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Ippolito Nievo
Il barone di Nicastro

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  • IL BARONE DI NICASTRO
    • XVII.
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XVII.

 

Don Camillo a Nuova York spendeva male il suo tempo; non vizii capitali, non esimie virtù, non fervide passioni da fermare un filosofo, ma negozii e contratti, contratti e negozii in tutto.

- In mezzo a questa gente neppur un cencio di Barone andava mormorando il pover uomo.

- Alto - gli diè sulla voce l'oste, che intese codesta sua esclamazione - alto , signor mio. Vi sono due Mondi; il vecchio dei Baroni...

- E il nuovo dei mercanti, riappiccò Don Camillo. - Sta a vedersi se il nuovo ci abbia guadagnato.

- I Baroni non pensavano che pel lustro della loro casa; ribattè l'oste.

- I mercanti s'arrabbattono per amor del quattrino; rimbeccò Don Camillo.

- I Baroni mangiavano, soperchiavano, dissanguavano i vassalli.

- I mercanti mungono, soperchiano, dissanguano gli operai.

- Ma gli operai son liberi d'andarne ad altro padrone.

- Forse peggiore, certo non migliore del primo.

- I vassalli non avevano neppur un cotal conforto.

- Ma almeno potevano sperare di morir pasciuti.

- Gran consolazione davvero!

- È gran bel privilegio il vostro!

- Baroni e mercanti furono e sono, secondo i tempi, una sola razza d'egoisti, s'intromise a dire quel giudice filosofo che aveva spiegato a Don Camillo l'imbroglio delle due politiche, e veniva ora a visitarlo per amor della scienza.

- Vi sono Baroni virtuosi! sclamò Don Camillo.

- E mercanti onorati! proseguì l'oste.

- Lo credo; riprese ancora il giudice; ma ogni secolo è figlio dei secoli che son venuti prima; l'uomo è sempre un impasto delle medesime qualità: il lupo perde il pelo ma non il vizio: due e due fanno quattro; onde io credo che l'utilità propria sia stata e sarà sempre il motivo generale delle operazioni umane.

L'oste che vide un forastiero addentrarsi nell'albergo, piantò la filosofia per curare i fatti suoi; e Don Camillo volgendosi al giudice con una cera da Deprofundis:

- Quale atroce colpo mi date con questa sentenza, gli disse.

- Siete filosofo e non sapevate una tal verità? domandò l'altro.

- Viaggio per persuadermi del contrario - imprese mogio mogio il Barone; e cerco il perfetto accordo della virtù colla felicità; almeno colla felicità interiore degli stoici.

- La troverete, disse gravemente l'Americano.

- Dove? chiese con ansia il Barone.

- In Paradiso, rispose l'altro, se avete fede, speranza, carità... e pazienza.

- Vi dirò, riprese indi a poco Don Camillo. - Sì, è vero, nel mondo trovai finora la contraddizione del male col minor male o, come dicono Pitagora e il Barone Clodoveo mio rispettabile avo, il binario senza complimento, l'oscillazione fra due termini senza la quiete conciliativa nel terzo. Ma se non trovai finora (badate che ho visitato soltanto Genova, la Spagna, Tunisi, Costarica e gli Stati Uniti) confido di essere più fortunato in seguito, poichè, (argomento io), questo accordo finale, questo trinum perfectum, Pitagora e il Baron Clodoveo hanno potuto pensarlo. Ora il pensiero è un ideale, cioè un riflesso o un astratto del reale, il quale non avrebbe potuto separarsi dal suo intero o essere astratto dalla concezione, o più chiaramente essere concepito, se egli già prima realmente non esisteva. - E così del pari, se egli ha una volta esistito, deve tuttora esistere poichè il perfetto è incorruttibile; come noi a Nicastro, per esempio, diciamo perfetto quel vino che in ragion di tempo guadagna anzichè perdere di soavità e vigoria. E che l'incorruttibile poi sia di sua natura eterno anche le oche lo sanno.

- Benissimo; optime! soggiunse l'Americano. - Ma vi sono due filosofie per dar ordine a codesta materia. L'una che cerca questo finale accordo, persuasa ch'esso esista; l'altra persuasa parimenti di ciò; e persuasa tanto, anzi persuasissima, che crede tempo perduto il corrergli dietro.

- Oh io scelgo la prima! sclamò eroicamente il Barone.

- Ed io la seconda: riprese sorridendo l'Americano.

- Ma non sarete mai completamente illuminato, disse Don Camillo.

- E voi non avete un'ora di quiete: continuò il giudice...

- Trovato ch'io abbia il mio ideale, proseguì Don Camillo, mi ridurrò nel bel castello di Nicastro col segretario Floriano... e con una savia sposina... (oh se quella che m'intendo io avesse i sessantaquattro quarti).

- Cosa dite? chiesegli l'Americano.

- Dico, riprese il Barone, che dato ordine al punto cardinale della mia discendenza mascolina, scriverò un'opera in venti volumi con note, glosse, commenti e carte topografiche contro quel vanerello di Bruto ch'ebbe la cattiveria di porre in dubbio la virtù.

- Tutto sta che troviate il trinum perfectum di cui andate in cerca - obbiettò il giudice. - Sì, è il salto dell'asino. - A mia veduta le cose umane sono zoppe, imperfette e doppie come cipolle, ma nessuna raggiunge quell'accordo triplice e finale. - Due, per esempio, sono i poli del mondo; e perciò il mondo gira traballone che ci fa perdere ogni pazienza. Due sono i sessi degli animali, onde la guerra è divenuta fra essi necessaria più dell'amore. E per parlarci più specialmente dell'uomo, esso ha due gambe, colle quali giungile e sgiungile egli lavora molto senza mai arrivare proprio dove vorrebbe; ha due occhi, l'uno che vede, l'altro che stravede; due orecchie delle quali l'una è fatta per lasciar vaporare quello che raccoglie l'altra: due mani per bastonarsi e contrariarsi vicendevolmente; due ginocchi per frusciarli sui piedestalli della dea Venere e del dio Mammone; due mascelle per divorar la parte ai vicini di destra e di sinistra; due spalle capaci di addossarsi animosamente ogni furfanteria ben pagata; due natiche da offrire allo scudiscio purchè si tenga colma la mangiatoia, due...

- Per carità non vi incaponite nella vostra dimostrazione anatomica!... sclamò pudicamente Don Camillo. - So dove andreste a cascare e so che vi sono filosofi i quali ci consentono la facoltà generativa solo per metter al mondo dei vigliacchi o dei piagnoni!... Un certo nostro Leopardi (che del resto la sapea più lunga di molti celebri inglesoni e celeberrimi francesini) ci è cascato anco lui, quando ad una sua sorella prossima a maritarsi scriveva:

«... Miseri o codardi

Figliuoli avrai...»

- Miseri eleggi! - suggerì l'Americano.

- Tu quoque? - Voi pur la sapete quella divina, quell'immortale, quella filosofica poesia? - sclamò palpitando il Barone.

- Non la so, ma l'indovino, rispose l'altro modestamente.

- Allora, secondo me, indovinate male.

- Forse, caro Barone; poichè del resto l'uomo ebbe pur troppo da natura due facoltà diversissime; l'intelletto e la volontà; e se colla prima antepone l'onorata miseria alla comoda vigliaccheria, sovente anche colla pratica della seconda capovolge la teoria della prima.

- Voi bestemmiate alla bontà originale degli uomini, caro confratello! Voi siete un materialista fracido!

- Cercate gli uomini per tutto il mondo, e mi saprete dire se li calunnio!

- Li cercherei assai volentieri! - ma che ne sarà intanto di Floriano? Cosa sarà della Tesoruccia di Genova, e della mia discendenza?

- Non vi scorate sì presto! - disse gravemente l'Americano. - Domani parte un piroscafo carico di dotti degli Stati Uniti i quali intendono fare certi loro sperimenti astronomici in tutte le latitudini del globo. - Io con una commendatizia vi faccio aggiungere alla schiera e così in meno di due anni avrete sbrigato la bisogna. Troverete sani e ingrassati Floriano e la Tesoruccia; e quanto all'albero genealogico, v'assicuro io che più l'innesto sarà ponderato e maturo e più otterrete vigoroso il germoglio!

- Oh benedetto voi! gridò il signore di Nicastro, gettandosi a corpo morto sulle braccia del giudice filosofo. - Vado in due salti per lettere alla posta, passo per l'albergo e torno col baule!

- Ci sono lettere per sua eccellenza il signor Camillo Bernardo Lucio Clodoveo Barone di Nicastro? domandò egli al distributore.

- Quante persone sono? chiese questi a sua volta.

- Una, una sola per bacco! rispose il Barone battendosi superbamente la palma sul nobil petto.

Gli furono allora consegnate due lettere; la soprascritta delle quali non offriva nemmen per sogno un esempio di bello scrivere. Tuttavia il Barone diede la preferenza a quella la cui calligrafia appariva più storpiata e ne ruppe affannosamente il suggello.

Era la Tesoruccia!... Era proprio lei che scriveva!... - Solo nel rilevare quel bel nome adorato due lagrimette gli vennero giù per le guancie al Barone; e poi egli incastrò nell'occhio la lente, e coll'altr'occhio che rimase aperto lesse a pezzi e a bocconi quanto segue:

 

Adoratissimo signor Barone!

 

Ella mi scrive da Tunisi ch'io le mandi notizie di me e della famiglia a Nuova York. - È segno ch'ella si ricorda di noi, e ciò va egregiamente. Ma il signor Floriano afferma d'aver ricevuto del pari lettere di vostra eccellenza che gli ingiungono di recarsi a Nicastro; e questo va assai male ed è segno ch'ella si dimentica della nostra miseria; poichè se il signor Floriano ci tiene in filo così strettamente intanto che dimora a Genova, Dio sa quanto peggio andrebbe la bisogna una volta ch'egli fosse di del mare. Perciò quando il signor Floriano ha detto qualche cosa, io ho risposto, che non poteva essere, e mi mostrasse la lettera; ed egli non voleva mostrarmela, ed io replicai allora, che nella mia, vostra eccellenza gli mandava un contrordine; ma egli stentava a credere e pretendeva che gli dessi a leggere il foglio. Io come la può ben credere stavo sulla negativa per non iscoprire la mia piccola astuzia; ed essendosi intromessi mio padre e mia madre, successe un piccolo diverbio, nel quale il signor Floriano buscò per isbaglio un piccolo pugno in un occhio che lo obbligherà a rimaner a Genova per due buoni mesi. E già piuttostochè vederci privi della sua presenza, che ci è anche caparra del ritorno di vostra grandezza, abbiamo deliberato di farlo, oltrechè guercio del tutto, zoppo e sbilenco se occorre. Del resto il medico gli ha ordinato i bagni di malva, ma la mamma glieli fa col prezzemolo, acciocchè non guarisca troppo presto. La povera donna è disperata, perchè al teatro diurno si recita solo nei giorni sereni, e quest'anno per l'appunto minaccia ogni giorno il temporale: mio papà ha smesso di fare il lampadaio e beve invece molte mezzine di più, e ambedue sono molto rossi e litigano fra loro da mattina a sera ch'è un divertimento ad udirli. In quanto po' a me, siccome il signor Floriano ci tiranneggia a tutto potere, così cerco di difendermi lavorando camicie; ed anco ci viene molta gente per casa, e serve a tenermi svagata, chè del resto il pensiero della sua lontananza è un martello continuo. Peraltro, se lo starne via pel mondo le piacere, s'accomodi pure, e basterà che scriva al signor Floriano di non piantarci, e di allentare la corda del borsellino, giacchè a dirle la verità, i suoi soccorsi bastano appena a pagare le beverie del signor padre e gli abbonamenti della signora madre, e al resto devo provveder io colle camicie, fatica che potrebbe guastarmi la salute...

- Oh barbaro Floriano! sclamò il signor Barone aprendo rabbiosamente la seconda lettera - affliggere quella povera bambina!... Oh gliela darò io!... Voglio che non possa più fiatare senza chiederne permesso a lei... Vediamo ora cos'ha cuore di scrivermi.

 

Eccellenza

 

Ella mi ha confidato una pecora, ma temo di dover guardare una... Dio me lo perdoni! mi dimenticava di scrivere al signor Barone. Io dunque volevo recarmi a Nicastro per obbedire agli ordini di vostra eccellenza; ma il papà, la mamma e la figliuola mi sono saltati addosso coi pugni; e siccome io voleva leggere una lettera che la signora Tesoruccia diceva di aver ricevuto da vostra eccellenza, nella quale a sua detta mi dava un contrordine circa la mia andata in Sardegna, tutti mi si sono volti contro come cani arrabbiati e n'ebbi un occhio pesto in maniera, che da quindici giorni faccio i bagni di malva, e non ho ancora potuto aprirlo, e il medico mi raccomanda di non movermi, e così vostra eccellenza farà tempo a dichiararmi la sua vera e precisa volontà. E del resto, signor Barone, mi spiacerebbe veder lei porre maggior fede in una sguaiatella (Ah sfacciato d'un Floriano! mormorò Don Camillo) che in un vecchio e fedel servitore: poichè, senza far giudizii temerari, questa famiglia è così piena di peccati che assicuro io, se non fosse la carità ad insegnarmi che colle colpe dee crescere il compatimento, me la sarei battuta da un pezzo. La prego dunque, signor Barone, a scrivermi di abbandonare questi furfanti e intanto col mezzo d'un notaio di Cagliari mi son fatto venire da Nicastro una somma, la quale la spedisco in una credenziale sulla Ditta W. Y. Z. di Nuova York a seconda delle sue istruzioni. E le rimesse saranno lette ad ogni anno coll'egual mezzo come raccomanda. - E con tutto l'ossequio mi dichiaro...

 

- Oh te la dichiarerò io! brontolò il Barone intascando la lettera. - Quella povera Tesoruccia! seguitava col pensiero: Dire che prima di rivederla avrò a far il giro del globo!... Almeno che potesse trovarle in qualche buco i sessantaquattro quarti? Possibile! li hanno stanziati per Napoleone che distrusse tanti milioni di uomini, e che non possa raccozzarli per la Tesoruccia che creerebbe dal nulla un nuovo Barone di Nicastro... Canistro, Canistro! andava ripetendo fra - è un cognome aristocratico. Scommetto che nelle Indie ci è qualche Bramino che lo porta!...

Pertanto, entrò in un caffè a scrivere una dolcissima epistola a madamigella Tesoruccia di Canistro; e per non dare nello scoglio di vergarne due, vi intercalava di quando in quando qualche severa strappata a Floriano. Così accomodate le cose, insaccò il baule, e abbracciando e ringraziando l'amico giudice salì sul piroscafo. Prima peraltro di congedare la barca volle fiutare per ogni canto se non vi fossero per caso fichi secchi o datteri di Tunisi, o schioppi, o barili di polvere; e solo rassicurato su questo punto, s'accastò nella cabina, sperando di trovare in qualcheduno de' suoi compagni, coagulate per mezzo della scienza, la felicità e la virtù.

 

 

 




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