LA PAZZA DEL SEGRINO
I.
Io non intendo ora
moverne lagno ai lieti visitatori della Brianza, ma certo pochissimi fra essi
hanno posto mente con amore ad uno stretto bacino d'acqua contiguo per mezzo
miglio al destro lato della strada che sale in Valsassina. A buon dritto non si
cerca per quei colli beati, in quelle pianurette amene e popolose, entro le
ville sonanti di brindisi e di balli la mestizia dei sepolcreti; e il lago del
Segrino, qui sopra accennato, move appunto nell'anima un tal senso di funebre
melanconia. Serrato quasi d'ogni parte da monti acuti e cenerognoli, de' quali
l'altezza non è nemmen tale da toccar il bello del sublime, cinto all'intorno
da nani e polverosi canneti, sembra egli colà disposto a raccogliere non già le
pioggie fecondatrici, ma le lagrime eterne della natura. Infatti costei gli si
appresenta tutto all'intorno vestita miseramente a lutto, e mostrante a nudo
l'orrenda ossatura; e tale si specchia nelle acque immobili e fuligginose,
quasi a raddoppiare insieme e la tetraggine degli aspetti e il raccapriccio dei
passeggieri. Raro è che l'oscurità e il silenzio della valle non facciano muta
perfin l'allegria della comitiva che imprende per essa un pellegrinaggio
autunnale; e ognuno affretta il passo spiando furtivamente in viso ai compagni
la propria inquietudine; finchè giunta a Canzo, un miglio oltre il lago, torna
la brigatella ai briosi motti, e alle grasse risate; ma per buona pezza ancora
l'allegria sa di torchiato. Così pel ritorno chi propone una strada diversa è
sempre buon consigliero; e gli argomenti alla mutazione del piano son sempre
stimati così rilevanti, che il povero Segrino ben di rado può vantarsi di
vedere due volte il viso dello stesso villeggiante. - Nè miglior fortuna egli
incontrò, a quanto pare, coi paesani; giacchè non un villaggio sorse ad animar
le sue rive, non un casino è venuto a raccogliere il bacio modesto de' suoi
flutti; e i pochi remiganti, che per esso varcano, prima d'approdare, sì d'un
salto abbandonan la barca, e ricoverano frettolosi alle proprie capanne o sulla
costa del monte o dietro la prima falda del colle, come se dannati da qualche
destino avverso a navigare quell'acque, tardasse loro il momento di togliersi
dalla sponda inospitale. - La strada, che corre dal Pian d'Erba a Canzo,
seconda dopo Longone un colle incespugliato di castani e di carpini; indi cala
verso il laghetto così a dirotto come se là avesse capo; ma giuntane a fior
d'acqua sguizza invece a sinistra con rapida risvolta, mentre a dritta il colle
segue oltre, tuffando nel lago le radici delle sue folte prunaie. E in tal modo
va la riva curveggiando e abbassandosi; sicchè se non la volgesse le spalle al
sole perdendo di luce quanto guadagna in vaghezza, avrebbe da quel lato
bastevole varietà. - Ma non appena la costiera s'è umiliata un breve tratto
fino a lasciar intravedere un ripiano che s'allarga per entro poco meno di due
miglia, eccola volgere repente a settentrione peggio che mai brulla e dirupata;
e lì ad oriente incombenti sul Segrino piramideggiano erti e nebbiosi i così
detti Corni di Canzo, oltr'ai quali è il braccio del Lario che chiamano di
Lecco.
Appunto dove quel ripiano
interno s'apprende per di dietro alla montagna, sta rannicchiato un paesuccio,
che sembra quasi segnare i limiti antichi e più vasti del piccolo lago, come
quelle canne che nell'inverno additano a mezzo argine l'altezza delle piene
novembrine. Da esso si diparte una strada che va poi fronteggiando l'altra che
sulla riva opposta move da Longone; ma sbucati sul Segrino, invano di quel
romito villaggio si cercherebbero altri indizii, che la punta del campanile, ed
una iscrizione che ne declina rozzamente il nome sur un muricciuolo. Del resto
tutto è squallore, silenzio, solitudine. Solo sulla falda prima del monte, dove
s'allarga uno sterrato, s'addossa alla roccia un tugurio da pastori; e benchè
il sentiero che vi mena sembri piuttosto un inerpicatoio, pure chi vi sale o
ritto o carpone si loda per solito della fatica, e se ne parte alquanto
rappacificato col Segrino. - Di là infatti lo sguardo fa capolino in Brianza; e
così l'animo non più ristretto alla contemplazione di quel mortorio, ma
sorvolante, sarei per dire, ad una greggia tumultuosa di collinette e di poggi
fioriti, si inchina a dolcezza, sente compassione di quel povero laghetto
diviso eternamente dai suoi felici fratelli, e diseredato delle loro delizie;
nè può serbargli rancore d'una sventura che intera e perpetua egli serba solo
per sè. - Chi sedesse davanti quel tugurio sull'ora del tramonto, quando il
sole parte come a forza dal nostro divino paese, e ci lascia per saluto
l'infocata zona del crepuscolo, sentirebbe nel cuore quello ch'io vanamente
tenterei di muovere colle parole. - Come ritrarre nel racconto quella magica
natura, che attrae tanto l'animo in sè, da farlo quasi partecipe della sua vita
misteriosa? Come produrre col discorso affetti, fantasie che si agitano in un
fondo quasi inesplorato dell'esser nostro? Come sol definire quel senso di
rapimento e d'adorazione, che annulla e moltiplica il tempo al pari dell'amore,
ed è forse ultimo vestigio d'un amore più etereo, massimo fra i mondani, pel
quale l'umana natura nella sua primitiva innocenza comunicava con Dio?...
|