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Ippolito Nievo Il barone di Nicastro IntraText CT - Lettura del testo |
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III.
A Firenze i due sposi si fermarono quindici giorni. - Dormivano all'Hôtel d'York; e il giorno lo passavano a correre in calesse dall'un capo all'altro della città e dei dintorni. Quella vita si quadrava mirabilmente all'indole robusta e impaziente di Gabriele; ma la Leopoldina vi sospirava dietro; talvolta egli ebbe la mortificazione di vederla sbadigliare mentre le commentava le bellezze d'una Madonna di frate Angelico, o d'un ritratto di Tiziano. Essa dal canto suo non poteva ristare dal pestar i piedi, quando il marito dimenticandosi di lei si fermava una mezz'ora nella Piazza di Mercato Vecchio dinanzi al David di Michelangelo. - Via, Gabriele; andiamo! ti ci sei fermato tante volte! - Ma è di Michelangelo, capisci! - Capisco; ma qui tira un vento da pigliar una sciatica. Ed io che vo soggetta alla flussione... La flussione di Leopoldina la vinceva sul David di Michelangelo, e Gabriele la trascinava al Caffè Doney a farle prendere un tè. - Ma la stessa scena si ripeteva dinanzi alle porte del Battistero e sul ponte di Santa Trinita. La Leopoldina cominciò a ridere di Firenze e a dire che la doveva esser un nulla appetto a Roma: la disse molte e molte cose che furono ridette certo con miglior garbo nel Viaggio d'un Ignorante: prese a motteggiare con assai diletto quei lunghi e silenziosi reggimenti di quadri schierati nelle gallerie. Gabriele la rampognava di quel suo poco rispetto alle belle arti. Ma Leopoldina rispondeva che i suoi omaggi li serbava tutti per Roma, Roma, Roma! Prima c'erano Pisa, Pistoia, Livorno, Lucca, Siena! e alla Leopoldina toccò seguir Gabriele in tutte queste peregrinazioni. Vi si sarebbe anche divertita; ma il soverchio cibo infarcisce le indigestioni, e per giunta la primavera volgeva sempre più bisbetica e piovosa. Finalmente si misero in viaggio per la città eterna. Oh Dio che viaggio eterno! - Gabriele lo andava facendo colle memorie d'Annibale e Tito Livio alla mano. Ma la Leopoldina che conosceva Annibale appena di vista? - A lei non restava altra risorsa che guardar fuori dello sportello la pioggia che sgocciolava dall'imperiale della diligenza, e metter in caricatura i postiglioni, le strade e i carabinieri del Governo Pontificio. A Roma la cosa non andò tanto bene quanto si poteva sperare. C'erano moltissime cose che piacquero alla Leopoldina e dinanzi alle quali rimase forse più profondamente estatica del marito; ma vi erano molti tronchi di colonne di cui ella non giungeva a capir la bellezza, e certe sensazioni inglesi che non la invogliavano punto colla loro proverbiale sublimità. Per esempio, Gabriele era fanatico per le catacombe; ma la giovine donna non divideva questo entusiasmo e non ci fu verso che la inducessero ad avanzare tre passi oltre l'entrata. Gabriele era spoetizzato; cominciò a diffidar della moglie, a nasconderle i sentimenti de' quali non la credeva capace, e a tacer con sussiego delle cose che non movevano la sua ammirazione. Egli s'adoperava così per non avvilirla; essa se ne tenne offesa e gli fece il broncio. Col broncio partirono da Roma e col broncio giunsero a Napoli. Là il bel sole li rasserenò per alcuni giorni; ma riaccesero i soliti mali umori a proposito del Vesuvio di Pompei e della Grotta di Capri. La Leopoldina motteggiava ancora ma non rideva più; Gabriele se ne consolava col Lacrimacristi, e così si prepararono al tragitto di Genova durante il quale il mal di mare li tornò amici per quarantott'ore. Appena toccata terra furono alle solite. La giovine aveva colà delle amiche e pretendeva che dovessero avere le sue prime visite; il marito propendeva pel Palazzo Doria e pel passeggio d'Acquasola. Decisero di far ognuno di suo capo, e successe una ringhiosa separazione. Queste scaramuccie seguitarono a funestarli in tutte le stazioni del Piemonte, e li accompagnarono per tutte le valli della Svizzera fino a Vevay, dov'essi avevano deliberato di passar l'autunno in riposo. Ma Dio buono qual riposo!... L'albergo era pieno zeppo di Americani e d'Inglesi, appassionatissimi per le caccie, per le corse, e per le gite al Monte Bianco. Gabriele strinse alleanza con tutti loro, e la Leopoldina rimase sola a specchiarsi dalla sua finestra nelle acque del lago. Questa posizione obbligata è la sola che possa render antipatico in meno d'una settimana il più limpido, il più poetico lago dell'Europa, dell'America e perfin della Luna. Di più quegli Americani e quegli Inglesi cioncavano il rum a bottiglie per guarire dalla nostalgia: Gabriele per sostener l'onore della sua nazione si mise anch'egli a bere come un Turco, e più volte la moglie s'ebbe ad accorgere che se il cuore del marito era ancor suo, la testa non era più di nessuno. Figuratevi qual dispetto per la delicata e schifiltosa Leopoldina! Quel brutto peccataccio era per lei imperdonabile; e si pose in capo di voler odiar Gabriele ad ogni costo, impresa nella quale si sdegnò di non poter riescire. Peraltro si vendicava col mostrare di non occuparsi di lui; e questa vendetta ad altro non menava che a dividere sempre più le anime loro. Dio volle che in quell'anno l'inverno capitasse prima del consueto; e la partenza per Parigi fu di necessità anticipata d'alcune settimane. Là giunta, la Leopoldina ebbe agio e mezzi di vendicarsi in maniera più visibile. Ricorrendo alla moglie d'un general francese che le era un poco parente, si fece introdurre nelle alte società, e cominciò a sfoggiar un lusso di cui per l'addietro non s'era mai mostrata vaga. Il suo ingegno, la sua prontezza e la bella e svelta leggiadria della persona davano risalto al ricco splendore delle vesti; e in breve ella fu citata nelle sale come un oracolo della Moda. Gabriele se ne spazientiva; gridava contro tali frivolezze; diceva di non voler più badare a quella frasca, ma ci badava tanto, che fino nella Pinacoteca del Louvre non poteva far altro che pensare a Leopoldina. Costei s'accorgeva di tutto, ne godeva con molta cattiveria dentro di sè, e pensava alle sue noie di Vevay. - La cosa andò tanto innanzi che Gabriele prima ancora di aver veduto la metà delle meraviglie di Parigi, dichiarò di esserne stanco e di voler visitar l'Inghilterra. Invano la moglie gli oppose la cattiva stagione, le nebbie di Londra, e la sua delicata salute. Gabriele fu inesorabile e la condusse a Londra, a Edimburgo, a Liverpool, a Glascow, a Dublino! Fuori da una fabbrica di birra e dentro in una miniera, egli l'avrebbe forse condotta in Danimarca, in Norvegia e al Capo Nord, se infatti la salute di Leopoldina non si fosse in quel torno visibilmente alterata. Forse la malattia le sarebbe venuta ad ogni modo; ma essa volle renderne tutto il merito alle stramberie del marito, e la durezza colla quale ella seppe accogliere il pentimento di questo fu sprone a nuovi alterchi e a più veri rammarichi. I medici consigliavano alla malata il clima meridionale; onde Gabriele colse il destro d'un principio di convalescenza per imbarcarla sul piroscafo di Southampton e condurla a Nizza. - Oh, il bel clima d'Italia! Oh, il dolce e salubre clima di Nizza! - La Leopoldina sul terzo dì era sana come son io; e Gabriele un po' confuso e arrovesciato, perchè quella repentina guarigione gli sembrava una burla della sua anglomania. Infatti le apparenze non mancavano: perchè sua moglie a Nizza riprese allegramente la sua vita parigina, e con questo per giunta, che lì aveva a tre tanti le amiche, e la società per essere più affollata ed oziosa le serviva più comodamente di teatro. Leopoldina fu la sultana del serraglio - ebbe le invidie delle rivali per aureola, e per riverbero le occhiate de' suoi adoratori. Pronta al frizzo e al sarcasmo, di facile e fiorita loquela ella si strinse viemmaggiormente a quei tali che col loro brio attizzavano il suo. Due o tre milordini inglesi, un conte veneziano, e soprattutto un visconte da lei conosciuto tre mesi prima a Parigi le facevano la corte da mattina a sera. Questo visconte ebbe l'abilità di turbare non pochi sonni di Gabriele; ma egli non se ne dava per inteso e faceva l'occhiolino alla bella colla stessa imperturbabilità con cui dormiva le sue notti. Diavolo! Non si fa così a Parigi?... E Parigi non è il capo del mondo?... Dunque... dunque il visconte era molto contento del fatto suo o almeno fingeva di esserlo; Gabriele in vece che avrebbe voluto fingere di esser contentissimo non lo era del tutto. Non beveva più, non mangiava, non correva a veder i tramonti, non giocava nè a bigliardo nè a macao! Insomma, se prima era insopportabile alla moglie per la sua divagazione, ora lo diventava pel troppo concentramento! «Chi lo avrebbe detto di Gabriele? pensava in qualche momento di tregua la Leopoldina - diventar così selvatico, così burbero, così cattivo? Sforzarmi a cercare la dimenticanza de' miei dispiaceri in questo mondo che mi affatica tanto!!...» «Ah Leopoldina, Leopoldina! - mormorava a sua volta Gabriele. - Quanto sarebbe stato meglio che non fossi mai tornato a Gargnano!... Ecco che per opera tua io ho perduto tutta la mia vigoria e son diventato poltrone come un orso.» Questi soliloquii potevano durare anni ed anni in onta all'opinione di chi crede che i soliloquii non sieno in natura, se non interveniva una circostanza ad appaiarli in un dialogo affatto tragico. - Una sera Gabriele era in un caffè, quando in una sala vicina udì lo strepito d'un alterco. Andò a guardare, ed erano il signor visconte ed uno dei milordini di sua moglie che si strapazzavano acerbamente. Il nome di Leopoldina mischiato stolidamente alla baruffa gli fece l'effetto d'una pugnalata nel cuore; e quando l'Inglese finì col dire al visconte che l'esser lui il fortunato non gli dava il diritto di motteggiar gli altri, Gabriele gli si scaraventò addosso con tanta furia che il milord si ritrasse al muro spaventato. - Di chi parlate? gli domandò il Bresciano soffocando dalla bile. - Di miss Leopolda Plok, abitante a Londra, Regent Street, N. 23, rispose con tutta flemma il Lord. - E un'altra volta vi pregherò, o signore, di farmi con più discreta maniera le vostre interrogazioni. Gabriele capì che non era quello il momento di far chiasso, e che il maggior male ne sarebbe sempre venuto a lui; onde più furibondo che mai per non aver potuto sfogarsi, andò a casa sciammannato, senza cappello, mordendosi le labbra e le mani. - La Leopoldina era davanti allo specchio che si adattava fra le treccie una magnifica acconciatura di perle. - Leopoldina, ruggì Gabriele con una voce da defunto. - Io non vi amo più! La giovine si volse, e vedendo la faccia sformata del marito, e le sue vitree occhiate e le vesti e le chiome scomposte, sì sentì venir meno il cuore. Però non la volle capitolare così a precipizio, ed ebbe la forza di sorridere soggiungendo: - Davvero? - Sì, sì, davvero! gridò con uno schianto di tutte le viscere il povero scapigliato. E giacchè non devo ammazzar lui, giacchè non posso ammazzar voi, aggiunse stringendole convulsivamente il braccio e respingendolo lunge da sè - ammazzerò me solo!... Si viva Dio, ammazzerò me solo! In ciò dire corse alla finestra che dava sul mare, aperse disperatamente la vetriera, e... e non potè slanciarsi fuori perchè le mani della Leopoldina aggranchiate a' suoi abiti gli vietavano di moversi. Si chinò sopra di lei, ed ella cadde distesa come morta sul pavimento. - Aiuto, soccorso!... Il medico, acqua! - il poveruomo che voleva ammazzarsi si dava le mani attorno per richiamar in vita quella stessa che lo aveva indotto poco prima a quell'atto di disperazione. Finalmente con molti spruzzi d'acqua e con un cordiale, le si rimise l'anima in corpo; e la prima occhiata che, tornando in sè, ella rivolse a Gabriele, diceva tante cose che io non potrei dichiararne la metà se scrivessi fino a domani. Era un rimprovero per gl'ingiusti e troppo facili sospetti contro di lei concepiti, una preghiera di perdono pel motivo ch'ella imprudentemente aveva offerto a questi sospetti, un'indulgenza plenaria per tutti i torti che il marito aveva verso di lei, e una promessa infine che quei torti sarebbero dimenticati e pagati da un amore costante, serio e senza nuvole. Gabriele le stava al capezzale quasi a malincuore, e come sospeso nel desiderio di volgerle una domanda. - Parla pure, ben mio! gli disse fiocamente la moglie interpretando a meraviglia le sue occhiate vaghe e ancora scorrucciate. Gabriele si guardava intorno e non moveva sillaba. - Parla, chè lo voglio!... ripetè con sommessa, ma risoluta voce la giovine donna. - Il visconte... ah no, non è vero!... mormorò Gabriele, che lesse la sincera risposta a quella sua prima parola di dubbio sul volto della moglie, e fu pentito di averla pronunciata. - Domani partiremo per Gargnano, disse soavemente la Leopoldina, non curando di cercar argomento per difender la sua fama, della quale, del resto, tutta la città era mallevadrice, per esservi il visconte conosciuto come il più aereo cantafavole della Guascogna. - Domani? rispose Gabriele - oh no! sai - sei ancora malata. Eppoi dobbiamo andarcene in Ispagna... - Per carità lascia star la Spagna, Gabriele - riprese la moglie - chi sa qual effetto la ci farebbe. Dell'effetto di Gargnano siamo sicuri; e se mi ami ancora, devi condurmi subito, subito colà! - Se ti amo! sclamò Gabriele col suo caldo accento bresciano d'una volta - ma ripensaci sopra, e vedrai che ci sarà meglio partire la settimana ventura! - Ho capito, soggiunse sorridendo la Leopoldina - vuoi convincere anche gli altri. Lasciamene a me l'incarico, e come ben dici partiremo lunedì. In que' sei giorni che rimanevano, ella seppe condurre le cose così saviamente che i suoi quattro galanti si risero in faccia l'un l'altro conoscendosi tutti e quattro superbamente scornati: e la Leopoldina lasciò sì a Nizza la fama d'una civettuola, ma d'una civettuola onesta, d'uno squisito sentire, di bellissime maniere, e d'un instancabile brio.
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