XX.
- In China per avventura
vi sono costantemente due governi; quello dell'Imperatore Celeste, e quello dei
ribelli Manciù. Or dunque due anni dopo capitò a portarmi la zuppa giornaliera
di igname un carceriere che favoriva i ribelli; il quale udendo esser io
un europeo, mi domandò, se sapessi dirigere i fulmini a mio grado e puntar i
cannoni. Io risposi lesto lesto, che avevo su per le dita quelle due arti
difficilissime; e a dir il vero ne son digiuno affatto; ma già avevo imparato
al Giappone, che il vantarsi cogli ignoranti non arreca mai pregiudizio. Il
carceriere non dubitò punto, ch'io non dovessi mettere il capo dei Manciù sul
trono di Pekino; e cavatomi dalla canga, mi fece trasportare in
palanchino ad una sua campagna romita ove mi raggiunse la sera stessa. Per
altro io ero così aggranchito, e ciorbo, e cadente per la continua giacitura in
un sotterraneo, che in que' primi giorni, anzichè governare i fulmini e i
cannoni, non sapevo movere le gambe o vedermi la punta del naso. Immaginatevi
quale splendida comparsa avrei fatto all'armata dei Manciù!... Per questo io mi
finsi cieco e cadente più a lungo che non durassi ad esserlo in fatti, e
intanto cercavo il mezzo di cavarmi dalla tutela importuna di quel mio
salvatore; e pratico com'ero della lingua, non disperavo con un po' di pazienza
d'uscirne a bene. L'occasione mi si offrì propizia, quando il carceriere
emerito convenne recarsi verso i confini per certo contrabbando di polveri; io
indossai addirittura uno de' suoi abiti, camminai due buone giornate fino al
gran fiume Kiang; là, dandomi a credere un potente mandarino chiamato a corte,
m'imbarcai sopra una giunca che scendeva a seconda; e dopo quindici giorni di
viaggio, credendomi abbastanza lontano dal mio carcere e dal carceriere,
ripresi terra pagando il navicellaio con un'ampia promessa di protezione. Dopo
mezz'ora entrai nella città di Hang-chieu, che deve capire quattro o cinque
volte almeno Nuova York, perchè non ostante che la sia popolata per una buona
metà da una setta che schifa i carnami, pure vi si consumano ad ogni mese
novecentomila libbre di manzo (senza contare le capre, i montoni, le vacche,
ecc.). Io per altro mi allogai nel secondo giorno presso una famiglia che usava
la carne; poichè avvezzo alle pollanche di Madonna Nicefora, non ho mai potuto
piegarmi alle regole igieniche del sommo maestro Pitagora; e d'altronde l'igname
delle prigioni chinesi m'avea stomacato di legumi. Lì presi, come il solito, a
studiare il paese; e non l'andò a lungo senza che io avessi a convincermi che
da ambedue le parti della gran muraglia abitano presso a poco le medesime
bestie. Que' Chinesi, quando non si tratti di far piacere agli altri, sono
d'ottima pasta, e così moderati nelle passioni, e docili tanto, che con un paio
di forche al giorno inalberate sulla piaggia di ogni città, il popolo vive
allegro, spensierato, lasciandosi menar pel naso da chicchessia; è il sistema
stesso degli imperatori romani; ma i circenses costavano più cari assai, e la
buona economia ci ha guadagnato. In generale quelli che comandano possono fare,
disfare e pelare senza che nessuno strilli. Sua Maestà Celeste, per esempio, a
quanto lessi in alcuni viaggi, può cambiare con un decreto l'ortografia, la
calligrafia e perfino la grammatica e il vocabolario; egli usa conferir titoli
e pensioni ai fedeli defunti (ammirate la prudente generosità d'un governo
sparagnino!) O ha sei ministri perpetui, intitolati il Laipù, l'Hupù, il Lipù,
il Pimpù, l'Impù e il Compù; e tiene a suoi stipendi 13.467 Mandarini,
alloggiati (non so in quali proporzioni) in 20.900 palazzi pubblici e divisi in
nove ordini (credo in numero disuguale non essendo quella cifra divisibile
esattamente per nove), di più lo aiutano nelle sue sovrane digestioni due
grandi consigli; l'uno dei Colaos o Ministri, e l'altro dei principi del
sangue; il che prova, che se la
China è mal governata ne ha la sua colpa anche il numero due.
- Cotali cose mi erano sembrate così straordinarie a leggersi, che non ci avevo
posto fede; ma m'accadde capacitarmene per veduta e ve le narro, o amico mio,
per provarvi, quanto gli uomini sieno strigliati bene anche in China.
Or dunque, per tornarvi
a parlare di me, la famiglia che mi assoldò precisamente come maestro di
disegno nella grande città di Hang-chieu, si componeva d'un nobile Chinese,
alieno dai pubblici negozii che adorava il dio Sole e il profeta Fò (notate che
nella China si può adorare tutto quello che si vuole, e si deve adorare molte
cose che non si vorrebbero) e della figliuola di lui, dalla mia vergine alunna,
dalla divina Chimpoa!
- Ehu Corydon,
Corydon quae te dementia coepit? gridò il signor giudice all'udire la
scappata erotica del barone di Nicastro. - E Genova? e la Tesoruccia?
- Peccavi, Domine!
rispose con qualche lagrima di vergogna il mutilato campione della virtù. - Sì,
la maga chinese mi aveva stregato!... Aveva stregato me, Camillo Bernardo Lucio
Clodoveo Barone di Nicastro dei Giudici di Sardegna! E mentre suo padre,
credendola sicura dietro una doppia graticola d'inferriate, si abbandonava alle
molli aspirazioni dell'oppio... io... invece d'insegnarle la bell'arte del
disegno... Oh scusate, amico!... l'umana natura è fragile. Fui vinto, lo
confesso, come Ercole da Alcmena, come Sansone da Dalila; e pur troppo anche la
divina Chimpoa s'indusse a tradire il suo amante e a consegnarlo nelle mani de'
Filistei per un ventaglio di penna di cigno!...
«Dopo due mesi dell'amore
più tenero, io mi accorgevo che la fanciulla infedele non era più quella di
prima; invano da qualche giorno io le chiedevo un segreto abboccamento, quando
una volta mi fu dato sorprenderla tutta romita nel chiosco del giardino. La sua
testa foggiata a melone era declinata melanconicamente, i piedini da bambola
stesi con bel garbo sul tappeto, gli occhi dipinti di rosso e di azzurro
confitti senza pensiero nel suolo; i denti, del nero più lucido che si possa
dare, trasparivano da due labbra, color coda di rondine, socchiuse a un mesto
sorriso, e le mani dalle lunghissime unghie scherzavano col fatale ventaglio.
«- Chi vi ha dato questo
ventaglio? sclamai lanciandomi nel chiosco. - Per pietà, divina Chimpoa,
parlate, rispondetemi!
«Ella rise al vedermi,
indi tossì, e si volse sventolandosi, perchè faceva gran caldo; ma il suo
silenzio e quel contegno beffardo mi laceravano il cuore e fra me giurai di
sapere la verità. Fingo di dovermi allontanare per un paio di giorni, e verso
notte mi apposto dietro un usciolo del giardino che s'apriva sulla riva destra
del fiume e che m'aveva odore di peccato. Infatti poco stetti, che vidi entrare
un uomo colle pantofole dorate, quali ne portano solo i grandi dell'Impero.
«Eccolo! dissi fra me, e
gli fui dietro per la tacita sabbia del giardino.
«Quell'uomo entrò nel
chiosco; colse uno, due, mille baci sulle labbra della divina Chimpoa; e già
nello stesso luogo ove io ero stato felice una settimana prima... - Quello
spettacolo mi travolge il senno; con un urto potente sbaraglio la porta; mi
getto sulla coppia sciagurata; e pei capelli del cocuzzolo sollevo
rabbiosamente dai conscii guanciali rabbonito rivale... I suoi occhi torvi e
sanguigni si affisano ne' miei!... - Oh chi può significarvi la maraviglia, lo
spavento, il raccapriccio che a quell'aspetto m'invasero!... In quel Chinese,
in quel rivale, in quel mandarino riconosco il capitano spagnuolo, il
mercatante di schiavi, il provveditore di Walker!... Egli mi riconosce a sua
volta; Chimpoa sviene per la paura, e sopra il suo corpo, come intorno a quello
di Patroclo, s'appicca una zuffa terribile. Io non avevo che un braccio, un
braccio solo contro due, e pur combattevo da leone; quando il padre della
giovine destatosi al rumore sopraggiunge per rovinarmi!... Chimpoa riavendosi
languidamente mi addita allo sdegno paterno... Erano due contro uno, amico
mio!... non v'era più scampo!
- Tuttavia non rimaneste
ucciso! osservò l'Americano.
- Non rimasi ucciso, ripigliò
il Barone, perchè dalla lanterna rovesciata nella mischia il fuoco s'apprese
alle gonnelle di Chimpoa, e siccome costei correva forsennatamente per la
stanza, l'incendio si propagò per le cortine a tutto il fabbricato, e i due
nemici dovettero pensare ai casi loro.
- E ciò nonostante non
foste arrestato! disse ancora l'Americano.
- N'ebbi bruciata la
pelle del cranio, e fracassati i denti pel salto che feci da una finestra;
continuò Don Camillo; ma ne uscii salva la vita. - E tuttavia il peggior pericolo
si fu, quando amore, amore sublime e disperato mi persuase di tornar in mezzo
alle fiamme a salvar la mia Dea!... Appunto nell'istante che, sputando il resto
dei denti, ponevo il piede sulla soglia, si spaccarono le pareti, il chiosco
intero crollò...
- E non ne foste
schiacciato? chiese vieppiù sorpreso l'Americano.
- Ahimè! soggiunse il
Barone. - Ben lo spagnolo rinnegato, e la divina Chimpoa e il suo signor padre
rimasero seppelliti vivi; ma io caddi solamente svenuto di terrore; e fu
ventura, perchè intanto quel missionario anglicano ch'era venuto meco dal
Giappone ebbe agio di passare e di raccogliermi; il che non sarebbe successo,
se io restavo morto, ovverosia vivo in maniera da potermela dare a gambe. - Lì
ci narrammo, come potete credere, le nostre varie vicende: egli aveva languito
due soli giorni nella canga; donde lo avevano tratto per regalargli il
capestro; ma appunto l'era in piazza dispostissimo alla funzione, quando
un'eclissi sopraggiunse a spaventar per modo i Chinesi ch'egli rimase solo in
piazza, e potè svignarsela da un canto col nodo corsoio al collo. Del resto mi
spiegò anche la faccenda dello spagnuolo mandarino; il quale, preso nel Tonkino
mentre contrattava un carico d'oppio, aveva rinnegato Cristo; e passato poi in
China, per la singolar birbonaggine di cui andava fornito era giunto a diventar
mandarino; e non si trovava per cento miglia alla larga persecutor de'
Cristiani più accanito di lui. Per cotali meriti sua Maestà Celeste avevalo
fregiato di non so quanti titoli e fattolo da ultimo principe di
Hong-chi-congi.
«- Principe di
Hong-chi-congi quel capo da forca! io sclamai.
- Sì certo; rispose il
missionario - e vi esorto a parlar piano perch'egli godeva i più gran favori in
corte. Anzi, siccome nella sua ultima disgrazia ci vedranno del buio, vi
consiglio a cavarvela... Io devo partir per l'Europa, e se volete essermi
compagno, n'andremo in Persia colla carovana di Tartaria.
«- Con tanto di cuore!
risposi io - pur troppo capisco di non aver scelto il paese adatto per trovare
quello ch'io cercavo, e d'altronde, oh quanto mi punge il desiderio di riveder
Genova!... Perfida e infelice Chimpoa!... Come male mi consigliai di scordare
pei tuoi vezzi chinesi le grazie verginali della mia Tesoruccia!
«- Cosa brontolate? mi
domandò il missionario.
«- Nulla; soggiunsi; ho
due cose pel capo che mi danno fastidio; ma il viaggio e la speranza di
toccarne la fine mi svagheranno alcun poco.
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