XXIII.
E quel suo tragitto non
fu più fortunato degli altri. - Dopo tre giorni di navigazione andò a pezzi una
ruota del vapore; nella settimana susseguente si guadagnò pochissima strada, e
da ultimo una furibonda fortuna di scirocco li spinse tanto verso tramontana,
che nel ridursi di nuovo sulla direzione d'Inghilterra convenne spender più
tempo che non ne avesse preveduto per tutta la passata il fornitor del carbone.
Perciò fu d'uopo procedere a vela; ma lo scirocco riprese allora a soffiar con
veemenza; e per caso stranissimo, dopo l'invenzione della bussola, avvenuto per
primo al Barone di Nicastro, il naviglio che doveva approdare alla fredda
Albione fu gettato invece sulle coste dell'ultima Tule.
Là pertanto fu
racconciata la macchina, e in grazia del carbone irlandese salutarono alla fine
Southampton, il secondo mese dopo aver salutato Nuova York.
- Finalmente! disse il
signor Barone, poggiando dopo sett'anni l'unica sua gamba sulla terra d'Europa.
- Finalmente!... E sia maledetto il giorno, che per farla tenere a Bruto mi
sognai di allontanarmi da questo primo mondo della civiltà!... Ma fu vero per mio
malanno, che le cose troppo vicine sfuggono più facilmente!... - Ora la
felicità alla peggio l'ho nel taccuino! soggiungeva, picchiandosi colla mano la
tasca, ove teneva gelosamente il diploma araldico indiano della bella Genovese:
vengano pur Bruto o Plotino o la Ninfa Egeria a provarmi il contrario, se ne hanno
il solletico!...
Poi, datasi una lavata
di capo, n'andò via pel paese a prender nota della virtù e della felicità
britannica, e dell'accordo dialettico, come lo frantendono i nobili Mylords del
Regno Unito. A Soutampton era di quei giorni un subbuglio per le nuove
elezioni; e com'è stile un Whig ed un Tory si contendevano il campo. Il primo,
paffuto e piacevole gentleman, correva per le bettole più radicali
a promettere il buon mercato del pane e il secolo della cuccagna: il secondo,
grave e sbiadito baronetto in quanti gialli, distribuiva lunghe borse di ghinee
ai sensali di voti; la marmaglia degli elettori scorrazzava vinolenta e
tumultuosa al suono dei pifferi e dei tamburi, mentre i gridatori dei giornali
pareggiavano a Tox, o a Chatham i due contendenti. - Che monta accompagnarsi
colla Giustizia, se le si guasta poi il viso con tale belletta? - Don Camillo
vedeva e trangugiava de' mali bocconi; sicchè gli fu mestieri cassare anche la Gran Bretagna dalla
carta topografica del suo Eliso Pitagorico. E tuttavia non s'era accorto nè
della magra Irlanda, nè delle catacombe di Liverpool, nè le case di malaffare e
gli ammazzatoi della buona città di Londra!
- Ognidove il duello
delle volontà, delle invidie, e delle ambizioni! borbottava egli nella camera
dell'albergo, mentre un calzolaio gli prendeva la misura d'una scarpa.
- Chè?... vuol dire
delle elezioni? entrò a dire il calzolaio fermandosi a guardarlo colla misura
tra mano così accoccolato com'era. - Povero a lei se spreca lo stupore o la
pietà per cotali cianfrusaglie!... Sa ella quali sono i veri combattimenti del
vero duello?... I Ricchi ed i Poveri!... E là è il marcio, finchè la vera
economia non s'interpone a purgarcene.
- Ah sì l'economia! ne
udii parlare! soggiunse Don Camillo. - Ci credete voi?
- Se ci credo? rispose
il calzolaio - ci credo tanto che prima di tre anni ho già fermo di chiuder
bottega e acconciarmi a viver d'entrata.
- Come mai vi fate
ragione di questa baldoria? domandò stupito il Barone.
- Goddam! sclamò il
calzolaio - io sono appunto nei trentacinque anni...
- «Nel mezzo del cammin
di nostra vita» interpose fra parentesi Don Camillo.
- Bravo, mylord!
proseguì l'artiere - la prima metà ho tirato lo spago, e la seconda metà lo
tireranno gli altri. Così va intesa la vera economia!
- E Cobden? chiese il
Barone.
- Smetterà le ciarle per
batter le suole.
- E Palmerston?
- Lo faremo conciapelli.
- E Russel?
- Parrucchiere.
- A meraviglia,
perdiana! sclamò Don Camillo; voi, già ci s'intende, diventerete ministro degli
esteri?
- Domando scusa; rispose
drizzandosi il calzolaio; preferisco il ministero dell'interno per proibire
assolutamente le scarpe di gomma che ci guastano il mestiere.
- Ma cosa diranno i
fabbricatori di caucciù?
- Crepino, mylord!...
Sono i nostri assassini!... Li farò tuffar nel Canale dal primo all'ultimo!...
- Benissimo! pensava il
Barone. Senza contare le risse, le gelosie, i dissidii fra Ebrei ed Anglicani, fra
Cattolici e Protestanti, fra Whigs e Tories, eccomi incappato nel circolo
vizioso doppio contraddittorio e concentrico, del lusso che ingenera povertà, e
della povertà che ha bisogno del lusso; nonchè della sapienza che solleva
l'ignoranza, e dell'ignoranza che deprime la sapienza. - Signor calzolaio,
continuò a voce alta; recatemi domattina il mio stivale, che partirò col
piroscafo di Calais.
- Signore, sarà servito;
ma il piroscafo di domani va ad Ostenda: soggiunse il calzolaio.
- A me fa lo stesso; riprese
con burbanza il Barone; andrò ad Ostenda.
Infatti la sera del
giorno appresso Don Camillo di Nicastro ricreava della sua esotica figura i
passeggianti di Ostenda; ma la scarpa del calzolaio economista l'aveva buttata
rabbiosamente in mare, perchè i calli non ne hanno ancor voluto sapere di
economia.
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