V.
La famiglia dell'amorosa
di Giuliano era tale, che chi fa studio di caratteri ci avrebbe trovato una
miniera larga ogni giorno d'un qualche tesoretto. Nulla di più comune della
vita patriarcale di que' due vecchi, marito e moglie, che da trent'anni la
tiravano innanzi fra loro in una casetta di campagna, amministrando in pro
dell'unica figliuola il ricco patrimonio, e di libero arbitrio imponendo a sè
stessi una frugalità eguale a quella che la necessità impone alle più strette
famigliole del contado; nulla di più comune, dissimo, in apparenza,
dacchè a guardarci più a fondo si pescava a piene reti nel maraviglioso. - Il
padre della Camilla era, come volgarmente si dice, una testa di ferro;
in lui tutto era ordine, giustizia, dovere; nè faceva pel quieto vivere
indulgenti distinzioni fra ragione e sentimento, fra abitudini e capriccio, tra
facile e difficile, fra estate ed inverno; ma tutto era uguale dinanzi a lui ed
egli uguale in tutto. E questo vorrei lo intendeste letteralmente; giacchè, per
esempio, fosse agosto o gennaio, il signor Ambrogio dormiva sempre colle sole
lenzuola, e appena, quando si scioglievano le nevi, e l'umidore penetrava le
ossa, costumava stendere dalle ginocchia in giù lo sciugamani.
Per questo nei primi
anni di matrimonio fra lui e la signora Peppina, era stato un continuo
taroccare, e a stento dopo quasi due lustri eran venuti a questo temperamento,
che restasse in piena disposizione della moglie quella parte di talamo nuziale
che le spettava di diritto. Però ai diverbi sulle coltri e sui piumacci era
succeduto un eterno rammarichio della signora per certi reumi che la diceva
aver guadagnato da quel decennio durato ogni notte collo stridore dei denti; al
che il signor Ambrogio rispondeva, alla cura del freddo continuata per dieci
anni filati dover lei che il reuma non le fosse generato in una sciatica; e
rampognavala di procacciarsi a tutta forza tali maluzzi coll'incaponirsi in
quella sciocchezza di dormir seppellita come un coniglio. - Insomma ve lo
assicuro io che l'era proprio un uomo singolare; e a questa sua maniera di
pensare, corrispondeva la foggia del vestire, del conversare, del vivere;
sicché dopo vistolo la prima volta si restava nel dubbio se egli era un
filosofo o un pazzo. - La signora Peppina dal canto suo l'aveva battezzato per
filosofo; ma che un tal vocabolo corrispondesse nel suo modo di vedere al
significato comune, o al valore etimologico, ne dubito assai; avvegnachè lo
appiccicasse ella sempre per coda a una dozzina d'epiteti l'uno più burlesco e
schernevole dell'altro; onde dopo aver garrito collo sposo e datogli del
rusticone, del gabbiano, dell'orso, finiva collo scrollare le spalle mugolando,
che già l'era un filosofo e non bisognava dargli retta. - All'opinione della
moglie accostavansi i campagnuoli circostanti, i quali beneficati dal signor
Ambrogio con quella sua maniera ruvida e ordinata, godevano del benefizio senza
credersi tenuti a nessuna gratitudine; e così pure avvisava il prevosto, e con
lui qualche originale del paese; ma tuttavia la gente civile s'accordava
generalmente nel qualificarlo per pazzo; la quale gente civile, siccome chiama
pazzo un uomo qualunque che agendo diversamente da lei si mostri più curante
dell'onore che del danaro, più della propria soddisfazione che di quella degli
altri, così intendeva forse con un tal titolo quello che il prevosto e i
campagnuoli per filosofo, e che noi intenderemo per galantuomo di rigidissima
coscienza.
Che tra lui e la moglie
non fosse una perfetta armonia lo si avrà già potuto rilevare; però le erano
nubi, se volete anche, temporali, ma il fondo restava sereno; e dopo trent'anni
quei' due borbottoni non sussurravano peggio che al primo giorno, e si amavano
poi e si stimavano tre volte tanto. - Era naturale che con una tal indole il
signor Ambrogio riuscisse un padre di famiglia alla romana, una specie di
autocrate fra quattro muri, ma tal suo dominio non si stendeva che sul
materiale dei fatti e delle cose; del resto coscienza e stampa erano libere
affatto. E quel suo governo piuttosto che ad un'autocrazia lo assomiglierei ad
una libertà inglese, per la quale tutti pensano e dicono e credono anche di
poter fare quanto vogliono, e alla fin fine poi son ridotti ad operare come
agli altri aggrada. - Quando Giuliano, per esempio, gli si introdusse per la
prima volta in casa, e dopo un mese egli scoperse una specie di reticola
amorosa che s'andava saldando fra quel giovine e la Camilla, non ebbe la cosa
a male. A costei sarebbe toccata una buona dote, Giuliano aveva qualche cosa e
la faccenda secondo lui aveva gambe da camminare. L'indulgenza di cotal suo
giustizio stava in questo, che non cercava quali proporzioni fossero tra la
dote di sua figlia, e il qualche cosa del genere futuro. Guai però se costui
non avesse avuto nulla!... Cadesse il mondo, il signor Ambrogio non avrebbe mai
consentito ad un tal matrimonio. - Perciò se gli amori de' due giovani erano
iti a piene vele finchè il signor Graziadio ebbe a conservar netto d'ipoteche
il suo fondaiuolo di Brianza, vennero essi a dar in secco, non appena la lite
promossa dall'erede del dottor Anselmo, mise in pericolo ogni sostanza del
vecchio speziale. Il signor Ambrogio appena ebbe sentore di questo malanno
cominciò dall'ammonire la figlia che il signor Giuliano non faceva più per
lei;, la Camilla,
tirata pei capelli dalla crudezza paterna, tempestò gridando che così la si
voleva sacrificare ad una sfrontata avarizia; e il vecchio senza alzar la voce
soggiunse, che la strillasse pure a suo grado, ma che già quel giovine non era
un partito conveniente; indi partitosi, non si degnò tampoco di scusarsi in
punto all'avarizia rinfacciatagli, come avrebbe potuto fare con assai buone
ragioni. Infatti che una sì inflessibile determinazione movesse da ben altro
che da soverchio amore al denaro, non istava là a provarlo tutta la vita del
signor Ambrogio? Chi dai coloni riscoteva più tenue l'affitto?... chi meglio
nutriva ed alloggiava i suoi spesati?... chi più abbondanti elemosine
distribuiva?... chi più assennato e prodigo di lui nel soccorrere agli
indigenti? - Infine, poteva farsi taccagno tutto d'un colpo egli che pur ieri
avrebbe concesso volentieri la mano della figlia con centomila lire di dote ad
un farmacista di campagna che, tutto sommato, possedeva due campetti pel
valsente di tre in quattromila scudi? - No, e poi no!... - Il signor Ambrogio
avea mutato parere per ben altre ragioni che per iscrupoli di spilorceria! Per
lui ogni ordine sociale posava sopra l'unico assioma: Tutti al suo posto. - Badate
ora ch'io racconto e non iscuso; nè certamente vi figurerete ch'io sorga a
difendere pei tempi che corrono la costituzione dei Faraoni. - Or dunque, tutti
al suo posto, pensava il signor Ambrogio; e siccome lui non sedeva nè al primo,
nè al secondo, nè al terzo piuolo della scala, così non si poteva appuntarlo di
superbia. - E tre a suo giudizio erano i ranghi delle persone; di quelli che
hanno molto, di quelli che hanno qualche cosa, di quelli finalmente che hanno,
o meno di mille, lire, o nulla, o solamente debiti. Per coloro poi che, essendo
tra gli ultimi, non bastassero a procacciarsi di che vivere coll'opera propria,
stabiliva un'apposita categoria chiamata dei signori, e che noi diremmo dei
giubilati, poichè concedeva loro il diritto di essere pasciuti pel santo amore
di Dio. Nè tal diritto riconoscevano semplicemente in teoria, ma sibbene anche
nella pratica, dispensando ad essi annualmente una certa quota delle proprie
entrate. Solo non volea gli si parlasse d'istituti pii od elemosinieri, chè
usava definirli per uffizi di pubbliche mangerie; e una tale ingiustizia gli va
perdonata, per aver inciampato, egli rozzo agricoltore, dove son già caduti
parecchi savii economisti. - Gettati così come gli esposi i fondamenti del
sistema, l'applicazione nella materia matrimoniale di quel suo principio di
starsene tutti al proprio posto avveniva così che non dovevano, secondo lui,
persone di rango diverso unirsi in matrimonio, stantechè tali unioni
racchiudevano un germe di sicura infelicità. Nè io infilzerò ora tutti gli
argomenti de' quali puntellava la sua teoria, bastandomi lo stabilire, che
colla separazione della Camilla rimasta ricca da Giuliano divenuto povero,
stimava egli operare il maggior bene in pro dei due giovani; comechè, giusta il
suo parere, questo matrimonio cadesse per l'appunto nel novero dei maledetti. -
Qui sorgeranno parecchi empirici a dar ragione così sulle generali al signor
Ambrogio, notando solamente che delle eccezioni ce n'è un migliaio, e che fra
queste primo forse cadeva il caso dei nostri due giovani. - Ma ecco
precisamente il maggior difetto ch'io scerna nel modo di pensare del signor
Ambrogio!... Egli non pativa mai e poi mai un'eccezione - tutto era uguale per
lui, egli uguale in tutto, come dicevamo dapprincipio.
Giuliano era forse il
solo in tutto il circondario, che avesse compreso nella sua integrezza l'animo
di quel vecchio singolare, e in vista del buono ne scusasse il cattivo anche a
proprio discapito. Di più, non era egli di coloro che per contentare le proprie
brame stimano lecito sconvolgere da capo a fondo una famiglia: onde,
rassegnatosi ai voleri di Dio, aveva cercato pel minor danno d'indurre nella
Camilla un'egual rassegnazione; ma la fanciulla male seppe adattarsi così alla
bella prima; e per le sue copiose lagrime e per l'intromissione della madre
erasi ottenuto dal signor Ambrogio che un qualche legame fra la giovinetta e il
suo innamorato potesse continuar tuttavia, sinchè la decisione finale di quella
lite malaugurata fosse sopraggiunta a recidere il nodo gordiano. Così erasi
convenuto di lasciar i due giovani abboccarsi alla finestra. «Ma che nessuno
sappia nulla, ed io meno d'ogni altro» aveva conchiuso il signor Ambrogio; e
così appuntino fu ubbidito; chè all'infuori della Celeste, la quale nelle sue notturne
escursioni spesso era testimonio invisibile dei loro colloqui, tutta la gente
credeva ogni rapporto fra i due giovani troncato, e maravigliavasi altamente,
che tanto si tardasse a scegliere fra i molti pretendenti alla mano della
Camilla. - Più poi si stupivano che il signor Ambrogio non s'affrettasse ad
accettare quel Leonardo, nipote d'una sua sorellastra, ch'era sempre stato il
suo beniamino; ed anco sapevasi che la fanciulla infin dall'infanzia lo vedeva
assai di buon occhio. Venne poi un giorno (e fu ai primi di settembre, qualche
tempo dopo l'ultimo colloquio de' due amanti), che il signor Ambrogio standosi
in sacristia dopo la messa parrocchiale, annunciò ad alcuni compari il prossimo
sposalizio della figlia col cugino Leonardo, e la curiosità degli oziosi ebbe
un nuovo campo da mietere.
- Eh, lo dicevo io che
sarebbe andata a finire così! Gli era fin da quando fu licenziato Giuliano che
si andava maturando questa pera! - La ragazza, credetelo, fu sempre innamorata
del cugino! - Del cugino?... ed io mo' scommetto, che quando Giuliano si sarà
stabilito a Lecco, e ciò sarà ai primi d'ottobre, Leonardo se ne partirà colla
sposa per Milano! - Eh mala lingua! - Aspettate e vedremo!... Giulianetto da
quindici giorni è mogio come un cane scottato, ma la novella di questo
matrimonio finirà col piacergli. Alla fine poi, se amava davvero quella
colombina, deve consolarsi che la sposi quel pastone di Leonardo!...
Cotali erano i discorsi
delle brigate. - La realtà era, che dopo l'ultimo abboccamento con Giuliano, la Camilla, interrogata da
suo padre del come si sarebbe comportata essendo chiesta in isposa da Leonardo,
con universale maraviglia aveva risposto sospirando, che ubbidirebbe ai suoi
genitori. Il signor Ambrogio fuori di sè dallo stupore e dal contento, stimando
bene di ribattere il chiodo finchè l'era caldo, di soppiatto aveva spedito a
Lecco un suo famiglio, dal quale avvertito quel galantuomo di Leonardo era
accorso gongolando il giorno stesso; e tra per un certo suo naturale di
giovialone, tra per la gioia che gli bolliva entro, avea fatto un gran baccano
per la casa dello zio. - E così poi tra lo scherzo ed il bicchiero avea chiesta
in isposa la Camilla,
e n'aveva avuto dal padre della ragazza un bacione che valeva cento sì, dalla
madre una stretta di mano che ne valeva almeno cinquanta, dalla fanciulla una
chinata di capo che non diceva di no. - Costei certamente molto avea sofferto
nel secondare così animosamente l'intendimento di Giuliano, ma tanto bastò al
nuovo promesso per menarne uno scalpore di trionfo per tutto il comune, tanto
avea bastato al signor Ambrogio per annunciare in sacristia il fausto
avvenimento.
- E quando faremo le
nozze? chiese Leonardo all'orecchio del suocero prima di tornarsene a Lecco.
- Ma!... basta che ci
corra di mezzo lo spazio necessario per le pubblicazioni; rispose questi.
- Di qui a due settimane
dunque; soggiunse l'altro montando nel calessino; giacchè la Madonna cade
opportunissima in giorno feriale. - Allora conviene spicciarsi! - conchiuse, e
sferzò potentemente la cavalla.
Così eran rimasti
d'accordo fra loro due; ma su ciò non s'arrese a ragioni la sposa, e volle a
tutti i costi che le nozze fossero differite fin dopo i Santi. - E un altro
grilletto della novizia sgomentò un poco lo sposo; dacchè pretese ella che dopo
la cerimonia si dovesse partire difilati per Milano, e rimaner colà fino a
mezza Quaresima. - «Cospetto, l'è arrogantella e bizzarra!» fece Leonardo fra
sè; ma la Camilla
gli piaceva tanto, che solo affannavasi pel tempo troppo ristretto che gli restava
onde allestire questa nuova casa a Milano. - Pertanto quando capitava, l'aveva
sempre in tasca una buona novella, ed ora l'era il muratore che avea finito il
restauro, ora il tappezziere che avea dato ordine alla bisogna; e tormentavasi
il pover'uomo della poca soddisfazione mostrata dalla Camilla per tante
premure; ma certo non sapeva, che il solo timore di incontrarsi a Lecco in
Giuliano avea destato nella giovine quel ghiribizzo di passar il verno nella
capitale, e che forse in quel termine delle nozze protratto d'un mese stava
nascosta una vaga lusinga, quanto disperata altrettanto tenace, che le
andassero a vuoto.
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