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Ippolito Nievo Il barone di Nicastro IntraText CT - Lettura del testo |
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XIX.
- Mi domandate, caro amico, diss'egli, come mi sia congedato dai vostri dotti. Vi risponderò che mi sembravano un'accolta di pazzi furiosi; che non v'era opinione o disputa o consiglio, sul quale non si dividessero in due pareri, venendo anche assai di sovente alla pugna; ed io che fui talvolta chiamato a decidere, mi trovavo sì disacconcio fra due falangi di boxeurs come voi li dite, che mi tardava l'ora di potermela svignare. Prima toccammo di volo il Messico, ove mi si narra che vi sieno sempre almeno due presidenti, due congressi, e due eserciti in guerra l'uno contro l'altro; dappoi approdammo al Brasile, al Paraguay, al Chilì, al Perù, ad Otahiti; e vi confesso che non mi dolse di addentrarmi oltre in quei paesi, poichè per giunta dei mille disordini, delle mille contraddizioni che ci osservai in pochissimi giorni, dappertutto le due razze umane, cioè la paesana e la forestiera, si scannano allegramente e non si danno pensiero di smetter per ora questa costumanza patriarcale. Finalmente giunsimo in California; ed ecco che appena sbarcati al Rio del Sacramento, salta il ticchio ai vostri dotti di far girare e parlare una tavola; io, come potete immaginarvi, all'udir la proposta, scoppio in un riso così sgangherato, che ai signori dotti salta la mosca al naso, ed uno fra essi pianta là la tavola per venirmi ad armeggiare colle pugna sul muso. Finchè si trattò di uno solo, la difesa fu valorosa; ma con due cominciai a piegare, e quando i nemici crebbero fino a tre, la diedi a gambe fuori dell'uscio. Allora fu un vero rovescio di astronomi giù per la scala; ed io, poveretto, mandato sossopra dalla valanga, caddi a slogarmi un braccio sull'ultimo gradino, fortunato di salvar le gambe, per rizzarmi e fuggire di nuovo. Scappa e scappa, imboccato un altro albergo mi vi ricoverai, e mi posi a letto per curare la slogatura. Un medico mi diè parola di guarirmi in un mese: io per mio malanno ne feci chiamare segretamente un altro che si vantava di risanarmi in una settimana; e così fra loro due quei carnefici mi conciarono il braccio in modo, che convenne da ultimo tagliarlo, perchè il Barone di Nicastro non andasse plebescamente in cancrena. I dotti avevano favorito di lasciarmi a terra le mie robe; onde risanato e monco ch'io fui, pensai d'addentrarmi nella California: il qual paese, come quello a cui concorrono, allettate dall'oro che vi si trova, genti d'ogni razza e colore, mi pareva assai proprio per istudiarvi gli uomini, le contraddizioni e gli accordi dialettici. Siccome poi nella mia famiglia fu sempre ereditaria una qualche dottrina d'alchimia, così la professione di viaggiatore mi si prestò assai comoda di cavarci le spese nelle regioni aurifere. «Oh mio degno amico, qual mostruosa schiatta di gente sono codesti abitatori della California! Ce ne sono d'Anglo-Americani, d'Inglesi, di Francesi, di Messicani, di Tedeschi, di Malesi, d'Indiani, d'Arabi, di Mori, d'Etiopi, di Tartari, di Chinesi, e di Australiani, gialli, bianchi, neri e variopinti; ed in onta di tante diversità, considerata la meravigliosa somiglianza dell'indole nell'ingordigia, nel ladroneccio, nella frode, e in ogni peggior sorte di libidine, ebbi campo di convincermi che tutte le famiglie umane vengono da un solo ceppo. Figuratevi quell'accozzaglia d'assassini e di barattieri contrastata tra la foga del godere e l'avidità del guadagnare! Figuratevi quali sieno i frutti nefandi di queste due passioni, infami e brutali del pari e ciò nullameno contraddittorie! Figuratevi se quello era luogo da cercarvi la virtù, la felicità e la trina armonia Pitagorica - Dopo due mesi ne partii stomacato, e pur consolandomi di veder il vizio punito almeno nelle qualità venefiche de' suoi stessi alimenti. "Se qui i delitti hanno naturale castigo; dicevo fra me, altrove certo le virtù avranno il loro premio." - E con un navicello da pesca costeggiando l'America Russa tragittai in Asia. L'Asia, amico mio, ch'ebbe il vantaggio di vedere la creazione del primo uomo (a detta d'un vecchio geografo) l'Asia non istà punto meglio di Tunisi, della Spagna, e dell'America. Prima di tutto visitai il Kamciatka, ove in due giorni fui strabalzato con tal rapidità dal freddo al caldo che mi buscai un mal di petto da olio santo. Si facevano miglia e miglia senza incontrar un uomo; trovatolo, l'era uno scimmiotto giallo, unto, peloso che cercava di assassinarci per rubare quel poco che avevamo. Se se ne scontravano due, sicuro li trovavamo occupati nel darsi percosse da orbo per una pelle di renna, o una testa di foca. - Sono selvaggi! pensavo io - verrà la civiltà anche per essi col permesso dello Czar; e intanto andiamo pure al Giappone. «Si diceva che gli Americani fossero accolti assai gentilmente in quel paese, ed io mi vi avventurai infatti con un passaporto americano. Ma non l'avessi mai fatto! - Conviene sapere che il Giappone ha due imperatori, il Cubo che regge gli affari civili, residente a Jeddo, ed il Meako che dimora appunto a Meako ed è una specie di sommo pontefice. Ora siccome gli Olandesi per gelosia di mestiere avevano messo in voce gli Americani di favoreggiare il signor Cubo, così i partigiani del signor Meako, chiamati volgarmente bonzi, s'impossessarono di me, divisando farmi grogiolare in un certo idolo di bronzo alto ventiquattro piedi, che a tal uopo essi costumano arroventare nelle grandi solennità, come il famoso toro di Falaride. Senonchè assai mi valse la mia perizia nella chimica udita decantare da uno di que' bonzi; e questi si offerse di farmela passare col lieve sacrifizio d'un occhio, purchè io m'assumessi di ringiovanire, agli occhi del popolo, Monsignor Meako, il quale non deve mai nè invecchiare nè morire; e infatti morto che ne sia uno, i bonzi ne sostituiscono furbescamente un altro, che pei credenzoni continua ad essere quello di prima... Cosa da strabiliarne sarebbe stata per chiunque, meno che per me avvezzo alla buona gente di Sardegna, codesta credulità del nuovo signore adoperavo del mio meglio con un ferro appuntito, come da noi si costuma accecare i fringuelli, io fui ridotto ciclope; e dopo breve convalescenza assunto ai servigi del mio nuovo signore adoperava del mio meglio con unguenti, tinture e manteche per rinverniciarlo di gioventù le pochissime volte che si faceva vedere così alla lontana nel tempio. Erano frodi dozzinali affatto, ma che bastavano a corbellare un volgo zotico e minchione... nè avrei smesso sì presto il mestiere, se, quel vecchione di Meako essendo mancato a' vivi in quel frattempo, non avessero eletto in sua vece un bonzo giovinastro, che potea far senza parrucche e belletti per darsi a credere immortale. Io che indovinai cosa si sarebbe fatto di me, allora che la mia alchimia non era più necessaria, mi fuggii addirittura dal convento per un fenestrello della cantina; e ramingando notte e giorno, giunto alla fine del mare, salii sopra una giunca chinese pronta a far vela. I bonzi della città, avvertiti della mia fuga e paurosi del segreto religioso ch'io potevo propalare, ci sguinzagliano addosso una flotta intera di barche, di barchette e di piroghe; la nostra giunca si abbandona al vento e fugge in alto mare; essi ci inseguono, ci bersagliano con certe loro catapulte; i Chinesi perdono il capo; il mare ingrossa, la procella rincalza e la giunca va a fondo con buona parte della flotta nemica. In quell'oscurità, in quel diluvio io mi trovai a cavallo d'una trave e nuotante come un delfino sulla negra immensità dell'Oceano: figuratevi se mi vidi in un brutto impiccio così guercio e monco com'ero! Volgevo dunque lo sguardo costernato qua e là, quando al baglior d'un lampo, veggo vicina a me la testa d'un'altr'uomo presso ad affogare: in onta alla tempesta che furiava, cerco d'avvicinarmi a lui, lo afferro per un braccio, e lo accomodo garbatamente all'altra punta della trave. Indovinate chi l'era? per l'appunto un missionario anglicano che viaggiava dal Giappone alla China pei fini strettamente teologici della Compagnia delle Indie. «- Signor abate, gli dissi; faccia del suo meglio per tener dritta la nave. Ci siamo in due... Ahimè, amico! proprio in due eravamo su quel fragile pino!... La paura che mi venne da tal pensiero tolsemi affatto la voce; e d'altro non mi curai che di abbracciar saldamente la trave che sospinta da un furioso greco-levante scivolava sulle onde. Dopo trentasei ore fummo gettati sulla spiaggia della China, ove una turba di marinai conosciutici Europei ci raccolse per portarne al Mandarino della provincia. - Che fortunati! sclamò il signor giudice che aveva udito il racconto senza fiatare infino allora, e volle rincorar il Barone a continuarlo e a non lasciarsi vincere dalla tristezza soverchia delle rimembranze. - Ah fortunati!? soggiunse il Barone dimenando il suo moncherino - ah fortunati ci dite?... Fate in due a cavallo sopra una trave il tragitto dal Giappone alla Cina, per esservi legati, anzi inchiodati in una canga, e messi per due anni a giacere sopra un fianco in cantina, come bottiglie di Sciampagna, e mi direte poi, se non è meglio mille volte il tornarne al Creatore senza tante cerimonie!...
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