XV.
Peraltro l'illustre
viaggiatore s'ebbe ad acconciar bene o male a quegli ozii tunisini, almeno
finchè la colta dei datteri e dei fichi mettesse in grado il trabaccolo di
rivalicar per l'America. Intanto, nella seconda settimana di sua dimora colà,
smontò all'albergo un venerabile Dervis che avuta contezza dell'arrivo in
Africa d'un tanto personaggio, veniva a disputare con esso lui sopra certi
punti ancora controversi della filosofia Mussulmana.
Dopo molto parlare e
poco intendersi, il Barone conchiuse fra sè che quel Dervis era un
neoplatonico; e gliene mosse discreta rampogna.
- Dovete sapere; rispose
il Dervis; che qui non avviene come fra voi altri barbari che a maestri e
catechizzatori si rivedono le buccie come a tanti mascalzoni. Un Dervis può
come meglio gli aggrada riverberare sulle menti dei fedeli il lume della sua
dottrina.
- Ah! voi chiamate noi
altri barbari? sclamò Don Camillo.
- Noi, come i Greci,
chiamiamo barbari tutti quelli che non sono noi - soggiunse il Mussulmano. -
Perciò i popoli che hanno la stampa, i codici, la eguaglianza dei diritti, e
che non seppelliscono le proprie unghie, li comprendiamo sotto questa
denominazione.
- Ah dunque qui a Tunisi
non ci avete la stampa?
- Il Corano è
manoscritto.
- Ma non avete neppur un
cencio di codice?
- Abbiamo l'eterna
giustizia del Corano.
- Ma non adottaste
l'uguaglianza dei diritti?
- Dio ce ne liberi!
Abbiamo la dogmatica disuguaglianza del Corano.
- E come vivete dunque?
- O bella! - Ognuno vive
e mangia, com'è suo diritto, alle spalle di chi è più piccolo di lui. Questa è
la vera fratellanza: e natura ce la insegna quando dà i moscerini in pranzo
alle rondini - e le rondini in cena al falcone. Del resto Allah è un solo Allah,
Maometto il suo profeta, e andiamo tutti perfettamente d'accordo.
- Ah! andate anche
d'accordo?... E chi è che vi mantiene così d'accordo a questo modo?
- Caspita!... Sua
Altezza il Bey!
- Ah il signor Bey!...
Un gran testone e un gran tiranno dev'esser costui!
- Chi?... il Bey?...
Tutt'altro, fratello mio!... È l'uomo più semplice e timido che abbia mai
veduto la cupola della Kaaba; e se vi ho nominato lui l'è stato per usare una
formula solita. Al fatto ci abbiamo due governi. Quello del Bey che governa il
Serraglio, e la Moschea;
e l'altro dei servitori del Bey che governano Tunisi e il Bey stesso.
- Ah due, due! Numero
fatale! sclamò il Barone. - Tu inalberi la tua forca anche nel paese dei
datteri! - Ma poi, richiese egli con voce più posata; cosa dice il Bey vedendo
fare ai suoi servitori il rovescio d'ogni sua volontà?
- Ecco il nostro
uffizio; rispose il Dervis. - A noi tocca procurare ch'ei non veda giusto o
almeno acquetare i suoi scrupoli di coscienza.
- E ci riescite? domandò
ancora il filosofo.
- Lo credo bene -
rispose il Maomettano. - Io acqueto la sua coscienza e quella delle sue cento
mogli e quelle de' suoi ministri; e metto d'accordo i grilli filantropici dei
consoli Europei colla tratta dei negri nonchè la giustizia sommaria dei nostri cadì
col Tanzimat di Costantinopoli! - La filosofia non è onnipotente per
nulla, caro Barone. Laonde io l'adopero pel mio meglio.
- Che razza di
filosofia! pensò il Barone - Credo che lo mettessi tropp'alto a crederlo un
neo-platonico. - Ditemi, aggiunse poi con un certo piglio furbesco, ditemi,
caro Dervis, non sareste voi per caso un pochettin Manicheo?
- Che è quanto dire?
domandò questi.
- L'è una certa setta
che ammette due principii assoluti e contraddicenti. Quello del male e quello
del bene.
- Sì per Maometto che
son Manicheo! sclamò ingenuamente il Dervis. Ammetto assolutamente il male
degli altri purchè ne provenga il ben mio!
- E ve ne torna bene
d'un tale sistema?
- Benissimo! qui in
terra son fortunato come ogni vero credente; e in Paradiso mi attendo le sette
uri, e i 60.000 servitori promessi dal profeta ai suoi eletti.
- Felice notte! mormorò
disperatamente il Barone accendendo una sigaretta. - Neppur a Tunisi si giunge
alla beatitudine per la virtù. Se i Baroni di Nicastro hanno il sangue dei
Nic-azroem nelle vene, spero che lo avranno di molto, ma di molto annacquato
dal Mille in poi!
Per quella volta i due
filosofi si separarono, ciascuno assai beato della propria opinione. Ma qualche
giorno dopo, essendo scoppiata tra i Beduini una rivolta sotto la direzione
d'un certo arabo che volea cacciare i Turchi e far signori di Tunisi quelli del
paese, tutti i magistrati, i mercanti, i primi officiali e il Bey stesso
vivevano in grande costernazione. Il Dervis solo paffuto e tondo seguitava a
fare le sue cinque abluzioni e i suoi tre pasti al giorno con somma meraviglia
del Barone.
- Oh come siete grosso
per un filosofo! gli disse finalmente il Dervis - come siete grosso a
maravigliarvi d'una cosa tanto naturale! - Perchè volete che m'affanni! - Una
delle due! - O la ribellione guadagna Tunisi prima della raccolta dei datteri,
ed io rimango ad acquetar la coscienza degli Arabi invece che quella dei
Turchi; o la guerra si scioglie prima di quel tempo, ed io resterò quello che
era prima, e avrò vissuto questo po' di tempo allegramente.
Infatti qualche giorno
dopo essendo uscito di casa il Barone, e avviandosi nella piazza del governo vi
vide un foltissimo viale di forche cariche di freschissimi frutti, e all'ombra
di esse il Dervis e un suo collega che fumavano di conserva.
- Allah è il solo Allah
e Maometto è il suo profeta! gli disse festosamente il Dervis.
- Allah può esser
benissimo Allah; rispose il Barone; ma Maometto è il più mostruoso
strangolatore ch'io abbia mai conosciuto!
A queste parole il Dervis
fece un cenno al compagno, e tutti e due corsero a rompicollo nella cancelleria
di Sua Altezza. Il Barone per parte sua corse dal capitano a fargli ressa di
partire, giacchè da quella scappata dei due maestri Mussulmani non si augurava
nulla di buono. Ma il Capitano gli oppose che aveva bisogno di duecento piastre
per pagare il fornitore del carico, e che se egli volesse firmare un
contrattino di società...
- Ve le regalo io!
sclamò il Barone - purchè si parta subito.
Gliele contò anche in
fatti; ma il capitano non le aveva ancora intascate e datogli una cedola di
compartecipazione al lucro sui fichi secchi, che un portiere del ministro venne
a chieder per conto dell'autorità dell'eccellentissimo signor Camillo di
Nicastro.
- Ci sono! pensò fra sè
il pover'uomo - E dopo due giorni di penosissima procedura, coll'intervento di
non so quanti consoli, la pena per aver bestemmiato Maometto su una pubblica
piazza, gli fu ridotta al pagamento di duemila piastre.
- Per carità! andava dicendo
il Barone al capitano del trabaccolo. - Salpiamo in gran fretta, se no l'è
certa questa ch'io torno a Nicastro impalato!
- Colpa di sua
eccellenza! soggiunse il capitano. - Mo' le pare di appiccar lite con Maometto
in casa sua, dinanzi a due testimoni di quel calibro!?
- Colpa vostra, marrano!
gridò il Barone. - Il carico dovrebbe esser pronto da un secolo!
- Anche per questa volta
il danno è che siamo in due - ribattè lo Spagnuolo. - Il padron della nave è
via pel deserto e per quanto il carico sia lesto e pagato, mercè le duecento
piastre graziosamente sovvenutemi, io non posso già partire prima ch'ei ritorni
- Abbia pazienza, Señor Baron; fumi delle sigarette.
- Sarà il minor male!
brontolò il Barone.
- Ma ricoveratosi a
bordo, ne fumò tante e tante che al fine una febbre cerebrale acutissima lo
mise in pericolo di vita. Quando rinsennò, il trabaccolo volava in alto mare,
ed egli si vide a fianco il capitano ed il cuoco della ciurma.
- Dove siamo? mormorò
fiocamente l'infelice viaggiatore.
- Nei paraggi delle
Azzorre; rispose il capitano.
- Dunque que' maledetti
fichi sono all'ordine, e il padrone è tornato dal deserto? riprese il Barone
con un filo di voce.
- Fichi e datteri sono
al loro posto; ed ella sarà contenta della nostra società; rispose con un
ghigno da galeotto il capitano. - Quanto al Padrone temo che qualche
rinoceronte se lo sia pappato, ed abbiam dovuto partire senza di lui.
- Ohimè come mi casca la
testa! piagnucolava Don Camillo agitato nella sua branda da un furiosissimo
Greco-Levante che rimescolava l'Atlantico. - Almeno avessi al mio fianco
Floriano... o la mia Tesoruccia!... Almeno potessi spirare l'ultimo fiato nel
castello degli avi miei!
- Si calmi; prenda
questa pozione di rum e di tabacco: gli susurrava il cuoco.
- Si dia animo: fumi una
sigaretta, soggiungeva il capitano.
- O mio Dio! a chi, a
chi badare! pensava il signor Barone. - Come salvare la mia pelle pitagorica
fra due medici di tal fatta? - Cosa potrei adesso rispondere a quel cinico di
Bruto? - Dov'è la virtù?... dove la felicità?
«Caro Baron Clodoveo di
buona memoria, soccorrete se vi piace al vostro misero pronipote!...
«E cos'è tutto codesto
scricchiolio di catene che mi dà ad ogni notte la sveglia? domandò ancora il
Barone, quando passati alcuni giorni gli fu tornata la speranza di riveder
Floriano, la Tesoruccia,
e il bel castello di Nicastro.
- Oh bella! sono i
datteri e i fichi! rispose berteggiando il capitano. E scantonò dall'uscio
senza spiegarsi meglio. Don Camillo dal canto suo prese a sospettar male intorno
a quel suo contratto di società; e peggio ne dubitò quando gli fu annunciato,
che per vendere a più alto prezzo i fichi1 e i datteri, prima di
approdare a Nuova York, avrebbero fatto scalo a qualche porto della Carolina.
Infine egli brontolò e tempestò a segno tale, che il capitano presolo per mano
lo condusse nella sentina della nave, ove una trentina di negri d'ambo i sessi,
legati a due a due, tenevan vece di zavorra.
- Oh assassino, oh
carnefice! gridò il Barone pitagorico - tu sei un mercante di schiavi.
- Cioè, ci siamo in due,
rispose malignamente lo Spagnuolo; perchè Vostra Eccellenza ha firmato il
contratto, e nessuno stenterà a capire la metamorfosi dei fichi.
- Appena giunto a terra
ti farò appiccare! strepitava il Barone.
- Ci faremo compagnia!
rispondeva il capitano.
E per quanto il Barone
sudasse per salvarsi dai ragionamenti di costui, non ci fu modo di sfuggire;
anzi gli convenne ingoiarsi per giunta una lunga dissertazione sulle due
varietà del genere umano: la bianca cioè, e la nera; la prima fatta per vendere
comprare e bastonare, l'altra per essere venduta comprata e bastonata.
- Ed è vero -
soggiungeva quell'omaccio del capitano - è vero che vi son paesi ove i bianchi
son negri, e i negri son bianchi, ma l'eccezione conferma la regola.
Or dunque gli schiavi
furono venduti, e benchè un terzo fosse rimasto in mare, pure il guadagno parve
assai largo: solamente il Barone non volle toccare di quel denaro maledetto, e
stringeva sempre il capitano perchè lo menasse a Nuova York come avevano
pattuito. Costui faceva orecchi da mercante; e gli veniva dichiarando, come una
buona metà del Congresso più liberale e repubblicano del mondo, tenesse la
schiavitù per un'opera di carità fiorita, anzi una vera tutela provvidenziale.
- Io sto per l'altra
metà, io sto per l'altra metà! si pose a gridare Don Camillo.
- Me ne congratulo con
lei; disse il capitano. - In quanto a me, siccome non mi sento da tanto di
librar le ragioni di questi e di quelli, così mi piglio bell'e fatta l'opinione
che mi dà maggior utile.
- Quanto buone sorelle
sono birberia ed ignoranza! mormorò il Barone; e a più chiara voce soggiunse:
Spero che salperemo per Nuova York!
- Ancora un po' di
pazienza; ribattè con beffarda umiltà il capitano; non la vede quelle poche casse
caricate stamane dalla ciurma?... Or bene; una breve gitarella di piacere per
isporgerle al general Walker a Costarica, e poi sono con lei.
- Ah birbante!... ah
marrano!... io voglio smontare! olà, signor piloto!
- È inutile: continuava il
capitano - son già levate le àncore, e un buon greco ci gonfia le vele per
Costarica.
Il Barone gridava,
sbuffava, e le risa della ciurma raddoppiavano per le sue convulsioni. Volle
cercar un conforto nella filosofia, ma questa gli mancava sotto, come una
tavola zoppa al brancicare d'un ubriaco: finì col rinchiudersi nella sua
cabina, e anche là lo perseguitavano i dileggi clamorosi de' marinai e le
disperate paure della coscienza. Infin allora, anzichè abbattersi in alcuno che
per far suo pro' della fortuna adoperasse gli argomenti della virtù, avea
trovato la birbonaggine padrona del mondo, e le sue stesse virtù per
sopramercato gli si volgevano contro a squadrargli le corna.
- Ahimè! sospirava lo
sconsolato Barone di Nicastro - ahimè temo assai, che vi sieno due vite; l'una
piena di ragioni e di sogni che si pensa nelle biblioteche, l'altra ispida di
contraddizioni e di verità, che si agita pazzamente nel mondo!
Giunsero finalmente allo
sbocco d'un fiume intorno al quale Walker teneva il suo campo; e sulle prime,
Don Camillo non voleva impacciarsi con un cotal filibustiere, ma poi la
curiosità lo vinse e più anche il prurito di raccontare e scrivere
quandochessia sopra un giornale le meraviglie de' suoi viaggi. Sbarcò dunque e
s'intrattenne assai volte col fiero Americano; ma vegliava frattanto ben
addentro in ogni notte, per apparecchiare certi argomenti che dovevano
sconsigliarlo dalla sua ingiusta intrapresa.
- Caro generale, gli
disse una bella mattina, quando si stimò forte abbastanza da sfidare l'avversario
nel campo della logica - l'America è il paese della libertà, ora perchè vi
salta il ruzzo di sconquassarla con una fazione, la quale, scusatemi, ne'
nostri codici antiquati si chiamerebbe una rapina a mano armata?
- Caro cittadino,
rispose Walker: voi non ignorate che vi sono due Americhe, l'una libera, e
l'altra schiava, e che io vengo a nome della prima per liberar la seconda.
- Adagio col discorso,
soggiunse il Barone; come volete recare la libertà agli altri voi che avete la
schiavitù in casa?
- Anche questa è una
capocchieria: riprese il generale - noi abbiamo in casa la schiavitù negra e di
mezzo colore; il che non toglie che non ci corra obbligo d'insegnare la libertà
ai bianchi; e gli Spagnuoli dell'America meridionale sarebbero bianchi se...
- Se non fossero bruni;
intromise Don Camillo.
- Se stessero meno
esposti al sole; continuò l'altro pacatamente.
- E codesta strana
libertà volete loro insegnarla per forza? chiese il Barone.
- Nel mondo vi sono
saggi ed ignoranti; rispose Walker; e a quelli per diritto naturale si spetta
di educar questi, se anche questi per cocciutaggine non ne vogliono sapere.
- E li educate
coll'assalirli, col taglieggiarli, coll'ammazzarli?
- È un mezzo eroico,
d'effetto sicuro.
- E se li ammazzate
tutti?
- Resteremo noi.
Il Barone rimase a sua
volta con tanto di bocca, che mai non gli era occorso contendere con un
filosofo pratico di tanto valore. L'ingenuo Yankee non parve accorgersi di
cotal maraviglia, e riprendendo dopo breve pausa il filo del discorso:
- Alla peggio e alla
meglio, continuò, faremo degli Spagnuoli quello che costoro fecero delle tribù
paesane. Lo credereste che son ridotti a tanta infingardaggine, da pagare un
paio di stivali quattordici colonnati, piuttostochè conciarsi in casa un brano
di pelle, e cucirla e risaldarla con due braccia di spago?... La ficaia che non
dà buon frutto si taglia per arderla, caro signore. Una delle due!... O i
Costaricani s'accontentano di lavorare, e noi ci staremo contenti dei guadagni
che ne proverranno ai commerci dell'Unione; o intendono poltrire come Grandi di
Spagna, e noi entreremo al loro posto per fare qualche cosa di meglio.
- Filosofo Walker, disse
costernato il Barone di Nicastro; voi siete un Ercole, voi scompigliate con un
calcio tutto il divino sistema di Pitagora; Milone che ai giuochi Olimpici
lanciava il disco lontano cinquanta stadii era meno robusto di voi!
Ciò dicendo il povero
ideologo europeo si rifece al mare e salì sul trabaccolo: là si consolava
pensando, che forse gli avvenimenti avrebbero dato il torto ai feroci
sillogismi del filibustiere. Ma appunto il giorno seguente l'esercito
costaricano si divise in due parti; due generali fomentarono quella discordia
per pescare nel torbido, e Walker più furbo di ambidue, saltando loro addosso
co' suoi masnadieri, volse a suo vantaggio quell'intempestiva dissensione. I
Costaricani furono poco meno che disfatti; i due generali corsero più che di
trotto al Congresso della Repubblica; cadauno apportatore della triste novella
e d'un accusa d'alto tradimento contro il compagno; il Congresso fu pronto esso
pure a separarsi in due fazioni; alla sconfitta dell'esercito successe l'intera
confusione; Walker si sfregolò le mani lusingandosi di pascere, vestire e
saccheggiare, ben presto a profitto degli Anglo-Americani, gli Americani
Spagnuoli. Don Camillo co' suoi pronostici rimase anche quella volta con tanto
di naso, e il capitano del trabaccolo comandò di sciogliere per Nuova York, ove
sperava farsi pagar salato dai partigiani di Walker l'annunzio della vittoria.
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