due delle sue dita si
addentrano in un buco ad abbrancare una coda di pergamena; e in quel momento
una nebbia sì fitta gli corse dinanzi agli occhi, che per poco rovinando da
quella sommità non ebbe a finire come aveano finito tutti gli altri di sua
casa. Se nonchè si riebbe per uno sforzo di curiosità, e gettò lo sguardo su
quel cencio di pelle che gli si impigliava tra le dita.
«Ecco la gratitudine dei
sorci! brontolò il Barone scendendo un piuolo; - io li lascio vagare senza
sospetto di trappole per le dispense e pei granai, ed essi si spassano a
rosicchiare il più gran tesoro di mia casa.» E scese un altro piuolo; ma mentre
s'apprestava a calare sul terzo, ecco l'occhio corrergli quasi involontario al
titolo di quello strano documento. Non si ricordò più dove si fosse, non vide,
nè il pavimento, nè il soffitto, nè la scala; sedette senza accorgersene su
quel secondo gradino, e quanta conoscenza aveva di numismatica, di ermeneutica
e di paleografia, tutta la costrinse nel rilevare il pieno concetto di quella
scrittura dagli sgorbii sconnessi e rosicchiati che la componevano. Il titolo
adunque, ch'era meno guasto del resto, fu letto assai speditamente e diceva
all'incirca così:
Documenti utilissimi
alla scienza dell'umanità comunicati dalle anime di molto illustri trapassati a
me Barone Clodoveo di Nicastro (seguitava una scrittura più recente e di mano
diversa) morto nell'anno di grazia 1111 mentre s'apprestava a saggiare il
valore degli uomini e delle cose col sistema aritmetico di Pitagora.
Diavolo!... mormorò il
Barone; - ecco un mio antenato che la sapeva lunga!... Se non moriva in sì bel
punto, chi sa come sarebbe ora l'Italia!... - Ciò dicendo continuava ad
ammiccare, a scervellarsi, a ruminare sullo scritto infamissimo del Baron
Clodoveo, che essendo in diretta corrispondenza cogli spiriti avea trasandato
come futile abbellimento la calligrafia. Notisi che quei comentarii erano d'un
latinaccio barbaro e veramente baroniale, e che, se io li traduco, è per
maggiore comodità dei giovani, a cui si insegna per otto anni ma non si
apprende il latino. Cominciavano dunque così:
Documento l.° - Risposta di Plotino ad
un mio quesito sulle qualità dell'eccellente numero tre.
Caro Barone!...
«Capperi! pensò il
pronipote appollaiato sulla scala a leggere le memorie del proavo. - Per essere
un Egiziano, Plotino sapeva le convenienze araldiche!» - Poi riprese a leggere:
- Caro Barone!... Vi
rispondo che il numero tre è uno più uno, che fanno un altro uno, che
costituiscono un tre - il quale accoppia per tal modo la forza numerica
generante all'ente generato mediante l'opera generativa; dunque uno, uno e
uno...
- Dio mi confonda se
posso dicifrarne di più una sillaba sola!... masticò fra i denti il Barone: -
ecco che un sorcio illetterato si piacque desinare col più famoso squarcio di
letteratura sibillina che mi sia mai caduto sott'occhio!... Sien benedette le
trappole e chi le inventò!...
Ciò non pertanto
aguzzando gli occhi giunse a capire l'ultima clausola della risposta di
Plotino, la quale diceva per l'appunto che sul resto è una vera scioccaggine
perder il capo.
- Grazie! sclamò Don
Camillo, - grazie, caro Plotino! ma non voglio credere che solo il numero tre
sia degno di essere studiato, commentato e venerato... Passiamo ad altro!...
E lesse gran numero di
responsi di Talete, di Stratogirone, di Zoroastro, di Cheope, di Confucio, di
Visnù, di Pitagora, di Giuseppe Ebreo, di Simon Mago e perfino di Tubalcain e
di Nembrod, che vivevano prima del diluvio sonando, ballando e cacciando, come
noi viviamo ora prima della cometa. Tutti, già ci s'intende, brani malconci,
rabbuffati, irti di abbreviature e di scarabocchi; tutte cose misteriose
volgenti intorno alle virtù dei numeri, ai rapporti dei suoni, dei cieli e dei
colori. Il Barone si annoiava di tale fatica, quando come per ricompensa della
sua paziente indagine, s'avvenne in un capoverso oltremodo meraviglioso. - Era
scritto: - Documento LIII. - Risposta della Dea Egeria ad una mia inchiesta
sul numero fatale dei Romani.
- Corbezzoli! gridò il
filosofo con uno strabalzo di sorpresa facendo scricchiolare la scala sulla
quale sedeva. Corbezzoli!... che il mio dilettissimo arcitrisarcavolo Clodoveo
nell'anno di grazia 1111 fosse ancora pagano?
Ma a rassicurarlo su
questo punto gli soccorse una noterella in calce dell'antico barone che
diceva... La chiamo Dea Egeria per farmela propizia nel rispondere. Del
resto io lo so di sicuro ch'ella è dannata come una strega maledetta, e accerto
i miei posteri che mi sono già confessato e pentito di questa subdola
piaggeria.
- Birbone d'un antenato!
bisbigliò il nostro filosofo. - Quali arti adoperava per corbellare gli
spiriti!... Ma leggiamo, se si può, cosa ne dice la Dea Egeria.
- Caro Barone...
(la solita compitezza!) Rispondo che il numero due, simbolo di
contraddizione senza complemento dialettico, fu la rappresentazione arti
euritmica del pensiero Romano. Romolo e Remo, patriziato e plebe, console e
console, autorità consolare e tribunizia, equità e stretto diritto, libertà
d'alcuni e servitù di molti, Silla e Mario, Cesare e Pompeo, Cristianesimo e
Paganesimo, Costantinopoli e Roma, Romolo Augustolo ed Odoacre, sono le
incarnazioni della cifra funesta. Uno e due... uno e due...
- Ah! ah!... sicuro! ci
manca il tre del Dottor Plotino; disse ridendo il Barone. Me ne congratulo
colla Dea Egeria, che ne sa di storia... E andò innanzi colla lettura.
Documento LIV. -
Risposta di Milone Pitagorico ad una mia domanda sul numero della sapienza. -
Caro Barone. - La sapienza umana è la nona parte dell'uno indivisibile, più un
nono della nona parte, più un'altra nona parte di quel nono, più un altro nono
di quella nona parte, e così, fino alla morte di chi fa il conto, e fino agli
ultimi conti del genere umano. Studiate, figliuoli cari, per aggiungere qualche
altra porzioncina novenaria a qualche piccolissima nona parte, ma non crediate
mai di giungere a far un intero. Per esempio...
- Oh barbarie topesca!
scoppiò a gridare il Barone: che pigliava gusto nella dimostrazione
infinitesimale di Milone Pitagorico. - Oh barbarie inaudita!... Ecco per te
troncata a mezzo la più bella prova aritmetica di questo mondo!... Lo giuro che
tutti i cantoni di mia casa saranno guerniti d'or innanzi di bocconi
d'arsenico!... - Oh, cosa vedo mai!...
Questo ultimo punto
esclamativo fu prodotto dalla lettura di un altro titolo che seguitava dopo
l'ultima parte del Teorema di Milone sciupata così miseramente dalla barbarie
dei topi illetterati.
Documento ultimo. -
Risposta di Bruto Minore ad un mio dubbio sul numero sostanziale della virtù.
Caro Barone!...
- Oh, questa poi non la credo!...
sclamò, rizzandosi in piedi sul secondo piuolo e dando della nuca nello spigolo
d'una trave, il nobile erudito. - Ahi!... ahi!... - No, che questa non la
credo! soggiunse riponendosi a sedere. - Un repubblicano di quel calibro
lasciarsi scappar di bocca un titolo aristocratico!...
Tuttavia continuò a
leggere quelle ultime righe della pergamena che correvano abbastanza chiare
fino alla fine.
- Caro Barone. Io dissi
morendo la virtù non essere che un nome; ma i nomi non hanno valore
sostanziale, dunque la virtù è uguale alla negazione della sostanza, dunque
essa è =0.
- Maledetto bugiardo!
ruggì il Barone Camillo stracciando la pergamena e precipitando giù della scala
a rischio di fiaccarsi il collo. - Vorresti darmela a bere!... ma ti
conosco!... sei un ateo, un energumeno!... un pazzo!... un assassino!... Sì, un
assassino!... Poichè il fine, sappilo o astuto ambizioso, non giustifica punto
i mezzi, e per cosa al mondo tu nè potevi nè dovevi ammazzare tuo padre!...
Bella virtù era la tua!... proprio uguale a zero!...
E il Barone misurava a
gran passi e quasi furiando il pavimento polveroso della Biblioteca.
- Cassio valeva meglio
di te cento volte!... continuava egli - ma in quanto a te ci scommetto il capo
che miravi a farti bello delle spoglie altrui e null'altro!... null'altro, mi
capisci!... Filippi sarebbe stata la Farsaglia di Bruto invece di essere quella
d'Augusto, se tu la spuntavi!... Ma io ti smentirò!... Ah! la virtù è uguale a
zero!?... Buffone!... te lo farò vedere io qual è il prezzo di questa cosa
divina!... Ehi!... Floriano!... Floriano!...
Bruto, nulla rispose
agl'insulti e alle mentite del signore di Nicastro; ma Floriano fu più
arrendevole e comparve due minuti dopo sulle soglie della biblioteca. Ora
conviene prima sapere chi fosse Floriano.
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