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Ippolito Nievo Il barone di Nicastro IntraText CT - Lettura del testo |
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XXIV.
Una soave speranza rianimava lo scomposto carcame del Barone di Nicastro, come la luce del Bengala popola di forme aeree, misteriose i gradini del Colosseo; un desiderio invincibile lo premea da Ostenda agli aprici vigneti di Liguria; ma avvenne in quel torno a lui quello che a molti, quando mettono gli occhi in una lettera carissima desideratissima, che non la proseguono se prima non abbiano sbrigata ogni loro fastidiosa faccenda, per poi riposarsi veramente in essa con tutta l'anima. E così il Barone volle fornire il suo còmpito anche in Europa, prima di correre al bene sicuro, ineffabile che doveva compensarlo degli infiniti travagli, e serbargli la fede di quell'accordo ideale che per avventura non avesse potuto scoprire nel mondo. Corse dunque per le poste e ferrovie la Germania, la Danimarca, la Russia e la Polonia; si ficcò fino in Turchia, e pei Principati e il Danubio rimontò ancora in Germania; ma non trovò sito ove la virtù, la vera e serena virtù, fosse d'altro ricompensata che di fiacchi battimani, quali usiamo farne per compassione ad una commedia che annoia. E d'altronde la felicità si prendea beffa di lui; mascherandosi in foggie così oscene e bestiali da movere piuttosto il ribrezzo che i desiderii. - Dappertutto fra Danesi e Tedeschi, fra Russi e Polacchi, fra Servi e Boiari, fra Turchi e Rumeni, fra Rajà ed Osmanli, gli si appalesò la rabbia canina, colla quale l'umanità si morde la coda: e il simbolo egiziano sta a promettere che il trastullo non sarà corto. - Pazienza che fra tanti litiganti sorgesse la verità a gridar la ragione ed il torto! pensava Don Camillo in un caffè di Baden; ma pur troppo la verità, la forza, il torto e la ragione sono spartiti così appuntino, che potrebbe la tregenda tirar innanzi fino al dì del Giudizio. - Tuttavia ho ancora una lusinga; aggiungeva con un tremolio di piacere o di paura. E mille pensieri, varii di tinta, di grandezza, di figura, vispi, saltellanti, maestosi, e terribili, gli dipingevano nella immaginazione l'idea della Francia. Ciònonpertanto dico ch'ei tremava; perchè ne aveva udito sparlar tanto di questa benedetta Francia, che la viva fidanza d'un giorno gli si era di molto annuvolata, e temeva anche un poco d'averne a prendere un granchio. Poco oltre al confine francese, (egli viaggiava da Baden a Strasburgo in diligenza) uno de' suoi compagni di carrozza si mise a gridare, che già sentiva l'aria della Francia e che gli doleva assai che i postiglioni non si fermassero per poter baciare la terra natia, o almeno abbracciare una colonnetta della strada. - Corse molto tempo, signore, dacchè usciste dal paese vostro? gli domandò il Barone. - Ah, qu'il y a longtemps! sclamò il Parigino - quasi quattro settimane. E frugacchiai per dieci stabilimenti termali di Germania senza trovarci un solo di quei mille agréments che fanno sì dolce il vivere a Parigi! - E che professione è la vostra di grazia? chiese il Barone. - Je suis un savan rispose modestamente inchinandosi il Francese. - Don Camillo di Nicastro, martire della filosofia Pitagorica squadrò in cagnesco l'azzimato neofito; e soggiunse con uno sgrugnetto d'ironia: - Non già dei sette, voglio credere... - Sibbene dei quaranta de l'Académie; rispose l'altro. - Che pezzo d'asino! mormorò il Barone; e cercò di cavarsela col chiudere gli occhi. Ma il savant di Parigi, che odorava forse un romanzo di venti volumi nel corpo smozzicato del Barone, non si scorò benchè egli fingesse di russare e alla prima stazione colse il destro di riappiccare il discorso. - Je gage ma tête che voi siete italiano: gli disse aiutandolo a scendere dalla carrozza. - Sono il signor Barone Camillo Bernardo Lucio Clodoveo di Nicastro dei giudici di Sardegna; rispose Don Camillo. - Votre serviteur: soggiunse con un inchino il Francese; e d'onde venite?... Scommetto quasi di Turchia. - Corbezzoli! sclamò maravigliato il Barone ficcandogli in viso il suo occhietto stralunato; come fate ad indovinare? - On le voit bien; riprese savant; voi siete calvo, monsieur, e non portate parrucca; c'est vraiment de la barbare Turquie! - Che maniera di ragionare! borbottò il Barone stringendosi nelle spalle. - Cosa ne cale a me di parrucca?... - Pardon; rimbeccò il Francese; ma gli è impossibile che qualcheduna fra le volubili figliuole di Eva non v'abbia tocco il cuore. E croyez-en à moi, quelle bizzarre creature n'aiment pas les têtes chauves. - Di più vi consiglio, continuò parlandogli nell'orecchio, vi consiglio le dentiere di Hochet, Rue Mont-Rouge N.° 11. C'est rien que cela; mais ça réhausse la prononciation. Et puis perchè non si deve procurar di nascondere la disgrazia della natura, o il cattivo servigio del destino? Del resto a Parigi troverete, monsieur, di che rendervi un vero Adonis: e, il va sans dire, che vi sono occhi di cristallo d'un effetto magico, esprimenti ogni fatta di passioni, dalla rabbia più feroce all'ebbrezza più soave dell'amore; laonde avec un petit changement voi potete mettere il vostro occhio destro in consonanza col sinistro vis-a-vis de votre maîtresse... Et pardon, Monsieur, ma come avvenne che voi foste così endommagé dans votre faculté visive? - Fui accecato al Giappone dai bonzi, per aver osato entrare nei confini dell'impero con passaporto americano; rispose Don Camillo. - Diable! quel pays que c'est le Japon! sclamò con una pirouette il sapiente Parigino; ma ve lo dico io, proseguì, che la Francia compensa i difetti di tutte le altre nazioni; ci troverete occhi a migliaia da far piangere d'invidia quello che ha ancora l'onore di servirvi! - Il va sans dire che non ci vedrò meglio; disse ghignando il Barone. - Pardon, monsieur; soggiunse il Francese, come punto dal fare schernevole del Barone; c'est pour la vénusté, come dicevano i Greci. - Ma come diavolo; continuò egli allegramente; come vi frullò in capo di ficcarvi al Giappone? - Ho fatto voto di cercare pel mondo la concordia della virtù colla felicità e la trina armonia dialettica di Pitagora; rispose solennemente Don Camillo. - Vous ne cherchez que cela?... et vous alliez au Japon? - Qual meraviglia? rispose Don Camillo - andai al Giappone perchè non mi fu dato trovare altrove quanto cercavo. - Oh quelle fatalité, monsieur! sclamò il Francese; se ci fossimo incontrati prima, vi avrei sparagnato un lungo viaggio, e la brutta accoglienza di messieurs les Bonzes! ... A Parigi, monsieur le Baron, a Parigi si trova, la vraie vertu, le véritable bonheur, et la parfaite harmonie! - Davvero, signore?... e come?... dove?... - Parbleu! anzitutto dans les coulisses. - Che è quanto dire? - Excusez-moi, volevo dirvi che fra les danseuses et les comédiennes si trova sovente quella courte, brûlante et infidèle intimité, che procede dalla vera virtù, costituisce la vera felicità e mena alla perfetta armonia. E se si sparla di esse, credetemi, de la calomnie. - Costui è pazzo; pensò il Barone; chi gli chiese conto di comiche e di ballerine?... - Scusatemi; ridomandò volgendosi a lui; la virtù pubblica è ben rimunerata a Parigi? - On la siffle au Gymnase, on la supporte a l'Odéon, et on l'applaudii au Théâtre-Français; rispose il Parigino. - Capisco; ma il Governo? - Ah, le gouvernement! bisbigliò sbadatamente il savant. - On dit che ci abbia regalato sessanta mila cavalieri della Legion d'Onore. Ça fait un joli budget de vertus publiques, mi sembra! - E dove si pescano, di grazia, tutte queste ricchezze di virtù? - Mais, dans la haute finance, dans la haute litérature, dans la haute noblesse, dans la haute fashion, dans les hauts rangs de l'armée surtout; e poi ancora dans le haut commerce, dans la haute diplomatie, dans la haute... - Basta, basta! strillò Don Camillo tappandosi l'orecchio che non gli si era guastato nelle carceri della China: tutte virtù che costano pochi sudori. E da quanto mi dite temo assai, che anche la Francia non sia paese da cercarvisi l'unità dialettica del trinum Pitagorico. - Oh qu'oui, che ce la trovate! sclamò a sua volta il Francese: da noi tutti hommes, femmes et enfans, sono pour la centralisation. C'est de l'unité à ravir, caro Barone, e tutto cola a Parigi. - E cosa dicono i Dipartimenti? - Qu'est que c'est que ça?... Ah capisco!... Les départements! Essi mandano Parigi ai centomila diavoli. - E Parigi? - Il s'en f...! - Bella unità affemia! sclamò il Barone. - Ve l'avevo pur detto! soggiunse tutto raggiante il Parigino - c'est à ravirl! - E tuttavia; riappiccò Don Camillo; l'anno scorso alla Nuova Calcedonia udii un Francese mormorare non poco d'un così soverchio accentramento. - Sarà stato un légitimiste! - Non era. - Un fusioniste? - Nemmeno. - Un orléaniste? - Nè punto nè poco, era un socialista. - Peste! non ne conosceva di questa nuance! mormorò il Parigino. - Oh la perfetta unità dialettica! sclamò ironicamente il Barone. - Sì, certo; e ve la provo; rispose l'altro; c'est de l'unité dans la multiplicité, come diceva, mi sembra, un certain abbé Giberti qui doit être Corse. - E per questo noi, ad onta dei sei, sette od otto partiti che abbaiano, e di coloro che appartengono a tutti e otto o a nessuno, abbiamo tuttavia un solo scopo, e c'est de bien vivre; un solo passeggio et ce sont les boulevards; une seule Académie, ed è quella cui io ho l'onore d'appartenere; un solo giornale et c'est le Charivari (gli altri son fatti per dormire, ma pour le jour non!...Oh les journauz, quel beau calembour!) abbiamo un seul empereur et c'est le neveu de l'autre; un sol canzoniere ed è quello di M. Béranger; un solo Parigi, et c'est le coeur, la tête et l'estomac de la France, un solo esercito et c'est celui de Marengo, d'Austerlitz, di Costantina, e di Sebastopoli; una sola tiranna et c'est la mode; una sola attrice et c'est mademoiselle Rachel; una sola faccenda et c'est plaisir; un solo piacere, et c'est l'amour; un solo amore, et c'est le mourir long; un seul vin chic ed è lo Champagne; un seul vin bourgeois et c'est le Bordeaux, una sola virtù et c'est la perfection; un solo difetto et ce n'est pas la modestie... - Basta, suffit, vi prego; mi conterete il resto dans le vagon; andava dicendo Don Camillo. Ma non ottenne che una brevissima tregua, perocchè infatti sul convoglio della ferrovia da Strasburgo a Parigi, s'abbattè di bel nuovo nel facondo accademico; e questi per tutto il viaggio d'altro non si occupò che d'assettarsi le bande della capigliatura, e di provare al Barone di Nicastro la parfaite unité dialectique et Pithagorique della Francia. - E come fareste a racchiuderla nel simbolo unico e triplicato dei Pitagorici? domandò sorridendo il Barone, come furono a pochi minuti dalla capitale. - C'est l'affaire de quatre c - rispose lesto lesto monsieur le savant. - Le canon, le caquet, et le coc... forment le trinum parfait de notre civilisation! - Voilà! soggiunse il Barone. Ecco tutto spiegato e ve ne ringrazio. - Spero, aggiunse in cuor suo; che la Tesoruccia non imparerà mai questa applicazione parigina della formula Pitagorica! Alla stazione si salutarono, e l'uno corse in un cabriolet all'Académie; l'altro si fece condurre da un fiacre all'Hôtel du Pavon; ruminando le strambe dicerie del suo compagno di viaggio. Pure non trovò Parigi gran fatto dissimile da quanto esso se l'era immaginato dietro le parole dell'accademico; e cerca e ricerca, diè sovente di naso nella virtù canzonata, nella felicità dei bricconi, e nell'armonia degli organetti. Un mondo senza pensiero, una vita senza scopo, una luce senza calore, una festa senza ragione, gli sembrava quel briaco Parigi; e ci convien dirlo, il Barone ne rimase tutt'altro che contento. - Oh lo veggo pur troppo! diceva egli, provandosi a camminare colla sua nuova gamba automatica nel giardino delle Tuileries; converrà ch'io mi ricoveri nell'amore per riacquistare la speranza! E a proposito, se era malcontento di Parigi il povero Barone, non lo fu peraltro della meccanica e della chirurgia riparatrice, che lo munirono d'un'eccellente gamba di legno, d'un braccio di guttapercha, d'un'arricciata chioma leonina, d'un occhio soave e ceruleo di cristallo, e di trentadue denti d'avorio; in guisa tale che guardandosi nello specchio gli parve esser uscito dalle mani del creatore in una seconda edizione. - Ora andiamo a Genova! diss'egli sospirando, eppur compiacendosi del suo fiorito bel garbo. Non aveva trovato l'accordo dialettico negli altri, ma era sicuro di comporselo in famiglia, e ad ogni istante palpeggiava con voluttà il diploma indiano che aveva nella tasca da petto. Adunque prese un posto sulla ferrovia di Lione e s'acconciò alla meglio col congegno un po' complicato delle sue membra in una poltrona di prima classe. Dirimpetto a lui un maturo Dandy stette guardandolo con qualche maraviglia, e poi alzandosi e stringendoglisi al collo. - Ma sì!... È proprio lui!... quel caro Barone di Nicastro! si diede a strillare. - Don Camillo cercava di liberarsi da quegli abbracciari, per volgere al nuovo amico che gli capitava la parte del suo viso ove l'occhio non era di vetro; e giunto che fu a ravvisarlo, s'arretrò più per lo spavento che per la sorpresa. - Veggo o straveggo!?... balbettava egli impallidendo, tremando, fregandosi le ciglia, e alzandosi la parrucca. - Voi?... proprio voi?... il mio collega dell'Australia?... il socialista della Nuova Caledonia?... il morto?... il seppellito?... - Sì, son proprio io! guardatemi, palpatemi; soggiungeva l'altro tornando ai baci e alle carezze. - Piano, piano; andava dicendo il Barone, e si ritraeva come da uno scheletro; e com'è che non siete rimasto sotterra?... Vi ho pur veduto seppellire io!... - Sì, caro Barone; rispose il risuscitato; i caritatevoli coloni si diedero le mani attorno per seppellirmi, acciocchè qualche barbara tribù non desinasse coi miei miseri avanzi. - E dunque? chiese vieppiù atterrito il Barone. - E dunque; riprese l'altro; poco mancò che la soverchia carità dei miei compaesani non prevenisse l'opera dei cannibali, poichè io non ero affatto morto, e col darmi sepoltura sono andati a rischio di soffocarmi. - Cosa mi contate! mormorò Don Camillo. - E il più bello si è, proseguì l'altro; che partiti i becchini, l'odore della carne fresca richiamò i selvaggi, i quali disseppellitomi e trovatomi vivo, e assai macero, pensarono di ingrassarmi per qualche loro tripudio. E così ebbi tempo di guarire dalla paura di esser morto, nonchè delle molte ferite che avevo pel corpo, e una bella giornata, quando mi portarono da asciolvere nella mia stia, deliberato d'arrischiar tutto per ischivare lo spiedo, inzuccai un contro l'altro i due carcerieri, me la svignai fuori dell'uscio, e corsi e corsi fino alla colonia francese; donde, perchè non si rinnovasse la burla, m'imbarcai tosto per la Francia. - Dunque vi passò il grillo di piantare un comune socialista nel Mar Pacifico? chiese il Barone. - Pardon! soggiunse gravemente il Dandy - ho una carica nel Ministero delle Finanze: sono bonapartista. - Hum! fece il Barone. - Le conversioni in Francia non son meno miracolose delle risurrezioni alla Nuova Caledonia!...
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