XXII.
«Duri erano stati i mesi
che stetti parrucchiere presso il Pontefice del Giappone, più duri di gran
lunga i due anni passati miseramente nella canga chinese; ma quegli altri due
ch'ebbi a vivere in Australia, nella miseria loro e nella quantità dei
patimenti vincono ogni paragone. Tantochè divisai da ultimo di fuggire ad ogni
costo, o terminare arditamente una vita che troppo mi pesava a doverla
trascinare, come la catena del galeotto. - In quella quinta parte del mondo,
veduta dagli Olandesi ed afferrata dagli Inglesi, vi sono due schiatte di
abitatori europei: i condannati, e quelli che meriterebbero di esserlo. Io mi
strinsi coi primi come ai più malcontenti del loro stato, e tanto bene
adoperammo, che si potè alla fine metter in mare una zattera sulla quale ci
affidammo in nove al buon vento ed a Dio.
«Dopo dieci giorni,
capite: dopo dieci giorni di paura e di agonia approdammo alla Nuova Caledonia;
ma sette di noi erano rimasti sepolti qua e là in diversi paraggi dell'Oceano
Pacifico, e in due soli toccammo terra, il che non era pronostico di assai
lieta ventura. Su quella lontana isola già da qualche tempo si era stabilita
una piccola colonia francese; ma io non avrei mai creduto che il destino mi ci
avrebbe fatto soffermare alquanti giorni, appunto perchè mi fosse poi mangiata
una gamba!...
- Come?... vi fu
mangiata una gamba? sclamò l'Americano.
- Precisamente, rispose
il Barone additando il moncone di coscia che gli rimaneva - questa gamba che mi
manca fu arrostita probabilmente allo spiedo e mangiata dai selvaggi della
Nuova Caledonia.
- Poter di Bacco! gridò
con cera di incredulo, l'Americano.
- Non ve ne stupite;
ripigliò Don Camillo; chè la cosa è assai naturale, nè mi sarà difficile
sincerarvene in poche parole. Alla Nuova Caledonia la gente del paese, e quelli
della colonia vivono insieme nel miglior accordo; quando i selvaggi possono
accalappiare un Francese, usano farne un banchetto solenne: e se i Francesi
agguantano un selvaggio, sopra il colle più alto delle vicinanze si procacciano
lo spettacolo d'una allegra impiccatura; questo è l'esempio del più sfacciato
antagonismo che mi fu dato osservare fin ora nelle umane vicende. - Or dunque,
io passeggiavo un giorno col mio compagno di viaggio ch'era un socialista
parigino, mandato nell'Australia per qualche chiasso fatto al Canadà; e costui
mi veniva manifestando certi suoi disegni sul futuro governo del paese, quando
una masnada di selvaggi ne piombò addosso menando giù con certe loro mazze
percosse da confessione, e il socialista rimase sfracellato al primo colpo, ed
io che avevo dato le spalle ad un'onorevole fuga n'ebbi fracassata, e spezzata
come uno stecco la gamba. Per fortuna alle mie strida accorsero armata mano
molti de' coloni; i quali mi portarono allo spedale, e seppellirono il morto;
ma in quanto alla mia gamba non ci fu verso di poterla trovare, e tutto cospira
a far credere, che i selvaggi se la siano portata seco, per averci guadagnato
almeno la cena.
- Chi poteva mai
sognarsi una disgrazia simile! sclamò l'Americano che non sapea darsi pace di
quella gamba mangiata. - E poi, come vi accadde di venire dalla Nuova Caledonia
a Nuova York benchè vi avessero mangiata la gamba?
- Capperi! soggiunse Don
Camillo - volete che il Barone di Nicastro muoia senza un erede?... Era
impossibile! Fui guarito in tre mesi; il quarto lo impiegai ad ingrassare; il
quinto a far il tragitto fino a San Francisco con una compagnia di minatori; il
sesto a giungere a Nuova York per razzolarvi le mie credenziali, e trovarci
lettere di Genova.
- E ne avete trovate?
domandò l'Americano.
- Le credenziali sì,
come vi dicevo, rispose il Barone; ma non due sole righe di lettera.
- E siete risanato anche
dal ticchio di trovare a questo mondo il perfetto trino Pitagorico? ridomandò
il filosofo mercante.
- Conobbi di avere
sbagliato strada; soggiunse il Barone. - Invece di cercarlo nel cuore della
civiltà, fui a corrergli dietro fra i selvaggi ed i barbari; ma tornato ch'io
sia in Europa, non mi ridurrò in Sardegna prima di averlo trovato.
- Bravissimo! disse
l'altro con un lieve accento di canzonatura - e quanto contate fermarvi con
noi?
- Ancora due ore;
rispose il Barone guardando l'orologio; dopo le quali salirò a bordo del vapore
che salpa per Southampton.
- Volete farmi un
servigio? chiese sdolcinatamente l'Americano.
- Parlate; disse Don
Camillo.
- L'è un buonissimo
negozio; continuò l'altro. - Non avete voi in Sardegna una specie di guano?
- Sì, certo; rispose il
Barone - ma l'è di gran lunga meno prezioso di quello genuino del Chili.
- Benone! sclamò il
giudice mercante - io mando a Cagliari un carico di zucchero e di cotoni; là
voi fate ricaricar la nave di guano sardo; lo rivendete a Genova od a Marsiglia
per fresco genuino d'America, e il guadagno sul primo costo ce lo dividiamo da
buoni fratelli!
- O filosofo da guano!
sclamò dal canto suo il Barone di Nicastro facendo un atto come di impugnare la
spada - a me proponi una truffa?... Eccoti la mia risposta!
Egli si raschiò romorosamente,
sputò nel mezzo della stanza; indi, brandita la stampella, sdegnoso e
zoppicante corse ad imbarcarsi.
|