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Eugenia Codronchi Argeli (alias Sfinge)
Il castigamatti

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  • SOLE D'OTTOBRE.
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SOLE D'OTTOBRE.

 

Difendermi? Dare spiegazioni? Tentare di riabilitarmi innanzi.... a "quei" tribunali? Nemmeno per sogno. Non mi degno. E, del resto, sarebbe inutile. Non mi si crederebbe, e, sopratutto, non mi si comprenderebbe. Sono in disgrazia, in questo quarto d'ora, nel mio "mondo".... e me ne infischio. Ma il momento di ribasso passerà. Ho al mio attivo troppe di quelle virtù davanti alle quali la vigliacca umanità si prostra.... per non essere sicuro della mia vicina rivincita. Per ora mi si grida la croce addosso. Passo per un uomo che ha commessa una brutta azione, e, ciò ch'è peggio, che si è reso ridicolo per mancanza di gusto e di chic.

Tutto ciò mi secca, lo confesso, ma assai meno del dubbio su me stesso che da questa mane è entrato in me.... e che voglio tentare di chiarire, registrandolo in questo diario. Un giovane viveur di venticinque anni che scrive il suo diario come una ragazza romantica di vent'anni fa! E pure, è così: un colloquio con noi stessi.... è il solo piacevole ed utile in certi casi e niente è più interessante al mondo di ciò che accade a noi medesimi. Voglio raccogliermi, ricordare, riassumere e rivedere nei suoi particolari, nella sua nuda verità, questo episodio della mia vita amorosa.... che devo chiamare "così", solo perchè non trovo un'altra parola esatta che lo definisca.

Vediamo un po'. È vero. Io sono stato sempre un sentimentale.... ma mi sono sempre vergognato di ammetterlo. Perchè? Perchè non è di moda. Mi sarebbe parso, che so? come di portare un vestito di taglio antiquato, di avere un domestico mal tenuto, un'auto di cattiva marca o di stare a tavola poco elegantemente. Io ho il sospetto che il sentimento non sia così morto in noi giovani come vogliamo far parere. Ma ci secca il sorriso del nostro simile. Vogliamo passare per forti, per scettici, per insensibili, per uomini moderni, insomma, e sorvegliamo il nostro cuore onde non se ne vada da nessun pertugio quel po' di sentimento che c'è quasi sempre.

Fu dunque così: quando nell'ottobre scorso la mia buona amica contessa Torriani mi invitò a passare un po' di tempo nella sua villa, io partii con lo spirito ben disposto di chi sa di andare a non annoiarsi. Una bella casa con tutte le comodità moderne, tra autentiche memorie antiche, un buon cuoco, delle belle donne, molto entrain, il tennis che mi piace e in cui sono abilissimo, il bridge in cui sono quotatissimo, diversi mezzi di trasporto a mia disposizione, ville vicine con simpatiche conoscenze: insomma, la mia compagnia (che ho l'immodestia di credere piacevole perchè la vedo cercatissima) andava a ricevere, in cambio, un mucchio di vantaggi.

Una confessione. Se avessi dovuto scegliere il momento della mia nascita, avrei scelto.... il momento in cui venne al mondo mio padre. Le relazioni attuali fra uomini e donne non mi contentano. Avrei voluto il demi-monde per il piacere, e il "mondo" per l'amore. Sono, l'ho detto, un sentimentale mascherato da scettico e mi sarebbe piaciuto provare, destare una grande passione. Ma per simili cose, adesso, non c'è più tempo. Si vive troppo in fretta.... si ha troppa sete di godimento spicciolo e le grandi passioni non devono essere cose allegre.... Però "devono" essere cose belle! Non potendo riformare il mondo, lo prendo com'è.... e faccio anch'io quello che fanno gli altri. Faccio la corte alle donne che mi piacciono.... o meglio, me la lascio fare. Sì. È proprio così. Che iniziativa hanno le donne del nostro tempo! I lunghi assedî, i molti sospiri, i lunghi digiuni, i purgatori di aspettazione che si usavano un tempo.... sono stati soppressi.

Ma adesso devo raccontare. Le signore di casa Torriani sono tre. La contessa Clara, bella donna, elegante, gioviale, espansiva, che ha avuti molti amanti, ne cerca ancora, e ne trova. Ha un solo merito. Adora le sue figlie ma le avvezza male. Tancia e Mirette sono due ragazze moderne, meno belle della madre, e meno di lei attraenti. Fanno però di tutto per piacere, per quel diritto al marito che ogni ragazza di vent'anni crede di avere, in faccia alla vita. Mi lasciano indifferente appunto perchè mi sarebbe troppo facile conquistarle. Villa Torriani è un ambiente allegro. Vi si fa molto voisinage. La sera si balla; di giorno si fanno gite in auto, si dànno garden-parties; vi si continua la vita dei laghi svizzeri e delle spiaggie di moda. La semplicità, la quiete, il riposo della campagna sono ivi un'irrisione.

In casa c'era un'altra donna. L'istitutrice, miss Rhoda Glyn, personaggio che non conta, una di quelle donne che fanno da sfondo, una piccola ombra che dava risalto alla luce delle altre. Piccoletta, magrolina, con molti capelli di un biondo sbiadito, piccoli occhi chiari e la pelle sfiorita. L'avevo vista tante volte senza nemmeno guardarla. Vecchia? Non so. Passata. Una di quelle creature delle quali noi uomini non ci accorgiamo più. Un passo lieve, discreto, una piccola ombra che passa....

La contessa e le ragazze le volevano bene, erano molto amabili con lei, perchè non la temevano. La sentivano forse più intelligente di loro, certo più colta, ma tutto ciò era loro utile e decorativo per la casa. Del resto, l'inglesina non era veramente una istitutrice. Aveva insegnato alle ragazze l'inglese e la musica, e passeggiava con loro. Non aveva nessuna autorità, perchè la sola autorità in casa è quella della contessa. Le ragazze non chiedono certo alla madre il permesso per ogni gesto della loro vita....

Povera miss Glyn! Quando nacque in me la pietà per lei? Forse a poco a poco.... ma me ne resi conto una sera mentre ella faceva, come al solito, da tapeur alla nostra egoistica, indiscreta manìa danzante. Prima Mirette aveva eseguite le sue danze classiche (imparate a Parigi dal famoso Nijinsky), poi erano cominciate le danze moderne.... modernissime, tutte forme larvate ma non meno indecenti dell'invito all'amore.

One step, tango, tutto il recentissimo repertorio.... La contessa non ha pregiudizi. Sa che le sue figlie ballano bene, ballano volentieri; sa che il ballo è un eccellente mezzano amoroso, sa che è un buon cammino per arrivare al matrimonio: essa non invita altro che uomini che siano mariti possibili e desiderabili.... dunque permette alle figlie di ballare.... fino a sazietà!

E la povera miss Rhoda sempre al pianoforte! In un momento di sosta, io fumavo una sigaretta presso una finestra aperta, e guardavo, dall'ombra, dentro il salone chiaro, passarmi davanti in un molle e lento valzer quelle otto o dieci coppie di giovinezze frementi, frivole, sensuali, poco interessanti, in fondo, come tutto ciò ch'è solo larvata bestialità umana. Qualche volta, quando non sono di buon umore, la musica da ballo mi sembra immensamente triste. In quel momento quel valzer mi pareva di una tristezza mortale.... Guardai colei che lo suonava.... la piccola donna vestita di bianco, con tanti bei capelli biondi, ma così pallida, così sfiorita alla luce delle due fiammelle elettriche velate di paralumi color di rosa.... e vidi ch'ella, suonando, piangeva.... Era il valzer dell'operetta I saltimbanchi che in primavera si era ripresa con molto successo a Nizza: un motivo grazioso, languido, voluttuoso e.... stranamente triste. Perchè piangeva la povera donnina bionda? Aveva essa un dolore, o aveva la malinconia della sua solitudine, della sua finita giovinezza, della sua esclusione dalla gioia, fra quella gaiezza che la circondava? Provai per lei un impeto di fraterno interessamento, il palpito di simpatia di una creatura umana verso una creatura che soffre. Gettai la sigaretta, traversai il salone, mi avvicinai al pianoforte e le dissi in inglese: "Siete stanca, signorina: riposatevi. Posso sostituirvi". Lo sguardo di riconoscenza che la poverina mi rivolse non è facile scordarlo. Era una riconoscenza sproporzionata al dono, una riconoscenza di creatura felice di poter finalmente ringraziare qualcuno a questo mondo di un beneficio morale, di un dono sia pur minimo ma spirituale, di una cortesia spontanea, non cercata e.... oh chi sa quanto desiderata!

Fui applaudito, lodato, esageratamente ringraziato come un benefattore, come un filantropo, da quelle coppie di eleganti marionette. Io finii la mia improvvisazione in un "cancan" sfrenato che le coppie accennarono coraggiosamente tra le voci di protesta benevola delle madri.... e sulle ultime note del "cancan" la voce timida di miss Rhoda disse alle mie spalle, nel suo inglese dolce, un po' latinizzato dalla lunga dimora in Italia: "Sento che mi siete amico. God bless you!".

Da quella sera volli veramente essere un amico per quella povera anima sola, e sentii di avere in lei un'amica devota ed entusiasta. Tutti erano corretti con lei, in verità, perchè la sua apparenza era distinta e per bene, perchè meritava rispetto e non avrebbe tollerate scortesie. Ma nessuno con lei era buono. Io volli esserlo. Ognuno di noi è provvisto di una certa dose di bontà, frammista a qualche malvagità e a molta apatia. Un poco buoni, con discrezione, senza lusso, siamo tutti. Come le cinque lire che togliamo ogni tanto dal portamonete per darle alla fame altrui, così ogni tanto sentiamo il bisogno di prendere un pizzico di quella bontà che possediamo per darla in elemosina spirituale. Ma, curioso! mentre l'elemosina materiale stuzzica la nostra vanità e ci piace vederla registrata sulle colonne di qualche diffuso periodico, invece dell'elemosina spirituale ci vergogniamo, ne facciano un'azione clandestina, per paura di sembrare romantici.

Io cercai dunque un pretesto utilitario che assecondasse le mie intenzioni di bontà verso la povera miss Rhoda: dissi alle ospiti che intendevo rinfrescare il mio quasi obliato inglese dovendo andar presto a Londra per la season, in casa di una lady molto quotata presso la contessa, e cominciai, infatti, a fare lunghe chiacchierate alternate con letture dei migliori scrittori inglesi, ch'ella conosce molto bene, con la pallida donnina, trasfigurata dalla gioia.

Era un'anima. E il contatto con un'anima che ha sofferto, che si è maturata all'aspra scuola del dolore senza esserne avvelenata, è una cosa che commuove anche chi sia avvezzo a passare il tempo tra le frivole categorie della gente che non sa far altro che godere e che ha orrore di una sola cosa al mondo: di prendere la vita sul serio.

Parlo con me stesso, scrivo per me stesso. Perchè mentirei? Il mio sentimento per miss Rhoda non era fatto che di pietà. Un tramonto triste, un tramonto sincero, che non si difendeva. La contessa non è più giovane di lei. Ma le sapienti cure al suo corpo, gli abili ritocchi al viso, la toilette raffinata, le arti della più ricercata civetteria, la gran posizione, tutto l'insieme la ringiovanisce.... e non mancano, come ho detto, ammiratori a quello splendido vespero saturo ancora degli aromi del giorno. Invece, quella ormai vecchia signorina senza artifici, vestita per forza con la semplicità di una ragazza ventenne, costretta ad uscire sotto il gran sole crudele, col confronto continuo di sfolgoranti giovinezze, costretta, dalla serietà della sua posizione e anche dal suo schietto carattere, a non cercare attenuanti al suo declinare.... quella povera signorina non poteva possedere per me nessuna attrattiva sessuale. Con un precettore, nelle sue condizioni, credo sarei stato ugualmente amichevole. Provavo un gran piacere in quel novissimo esercizio di bontà verso una donna, che non mi fosse parente. Fino ad allora non avevo mai guardato il sesso gentile altro che come una possibile preda. Le qualità fisiche sono le sole che mi attraggono in una donna, lo confesso. La troppa virtù m'intimidisce, la troppa intelligenza mi è antipatica; la simpatia fisica è quella che ha sempre determinato in me la scelta di una donna: la donna come amante, come compagna nel ballo, nel gioco, nella conversazione, in ogni contingenza della vita. Facendo ciò, s'intende, ho sempre servito il mio egoismo e non avrei mai creduto il mio io suscettibile di una forma di altruismo, in ciò. Me ne resi conto, e rammento ch'io feci la psicologia di me stesso (la più difficile di tutte le psicologie) così: "Io non considero miss Rhoda una donna, nel significato solito. Essa è per me una creatura umana che soffre, che desta la mia compassione, e mi piace esserle benevolo del mio fraterno interessamento". Avevo anzi la piccola vanità segreta dell'opera buona che compivo. Nessuno mi aveva ancor detto che sono cavalleresco, che ho un nobile cuore, che sono un vero signore di razza non solo nelle maniere esteriori, ma nella delicatezza dei sentimenti; e tutto ciò, essendo inedito, mi faceva un piacere intimo che non mi dànno più altre e maggiori soddisfazioni di amor proprio mascolino.

Ella era veramente un'anima attiva e fuori del comune; una natura ardente spiritualmente, mistica, appassionata e dolorosa, una piccola sensitiva che la vita aveva stritolata in mille modi nei suoi aspri congegni. Mi raccontò subito la sua storia, con quel caldo e pur semplice accento di verità che non ammette miscredenti. Ricordo press'a poco le sue parole: "Sono nata a Londra, figlia di un professore di lettere dato specialmente agli studi shakesperiani. Mio padre è un uomo colto, austero, rigido protestante, un nobile spirito che io ho molto amato e che rimpiango di aver fatto soffrire. È ora vecchissimo e so che non mi ha perdonata. Io fui tratta da letture, da un'amicizia, da inclinazione personale, verso la religione cattolica, e credetti di dover seguire l'ordine della mia coscienza che mi comandava di passare a quella religione. Avevo diciotto anni. Attraversavo una crisi di fervore mistico che mi chiamava alla vita claustrale. Mio padre fu inflessibile. Era agiatissimo e padre di numerosa prole. Mi diede la mia parte, cinquantamila lire, e non volle vedermi mai più.

"Dopo qualche tempo di noviziato religioso, fui mandata in Italia, a Roma, in un convento di monache. Non avevo ancora pronunciati i voti, per fortuna. È strano: Roma, la città del Cattolicismo, la sede del Cristianesimo, operò sul mio spirito una rivoluzione. Attraversai una crisi di paganesimo.... ma nel senso estetico, nel senso migliore. M'innamorai dell'arte, della bellezza, aspirai alla mia libertà individuale, mi accorsi che non ero nata per la vita del convento, per la comunanza con creature così diverse da me. Ebbi orrore dell'ipocrisia umana, vista collettivamente, e volli liberarmi. Uscii dunque a rivedere il sole e le stelle (avevo ventiquattro anni), ma mi fu impossibile ricuperare più della metà della mia sostanza. Il resto fu inghiottito irreparabilmente dall'Ordine e un onesto avvocato mi consigliò di venire ad una transazione se non volevo perdere anche il resto. Dovevo lavorare per guadagnarmi il pane. Diedi lezione di musica e d'inglese, feci copie di quadri nelle gallerie. Ma ero allora fresca e non brutta e la lotta per mantenermi onesta mi snervava e mi avviliva.... Andai innanzi così, salvata dal mio orgoglio, diversi anni. Poi conobbi un cattivo soggetto che, rivolgendosi alla mia pietà, seppe conquistare il mio cuore, e riuscì a farsi accettare come fidanzato. Aspettava una posizione che non veniva mai.... e io lavoravo per lui, non ho vergogna di dirlo, perchè ero in buona fede, perchè lo amavo immensamente, perchè lo credevo buono ed onesto.... e non era il mio amante! Un bel giorno egli seguì all'estero una vecchia ricca, lasciandomi nella più amara disillusione che creatura umana abbia mai provata al mondo! Credetti morirne. Invece vissi. Ebbi orrore della solitudine e pensai di collocarmi come istitutrice. Avevo trent'anni. Stetti un anno in una casa in cui le scostumatezze del signore mi obbligarono a dare le mie dimissioni. Poi venni qui.... e la mia vita è, da parecchi anni, quella che voi vedete....". Ella era così triste, così sconfortata, così piena di nostalgia di un po' di felicità, che mi serrava il cuore. Non era un'eroina e si rendeva conto che tutto quello che accadeva in quella casa, sotto i suoi occhi, non era esemplare. L'educazione delle ragazze non le piaceva, la vita della contessa le piaceva ancor meno.... eppure non aveva il coraggio di ritentare la sorte, visto che aveva innegabili vantaggi materiali ed il riposo morale. — "Il riposo!" — ella diceva — "com'è poca cosa, però, per chi ha tanto desiderato la felicità! Poca, breve, passeggera, ma un poco di felicità, anche per me! come l'ho desiderata! Ma adesso, è tardi...." Diceva quelle parole con una voce così commossa, con un desiderio così struggente che mi straziava il cuore. La sua vita era tutta un rammarico. Diceva: "Forse la colpa è anche mia. Non ho saputo scegliere la mia strada e ho trattato male tutti coloro che ho amato. Ho scontentato mio padre, che veneravo; non ho saputo servire Dio, nel quale credo fermamente. Per l'arte non ho avuto abbastanza ingegno pazienza. Avevo due o tre uomini che si occupavano di me, e scelsi il peggiore. Adesso non amo più nemmeno il prossimo.... perchè la felicità altrui mi fa soffrire!"

Mi domandavo qualche volta a quale specie di bene ella aspirasse, e una volta lo domandai a lei, nelle nostre ore di esercizio d'inglese, in un cantuccio del grande hall, tra le piante e i fiori ch'ella disponeva così artisticamente (era una delle sue mansioni). Ella mi disse: "Oh amico mio! Ma la sola felicità ch'io possa chiamare con questo nome è quella d'amore! Io sono nata amante.... e morrò di fame, di sete d'amore! Non è soltanto il rimpianto dello svolgimento naturale della mia vita fisica.... il rimpianto d'essere ormai nel mio autunno senza essermi formata una famiglia. Il ragioniere del conte, un uomo onesto, sano, di cinquant'anni, agiato, mi sposerebbe, se lo volessi, e per i miei meriti, logicamente, dovrei accettarlo. Ma no, ma no! Io volevo conoscere l'amore, l'amore bello, l'amore che avevo sognato, l'amore dei poemi e dei canti, quello di Romeo e di Tristano.... quello di cui udivo le storie fin da piccina, sotto il cielo grigio del mio paese, quello di cui ho avuto l'intuito in Italia sotto questo bel sole d'oro, e del cui desiderio vano morrò...".

Non aveva pudore, eppure era così sincera, così ardente e così casta insieme, che destava rispetto. Diceva anche: "Non vi scandalizzate, amico buono. Io mi pento amaramente della mia passata rigidezza di vita. Un tempo ero giovane e quasi bella, e molti mi chiedevano amore. Io volevo un marito. Avevo torto. Avrei dovuto contentarmi di un amante, giovane e bello come me, che m'insegnasse la gioia. Un marito, secondo il mio desiderio, nella mia condizione, non si trova facilmente. Un amante si trova sempre, quando si è giovani. Un po' di morale di meno, un po' di gioia di più. A chi avrei fatto danno? A nessuno. E non avrei nel cuore quest'amarezza struggente..., il sentimento tormentoso del tempo che fugge, del fiore della vita che si sfoglia giorno per giorno.... il senso irrimediabile e pauroso del "troppo tardi".

Quando parlò così, quella volta, nel remoto angolo delle mortelle, accanto alla musica fioca della fontana, sul banco che ci accoglieva vicini, era quasi sera, un po' di rosso del tramonto filtrava tra le pareti verdi, accendeva i capelli di miss Rhoda, ch'era vestita di bianco, e teneva le mani abbandonate sulle ginocchia.... Non piangeva perchè il suo dolore era così profondo, così materiato di lei stessa che non poteva sciogliersi in pianto. Allora io, vinto dalla pietà, baciai sulla fronte, sugli occhi, sui capelli quel dolore umano che mi faceva male....

 

§

 

Nei giorni che seguirono, se un piacere, se una piccola ebbrezza io provai fu quella di vedermi accanto tanta mesta gioia, se posso dire così, e tanta riconoscenza. Io mi sentivo veramente un benefattore, un creatore di felicità, e ne ero soddisfatto. Ricordavo di aver molto riso una volta leggendo di una gran dama francese, di leggeri costumi, che spiegava così la facilità con la quale concedeva i suoi favori: "Ça me coûte si peu et ça leur fait tant de plaisir!". Il mio caso era press'a poco lo stesso; solo, non mi pareva immorale ridicolo.... Il bene da me largito era più spirituale ancora che materiale. E nessuna ipocrisia in me. Nessuna parola d'amore pronunciavo mai con la mia amante, nei nostri incontri notturni. Io andai da lei tutte le notti, nel tempo che ancora restai alla villa: la triste camera dove quel verginale autunno sfioriva dolorosamente, nella desolata solitudine, fu per lei camera nuziale benedetta di cui il ricordo radioso sorriderà al resto della sua vita.... Ma ella ben comprendeva che il nostro duetto non poteva essere altro che breve, come quell'ultimo splendore d'ottobre che colorava la distesa del parco.... Capiva il mio stato d'animo, il mio sentimento verso di lei, ne sono certo.... Si faceva forse qualche illusione, perchè è nella natura umana di illudersi sempre almeno un poco sul conto proprio, ma sentiva che con la mia partenza si sarebbe chiuso per sempre quello che per me non era che un fugace episodio di clandestina sentimentalità, e per lei la luce di tutto il resto dell'esistenza. Fu intelligente, discreta, fine, comprensiva, rassegnata e pure così felice, povera creatura, che io veramente le volli bene, col cuore, con la parte migliore di me, con quella misteriosa ed elevata parte del nostro essere che tace quasi sempre nelle più gaudiose ore del nostro volgare piacere. Il contentamento interiore che io provavo somigliava, mi pare, a quello che si prova prestando ad un amico bisognoso una cospicua somma; oppure salvando qualcuno da un pericolo con pericolo nostro; non so, qualche cosa di simile. E nessuno scrupolo mi pungeva di aver abusato, come si suol dire, dell'ospitalità. Oh santo Iddio! In altre ali della villa doveva succedere, o essere successo ben di peggio.... La contessa ha tutta una storia, le figliuole non aspirano che ad averne una.... Glissons.... Speravo però nel segreto della mia avventura. Ma una notte incontrai in un corridoio una cameriera gelosa, che mi si era offerta invano.... che certo mi spiò e chiacchierò. Vidi il giorno appresso tre visi furibondi di donne disilluse, umiliate e inferocite. Nessuna parola.... ma un contegno che mi fece abbreviare di ventiquattr'ore la mia permanenza alla villa. Miss Rhoda il giorno stesso, col pretesto di un viaggio a Londra per pacificarsi col vecchio padre, diede le sue dimissioni, prevenendo il sicuro congedo. Ma nessuno le parlò, perchè l'ira gelosa, lo sbalordimento, l'offesa vanità delle tre signore preferì il silenzio.

Ella è ora lontana, nella sua grigia Inghilterra che lasciò a vent'anni, in cui ritorna più di vent'anni dopo, col fardello di molto dolore.... ma con un luminoso, insperato, recente ricordo di gioia.... che le terrà sempre buona compagnia. Crederebbe forse di sognare se non portasse con il mio ritratto e un anello che certo non l'abbandonerà nemmeno sotterra.... Ella diede a me, piangendo, una rosa thea un po' sfiorita, che odorava delicatamente ancora, simbolo e ricordo.... E la conserverò. Purtroppo non è ricco il museo dei cimelii delle mie buone azioni, fino ad ora....

Ed ecco che qualche cosa è venuto a guastarmi questo delicato ricordo intimo, questo episodio dalle sfumature un po' complicate e forse perciò più interessante di quelli che capitano tutti i giorni.

Stamane ho incontrato, al Club, quel nefasto corruttore di giovani che è Piero Pinamonti. Corruttore spirituale, più dannoso d'ogni altro. È uno di quegli intelletti distruttivi che sembrano nati dagli amori ancillari di qualche Mefistofele. Negano tutto, sorridono di tutto, avvelenano col dubbio tutto quel po' di bene che pure non manca al mondo. La nostra generazione ha molto sofferto della scuola di quegli uomini , più vecchi di noi di vent'anni, che sembrano essersi assunto il còmpito di educare all'ateismo religioso ed umano. Io, da qualche tempo, dopo averlo subìto, mi sono emancipato dalla sua tirannia. Penso con la mia testa, studio uomini, cose.... e donne con metodo mio, ribellandomi alle sue premesse ed alle sue conclusioni. È stata una liberazione difficile.... ma il mio fondo era, è ottimista, e volevo essere me stesso, non già la copia di un altro. Stamane, dunque, facevo colazione al Club ed egli, senza mio piacere, è venuto a sedersi al mio tavolino. Capivo dalla sua faccia ch'egli "sapeva". Le mie maniere secche lo hanno tenuto un poco in soggezione. Poi, riprendendo quella confidenza che disgraziatamente io gli avevo concessa, dopo un discorso grasso che si faceva a proposito di un amico comune, egli mi ha detto a bruciapelo: "E tu, giovane degenerato, non mi racconti le tue gesta? Se n'è parlato a perdita di fiato, sai? e....". L'ho interrotto: "Prego, caro. Non facciamo scherzi di cattivo genere. Non ho storia in questo momento e non permetto romanzi sul conto mio". — "Oh, oh, oh!..." ha fatto con quel suo risolino tagliente come una piccola arma proibita. Non fare il diplomatico con me. So, e da buona fonte. Dimenticherò, se lo desideri.... Ma lasciami dire due parole....".

"Auff!" ho sbuffato. "Insopportabili spioni, cronisti falsi, corvi del male altrui! La nostra società è solo questo...."

— "Sei amaro. Ma senti. Una cosa m'impensierisce per te. Eri in una villa di delizia, in un vero harem occidentale di belle donne.... Avresti potuto navigare a gonfie vele con donna Clara, bordeggiare piacevolmente con Tancia e Mirette, esercitarti con la ciurma di due cameriere gustosissime.... e vai ad annegarti con una magra spinster malinconica.... buona per fare il ed imburrare il pane.... o per fare da mezzana alle sue padrone!"

"Piero! tu menti e sei un villano! Non mi divertono i tuoi discorsi di vecchio cinico." E mi sono alzato.

Egli, imperturbabile, mi ha detto dietro: ".... è più grave di quanto avessi supposto. Sei ancora innamorato.... e sei ridicolo!"

Io gli ho gridato: "Sei pazzo!"

Egli mi ha rincorso amichevole e conciliante, ha messo il braccio sotto il mio: "No, guarda, lasciati spiegare il mio pensiero.... lasciati rivelare a te stesso. Non hai più fiducia in me, da qualche tempo, ma hai torto. Bisogna saper guardare in faccia la verità, da buoni filosofi, da bravi soldati della vita...."

Io ho tentato ancora di ribellarmi, di sfuggirgli: "No, ti ringrazio. Non ho bisogno di rivelazioni. Ho la mia filosofia, che mi basta. Ho fretta, ciao....". Non c'è stato rimedio. Egli ha continuato, inesorabile, accompagnandomi verso casa mia; e tanto ha fatto, tanto ha detto, tanto insistito (sapeva la storia, e negargliela era impossibile) ch'io mi son lasciato andare a narrargli con l'antica deplorevole abitudine di confidenze, il mio caso psicologico, il mio stato d'animo particolare in quell'episodio che mi ostino a non voler chiamare erotico. Egli ha ascoltato, riflettuto, non sorridendo più, poi ha concluso: "Tu sei in buona fede. Ti ammiri.... e ti consideri quasi un eroe. In te prevale il sentimento, come più volte ti ho detto.... Tu hai bisogno di sentirti moralmente bello.... Ma devo dissuaderti, sai? Abbi pazienza. Nelle relazioni sessuali l'altruismo non è possibile. È una funzione di assoluto egoismo. Non protestare, è così. Sosterresti l'assurdo. Noi possiamo costringere la nostra ripugnanza a curare un lebbroso, ma non già il nostro essere ad amare una creatura che non ci attrae. Dunque tu, che ti credi l'eroe di un umanitarismo di nuovo genere, vuoi sapere perchè hai consolata la tua piccola inglese? Perchè te ne sei innamorato. È strano, è inverosimile, è mostruoso.... ma è vero. I tuoi magnifici venticinque anni di bel giovane adorato dalle donne hanno avuto una parentesi (la spero tale!) di anormalità e di precoce degenerazione. Tu hai amata e desiderata una donna brutta e vecchia, tra uno stuolo di donne belle che ti si offrivano....".

E come eravamo giunti innanzi a casa mia, e ch'io sono entrato con un gesto d'impazienza, dicendogli: "Imbecille!", egli mi ha mandato dietro un: "Ciao, caro!" ed una risatina canzonatoria, che mi ha dato l'impulso di tornare indietro e di appioppargli un ceffone....

Invece sono qui alla mia scrivania, e medito sul mio caso. Sono nervoso, scontento, turbato, disilluso su me stesso, perchè temo forte che quel cinico della malora, ch'io ho violentemente smentito, abbia detta la verità!...




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