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Ippolito Nievo
Il barone di Nicastro

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  • IL BARONE DI NICASTRO
    • VII.
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VII.

 

Le due dame erano a que' giorni di Cagliari com'erano state di Genova, di Napoli e di Venezia e d'altri molti paesi nei tempi addietro: viaggiavano esse principalmente per piacere; non per lesineria come i lordi del Regno Unito; non per pettegolezzo, come i savants degli ottantasei dipartimenti; non per estri romantici, come i discepoli di Bürger, il poeta degli scheletri; non pel quieto vivere, come gli Spagnuoli; non per superbia, come gli Americani; non per seminar genovine, come taluno che però io non conosco; non pel ruzzo di pelare, come molti altri che conosco; e nemmeno per puro piacere, come i Milanesi che vanno a Monza. Viaggiavano, dico, pei piaceri più o meno puri di e degli altri, preparando forse materia a qualche dramma o commedia della nuova scuola Dumas. Del resto innamorate a prima vista della storica figura di Sua Eccellenza, e conoscitrici della natura umana e delle sue bizzarrie, s'erano ingegnate mirabilmente per adescarlo alla loro conversazione; e piene di fede nei proprii accorgimenti attendevano di minuto in minuto la sua visita diplomatica. Tutto per amore schiettissimo della scienza, come usan dire i letterati; e per ardenza di carità, come direbbero i moderni filantropi, o quegli altri filantropi sdentati, che grattano le gengive ai novellini, credendosi con ciò di tenerli a balia in perpetuo. - Pertanto le due dame sedevano fraternamente su un solo baule; e il baule era di pelle d'asino genuino; sdruscito, spelato, roso dai sorci, con qualche borchia d'ottone luccicante qua e , come raggio di sole tra nuvoli folti; al quale s'aggiungevano, sorelle del triste pellegrinaggio, una scatola di cartone su cui, ai segni visibili, qualche candela di sego aveva finito la propria esistenza, ed una bisaccia da notte, che con alcuni anelli di ferro penzolanti dagli orli attestava ancora la vetusta qualità di cortina. - Dopo ciò chi vorrà sostenere che la condizione degli uomini non si rileva, piuttostochè dai bernoccoli del cranio, dall'aspetto delle loro valigie?

Il Barone muto muto mosse tre passi verso le due dame, a due inchini per ogni passo; ma se taceva, non mancavano ragioni, e appunto per essergli ito il cervello fra le nuvole, il torso e le gambe si addebitarono di far le sue veci.

- Le sono due! mulinava egli. - Peggio che peggio!... Non ci aveva pensato!... Tuttavia se io mi ci metto diventiamo tre!... Di meglio in meglio!... anche questa la m'era scappata!... Pitagora, Platino, il Barone Clodoveo possono star contenti che la mia virtù è a cavallo d'un bel numero.

Intanto una delle due ninfe approfittò della tregua per nicchiarsi nel vano d'una finestra, l'altra per acconciarsi con miglior grazia le pieghe e direi quasi le rughe dei suoi otto camuffi: e ambedue si mordevano le labbra, mentre l'ideologo protettore cercava nelle fibbie delle scarpe una classica ispirazione.

- Nemo propheta in patria! disse finalmente il Barone alla più vistosa ed accivettata delle due, che sedeva sul baule, come Cleopatra nel famoso carro di Venere. - La signora; continuò egli; fugge il paese natale!

- Il nobile Barone ha colto nel segno, rispose la dama; - fuggo il paese natale, dove i beni del defunto marchese mio marito furono confiscati.

- In nome della nobile marchesa; soggiunse il Barone con ambedue le mani sul lato sinistro del giustacuore; io moverò lite al Fisco, se osò farsi reo d'una sì nefanda ingiustizia.

- Tutt'altro; ripigliò la signora. - Il marchese era partigiano... del Bey di Tunisi... e meritava di essere appiccato...

- Canchero! sclamò il Barone.

- Dunque, proseguì l'altra; il Fisco aveva ragione; e a me, se non dispiacesse di veder capovolte colla poligamia le sante usanze della cristianità, resterebbe unico scampo il gettarmi fra le braccia del Bey.

- Non lo faccia! gridò con atto di orrore l'erudito gentiluomo. - È un turco, un rinnegato, un ladro di mare colui!

- Infatti venni a Genova! bisbigliò carezzevolmente la marchesa. Ma segga un poco; la prego, caro Barone! - E lo mise a parte del suo baule.

- Forse; le susurrò il Barone all'orecchio accennando la compagna nascosta modestamente nel suo cantuccio; forse anche la signora è il disgraziato rampollo di qualche nobile prosapia!

- Che!... che!... strillò la marchesa - caro Barone, mi farà perdere la stima del suo bel naso... Colei è più meno... della mia nutrice.

Il poveruomo balzando in piedi fece crocchiare le antiche vertebre del baule; e tutta l'anima gli si scompose per l'improvvisa maraviglia: soltanto l'ingenuità rimase imperturbabile, come l'olio nella lampada allorchè il vento combatte, divide, allunga, preme e attortiglia la volubile fiammella.

- Non ne prenda stupore, carino; ripigliò tossendo la dama, - se madonna Rosaura mi è tanto domestica, ciò si usava in Grecia alla corte del re Ciniro... come mi spiegava una prima amorosa...

- Piuttosto; la interruppe il Barone, mi cagione di sorpresa la fresca età di madonna Rosaura.

- Oh per questo poi la cosa è chiara; soggiunse l'altra; prima di tutto Rosaura ringiovanisce nelle disgrazie, come si vede comunemente. In secondo luogo, ella mi vuota ogni mese quattro fiaschetti del balsamo di lunga vita. Da ultimo poi, mia madre ebbe la testardaggine di volere ch'io prendessi il latte fino a dodici anni compiti, e costei fu per l'appunto l'ultima delle mie balie.

- Corbezzoli!... e i denti? chiese il filosofo.

- Eccoli! rispose la dama mostrandone trentadue, candidi e affilatissimi l'uno meglio dell'altro. - Il Barone smarrì la bussola del ragionamento, e s'acconciò di bel nuovo sul baule, che gemette, forse di piacere, per la buona ventura capitata alla padrona.

- Eccoli; tirò innanzi con una languida occhiata la Marchesa, rabbellendo con un sorriso que' trentadue birboncelli affamati. - Eccoli a dirmi, ogni qualvolta mi guardo nello specchio, ch'io non son più una bambola da starmi appesa al seno della nutrice!... - E tuttavia; riprese indi a poco sfregolandosi dagli occhi una lagrima; son condannata a fare d'una fantesca la mia compagna di letto!... - Oh no!... questo non sarà mai!... Piuttosto voglio dormire su questo suolo ammuffito!... Piuttosto... - Uno scoppio di singhiozzi vietò sul più bello la parola alla simpatica Marchesina.

- Oh sì!... la si dia coraggio!... Ella ha tutte le ragioni! veniva dicendo il Barone, accostandosi a lei, rasciugando quelle lagrime preziose, raccogliendo quasi colle labbra quegli ardenti sospiri, - anch'io non acconsentirò giammai d'aver comune la stanza col mio maggiordomo!...

- Come si ha a fare! mormorò piagnucolando la Marchesa.

- Come si ha a fare! balbettò trepidante il Barone.

- Ecco; diss'ella con eroica fermezza, - in nome del vero onore, a lei, signor Barone, io chiedo ospitalità e soccorso. I padroni stieno da padroni, i servi coi servi, e la Provvidenza pensi al resto.

- Cioè... cosa si intende?... cosa significa?... mormorava il Barone trafelando, come dopo una lunghissima corsa.

- Io pianto le mie tende nella sua stanza; sclamò la signora coll'accento ispirato d'una martire; - alla sua fede commetto me, il decoro, l'onor mio, come a padre figliuola (e in ciò dire gli si appendeva al collo con tenerezza più che filiale). Guai a chi calunnia le anime di alta levatura!

- Guai! ripetè il Barone con una vocina da moribondo.

- Del resto, proseguì la Marchesa, il guardiano mi ha permesso l'uso d'un vecchio paravento; e quanto a donna Rosaura io la affido al rispetto e alla costumatezza di messer Floriano. - Avete capito, cara Rosaura.

Costei si volse con un profondo inchino, la Marchesa, issata a stento dal baule la lunga persona del suo protettore, lo trasse per mano fuori della camera, e su per la scala fino alla stanza dove Floriano attendeva il padrone, snocciolando la corona.

- Che ci fa quel letto nel corridoio, messer Floriano? disse la Marchesa, - riportatelo al suo posto!

Floriano guardò il Barone e fece come gli era comandato.

- Messer Floriano, scendete dal guardiano a prendere quel paravento che mi promise un'ora fa; disse ancora la Marchesa, e Floriano scese e tornò in brev'ora col paravento.

- Più lontani quei due letti... più lontani ancora!... stendete il paravento per lo mezzo... Così, va bene!... Ecco d'una stanza fattene due, sfido qualunque chiettino a prenderne scrupolo!... Messer Floriano, vedete che si fa buio... accendete la candela!

Floriano interrogava d'un'occhiata il Barone, e ubbidiva di volta in volta: corse dunque ad accendere la candela, e il Barone stesso colle sue nobili mani trasse dal baule una venerabile bottiglia di unguento pei calli, onde farne un candeliere.

- La prenda pur lei la candela; disse porgendola alla Marchesa, e ritirandosi nel suo scompartimento sotto la finestra:... in quanto a me... se mi riesce... dormirò allo scuro!...

- Grazie; rispose la Marchesa salutandolo di un gesto. E voltasi poi a Floriano che spalancava la bocca come una borsa da elemosina:

- Messer Floriano, la riverisco; aggiunse con un nobile cenno di commiato. A lei resta affidato l'onore di madonna Rosaura... Non ci troverà letti dabbasso, perchè il guardiano ne aveva uno solo, e quello va lasciato alla dama; tuttavia s'ingegnerà con qualche schiavina; e del resto le notti non sono ancora molto fredde!... A proposito, dica a Rosaura di salire a spogliarmi prima di coricarsi. Caro messer Floriano, felice sera!...

E il buon maggiordomo si trovò al perfettissimo buio nel corridoio perchè la Marchesa, dopo averlo riverito e sospinto fuori dell'uscio, gli aveva chiuso la porta sul naso.

- Felice sera anco a lei, signor Barone! gridò la buona signora.

Un sospirone le rispose dall'altra parte del paravento, e poi un grazie così sottile che cavava le lagrime. - Che il filosofo ripensasse prima di addormentarsi alla vanità delle sue previsioni circa al bel numero della virtù?... Scusatemi ma non lo credo.

 

 

 




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