Due anni innanzi, la partenza
della contessa Parisini Guidi dalla casa maritale per infedeltà del marito era
parsa a tutti un bel gesto. Nuovo, originale, chic. Sì, perchè è molto
raro che una donna, specialmente una dama, dia tanta importanza alla fedeltà
coniugale. Una signora si divide dal marito se egli la maltratta, se sperpera,
se.... essa lo tradisce.... ma quasi mai se egli la tradisce. Cose che
accadono, bazzecole, vento che passa, onda che va.... Ecco perchè la fuga dal
palazzo Guidi della giovane contessa, parve una bella e ardita novità e divertì
il pubblico, il quale applaudì come si applaude uno spettacolo che piace. Ma
adesso, dopo due anni, a giudizio maturo, dietro ponderata riflessione, la
gente cominciava a pensare e a dire che la contessa Parisina avrebbe fatto bene
a perdonare al consorte e a rientrare sotto il suo tetto. Cristianamente,
socialmente, femminilmente avrebbe dovuto perdonare. L'opinione pubblica,
insomma, avrebbe voluto la riconciliazione dei coniugi Guidi. Perchè? Ma! Così.
Perchè la gente avrebbe giudicata divertente, dopo la burrasca, quella
soluzione pacifica, riposante e morale. Dilettantismo di mutamento, egoismo
collettivo, amore di emozione e di quieto vivere insieme.... in un fondo di
cinismo e di meneinfischismo dei mali altrui.
Questa la "galleria".
Ma le "prime parti", accanto alla contessa, erano d'accordo con la
galleria, anzi rappresentavano i corifei del lontano coro.
I genitori di Parisina avevano
accolta la figlia a braccia aperte nella loro casa, coi due piccini, al momento
della "fuga": l'avevano compianta, approvata, curata (perchè era
stata molto male), trattata come se fosse ancora giovinetta, in casa sua.
Sì, certo, senza dubbio. Ma ora,
passata la prima terribile esplosione di dolore e di delusione, passato il
periodo di abbattimento, tornata la salute fisica, passati gli eventi al filtro
della riflessione.... i genitori pensavano che la loro figlia dovesse tornare
con suo marito. Essi cominciavano ad invecchiare, e quello scombussolamento
improvviso delle loro abitudini dolcemente tranquille, aveva durato anche troppo.
Maritata la figlia nella stessa città, essi prendevano tutto il buono ch'essa
poteva loro dare.... le care visitine, le carezze dei bei nipotini, una folata
di tenerezza e di giovinezza, ogni tanto, anzi ogni giorno, a piccole piacevoli
dosi; poi l'ordine perfetto, le care abitudini, il bridge serale, i
pranzi eccellenti con gli amici buongustai, le partenze a date fisse per la
campagna, pei piacevoli viaggi verso i paesi del sole.
Ora tutto era capovolto. Una
invasione di bimbi, di nurses, di abitudini diverse; e la figliuola
sempre triste da consolare, da accompagnare.... Un vero finimondo!
La madre diceva alla figlia: —
Mia cara bimba, se non c'è nessuno che abbia il coraggio di parlarti, lo avrò
io questo coraggio, perchè si tratta del tuo bene. Sì, lo so, lo sento, nessuno
più di me ti comprende e ti compiange. Ma, dopo tutto, siamo cristiani e ci
dobbiamo regolare secondo gli insegnamenti della religione in cui siamo nati.
Tuo marito è pentito dell'offesa che ti ha fatta. Ti chiede perdono. Tu glielo
devi accordare. Devi questo a te stessa (se non a lui) ed ai tuoi bambini. Tu
non hai il diritto di privarli della loro casa, della loro famiglia, della
serenità del focolare. Pensaci. Ti parlo pel tuo bene.
Parisina rispondeva: — Non
posso. — E non le si cavava di bocca più di così. Il confessore la
catechizzava, ed ella rispondeva: — Non posso. — Le amiche più intime la
esortavano ed ella rispondeva: — Non posso. — Il suo medico l'ammoniva ed ella
rispondeva: — Non posso.— Il suo vecchio amico prediletto, il confidente più
vicino al suo cuore, le diceva le parole della sua saviezza. Ma ella
rispondeva: — Non posso.
A questi però diceva qualche
cosa di più. Sì, qualche volta, quando le pareva di avere una pietra sul petto
o quando le pareva d'essere sull'altalena, nel momento della discesa, quando lo
stomaco sembra svuotarsi.... e si è lì lì per mancare.... Allora piangeva o
parlava. Ma solo col suo vecchio amico, il più intelligente, il più sensibile
di tutti, sotto quella sua maschera elegante di filosofo pessimista.
— Perchè mi parla di perdono,
lei, padrino? Mi spieghi prima cosa vuol dire perdonare. Rinunziare alla
vendetta o al castigo. È così? Ciò poteva essere (in altri tempi) un atto di
clemenza e di bontà. Ma ora che non si tratta più nè di vendette nè di
castighi, cosa vuol dire perdonare? Dimenticare le offese? Ma dimenticare non è
in nostro potere. Quell'uomo al quale avevo dato tutto, nel quale credevo come
in un Dio, che adoravo, pel quale avrei dato la vita, mi ha offesa mortalmente
nel mio amore e nella mia fede, preferendomi una donna che non mi valeva,
mentendo, avvelenandomi il cuore, uccidendo la mia fede nel bene, rovinando la
mia gioventù, sostituendo l'amaro del fiele a tutte le dolcezze del mondo.... E
vuole che io dimentichi questo? Odio quell'uomo. Come posso perdonargli?
— No; lo ami — diceva il vecchio
amico tristemente.
— Forse. — Sospirava essa con un
guizzo di disperazione negli occhi.
— La tua sventura, figliuola
mia, è quella di accordare soverchia importanza al tuo cuore, di farne il
fulcro dell'universo. "Rimpicciolisci il tuo cuore" dice la saggezza
cinese. Il cuore è un piccolo muscolo importuno e pieno di eccessivo,
incosciente egoismo.
— Egoismo! — ella protestava. —
Avrei date mille vite per lui!
— Ma al patto di averlo tutto in
tua mano, anima e corpo. Forse codesta è un'esigenza innaturale e troppo
superba, da parte di una donna. L'uomo ha una libera anima e un libero
corpo.... La natura lo ha fatto così.... e non può essere prigioniero di una donna,
neppure amandola....
Ella diceva: — Non so cosa
rispondere alla sua filosofia. Io non ho obbedito e non obbedisco che al mio
sentimento. Davo tutto e volevo tutto. L'amore vero e grande vuole il
contraccambio assoluto. Anche una donna ha la sua gelosia, la sua dignità, il
suo onore e il suo dolore. Peggio per chi non lo capisce. Ho troppo patito per
poter dimenticare!
— Tu ami ancora tuo marito. —
Concludeva il vecchio amico.
Ella non replicava.... perchè il
suo povero cuore temeva che fosse proprio così.
§
Così sciupata di dentro, la
contessa Parisina, e così graziosa di fuori!
Il dolore aveva data ai suoi
grandi occhi scuri una nuova intensità di sguardo e una profondità vellutata
che spiccava a meraviglia sulle guance assottigliate e pallide di madonnina un
po' manierata, un po' troppo bella, di Carlo Dolci. Adesso l'uragano passando
su quella sua troppo composta, troppo geometrica bellezza, vi aveva portato un
poco di artistico disordine. A qualcuno essa ricordava, ora, i ritratti della
grande appassionata Rachel, con quella piccola fronte convessa che era la sola
linea un po' irregolare del suo bel profilo.
Le donne, con gioia, la
giudicavano invecchiata. Gli uomini, con altrettanta gioia, la giudicavano più
interessante. A furia di sentirselo dire, cominciò a trovarci un po' di gusto.
Ma non per piacere ad essi: per sè. Le dava qualche soddisfazione, la divertiva
blandamente d'essere carina. Prima le piaceva d'essere carina solo per lui.
Adesso voleva esserlo solo per sè. Gli uomini, individualmente, le facevano
schifo. Per uno di essi aveva sofferto tanto che faceva responsabile delle sue
pene tutta la corporazione mascolina. Ma gli uomini, come massa anonima, come
platea, allora sì.
Ricominciava, dopo due anni, a
frequentare il "mondo", sempre con sua madre, o con suo padre, o col
padrino. Andava ai teatri, ai concerti, alle letture. Le piaceva un poco (solo
un poco, come si conviene a dolentissima, disillusa donna) d'essere guardata,
ammirata, corteggiata.
Dopo l'interessamento pei suoi
bambini (da prima — benchè li avesse rapiti nella stessa automobile della sua
fuga, come pecorelle insidiate da un lupo — non si poteva occupare con gioia
nemmeno di essi), al ritorno dell'equilibrio nel suo povero essere turbato, il
primo suo svago fu quello di coltivare la sua persona.
Il suo amor proprio non aveva
sofferto consciamente, perchè l'amore vero è più forte dell'orgoglio e della
vanità. Ma ora, a poco a poco, tornava a galla, anche quello, e poichè era
stato ingiuriato e calpestato, aveva bisogno di consolazione e di
riabilitazione. Non era dunque giovane, bella, desiderabile? Ma sì. Se suo
marito l'aveva disdegnata e umiliata.... tanti altri l'ammiravano e sarebbero
stati disposti ad amarla. Questa sicurezza bastava alla sua vanità. Amare? Mai
più! Era una donna a passione unica, una donna di castità e di fedeltà. Fedeltà
a chi, ormai? A se stessa. La fedeltà le pareva la vera nobiltà dell'amore. Le
pareva che la sua durata rappresentasse il suo blasone. Se può e sa durare a
lungo, l'amore è un gentiluomo. Se passa, è un volgare plebeo. Nella sua
inconsciamente aristocratica maniera di pensare e di sentire, le pareva di non
poter bollare l'infido amore peggio di così. Era una donna a passione unica, a
uomo unico, cui il bis nell'amore, anche legittimo (supponendo che suo
marito fosse morto) sarebbe parso un adulterio ed un sacrilegio. Si nasce una
volta, si ama — così — una volta, si muore una volta. Essa sentiva che
la vita dell'anima e del senso era per lei finita. E non aveva ancora
trent'anni!
Però, a poco a poco, il suo
dolore si raddolciva, perdeva, per dir cosi, gli angoli acuti; la sua salute
rifioriva, la calma (una calma triste, quasi un pacato sentimento di precoce
vecchiezza) entrava nel suo cuore. Aveva i suoi figli, che il padre, almeno in
ciò onesto, non le contendeva. I suoi due figli da amare, da educare.
Sì, ma è retorica l'affermare
che alle donne giovani bastino i figli per la loro felicità. No. La felicità di
queste è fatta di mille svariate cose. I figli bastano alle madri quando esse
sono vecchie, allora che la loro maternità è fatta di ricordi, di rinunzie e di
quella tragica tenerezza che tutto dà e nulla chiede.
La contessa Parisina cominciava
a riattaccarsi alle diverse consolazioni che le offriva la vita. La ricchezza
(aveva la sua larga dote di cui il marito non toccava più un soldo), i viaggi,
la toilette, la beneficenza, questo sport del sentimento, che
somiglia al tennis, al canottaggio, alla pesca e via dicendo. Pescare
qualche fresca trotella in un lago azzurro, dà, a certe donne, press'a poco la
stessa emozione che loro dà il visitare un povero a domicilio, avendone
ringraziamenti e benedizioni....
Il piacere dell'abbigliamento la
prese e la sedusse in modo speciale. Era sempre stata elegante, in quella
maniera che consiste nel farsi vestire dai migliori sarti, secondo gli
ultimissimi modelli. Eleganza un po' comune, impersonale, che fa sembrare le
donne, in certe riunioni, un vasto collegio (molto laico) di cui ognuna rivesta
press'a poco la stessa uniforme. Ora la contessa Parisina si stava facendo una
linea sua, originale ma seria, fuori del comune ma sobria e composta. La sua
personcina flessibile, la sua piccola testa espressiva ed altera ch'essa
portava sul collo bellissimo, come le antiche canefore portavano le loro paniere,
davano squisito risalto all'abbigliamento. Aveva il piccolo genio del buon
gusto. Possedeva il senso della linea e del colore e portava i vestiti con
semplice grazia istintiva, come se fossero la sua stessa pelle. Gli uomini
forse non sanno (meno pochi raffinati) quali delizie possano dare al corpo
femminile le carezze degli indumenti. Anche alle donne d'ingegno superiore, se
restano vere donne. I bei tessuti dolci a toccarsi, i merletti, i veli,
le gemme, gli effetti di luce, i lievi fruscii delle stoffe, i profumi,
compongono un tutto così deliziosamente divertente e voluttuoso, che le persone
serie hanno il torto di disprezzare.
Il piacere che prova la donna
nel vestirsi ed ornarsi non deve essere solamente spiegato dall'atavica e
permanente tendenza della femmina ad abbellirsi per piacere al maschio. No; nei
piaceri dell'abbigliamento c'è della personalità e dell'intelligenza, ci sono
delle aspirazioni d'arte incosciente ma innegabile. In questa manifestazione di
finezza e di esteticismo la donna supera l'uomo (le eccezioni non contano) e ne
ha godimenti che esorbitano dal giudizio sommario di "vanità" che di
questa passionale tendenza donnesca dànno gli uomini.
Parisina, mollemente avvolta
nelle sue dolci sete, si consolava a poco a poco e blandamente si rasserenava.
Ma la sua dolce malinconia ancora si esasperava quando coloro che l'amavano
andavano a parlarle di perdonare al marito infedele. Ora rispondeva con minor
violenza, senza impallidire fino alle labbra come un tempo faceva. Diceva
freddamente: — No, è inutile, non posso, non voglio. Sto bene, sola. Riunirmi
al conte Guidobaldo Guidi, perchè? Sarebbe una finzione inutile, una
mascherata. No! No!
I suoi piccini l'adoravano, le
amiche le volevano bene perchè era infelice (alle persone che si credono felici
nessuno mai vuole bene), l'equilibrio si andava ristabilendo nella sua vita. Ma
i suoi genitori trovavano che era troppo giovane, troppo bella, troppo elegante
per andare nel mondo come ora faceva, sola o accompagnata da cavalieri non
consanguinei.
Parisina andava in società solo
per indossare i bei vestiti che la rallegravano, per farli ammirare e anche un
po' invidiare.... perchè no? Degli uomini continuava a non curarsi. Quando non
la disgustavano addirittura, le erano indifferenti. Aveva solo bisogno di pace,
aveva paura del dolore, aveva un unico desiderio: la calma. Quel vigliacco
desiderio di calma, di riposo, di oblio, che diventa l'unica aspirazione delle
creature che hanno molto sofferto e che non s'accorgono che il riposo perfetto
dell'anima è la morte nella vita!
Il tempo passava, il pietoso
tempo che è balsamo, cotone, ristoro pei mali che bruciano. A poco a poco il
male di Parisina non bruciava più.... Ella lo sentiva addormentato,
cicatrizzato, e se ne ricordava solo ogni tanto, come di quelle ferite che
dolgono quando muta il tempo. Che bellezza! non le doleva più il petto, proprio
fisicamente, come un tempo, quando pensava a suo marito. Cosa sentiva? Nulla.
Rancore? Rimpianto? Nostalgia? Nulla. Nulla. Non soffriva più. Non le importava
più. Guarita dall'amore e dal dolore! Che benessere provava! Un benessere dolce
di convalescente, che torna alla salute. Una vita senza vita, sì. Ma quando si
è giovani e belli e sani e ricchi, la vita ha sempre qualche risorsa, qualche
piccola dolcezza, anche senza quella stupidissima, malefica cosa che è l'amore!
§
Passavano i giorni, calmi,
sereni, quasi lieti, per la contessa Parisina Guidi, torre d'avorio,
disperazione de' suoi malcapitati spasimanti. Suo marito cui ella aveva
reiteratamente rifiutato il perdono in cinque anni, aveva viaggiato, aveva
lavorato, aveva anche vissuto ore di gaudio volgare, pure portando vivo nel
cuore il ricordo di sua moglie (che amava ardentemente dacchè l'aveva tanto
fatta soffrire) e la speranza di riunirsi un giorno a lei. I ripetuti rifiuti
di perdono lo avevano afflitto ma non scoraggiato. Diceva tra sè e con gli
ambasciatori sfortunati: — Adesso mia moglie non mi ama più. È offesa nel suo
amor proprio e il suo carattere è ostinato. Ma un giorno mi amerà ancora. Non
perdo la speranza anzi la fede. Mi ha tanto amato che mi riamerà, e allora mi
perdonerà.
E dell'avviso del conte
Guidobaldo Guidi erano anche i parenti di Parisina e gli amici che più le
volevano bene. Tutte persone che si credevano astute e forti in quella scienza,
più astrusa della matematica, che si chiama psicologia.
Dàlli e dàlli, prega e riprega.
Alti personaggi adoperati come intermediari: prelati, uomini politici, come per
una mondiale conferenza della pace! In fondo, si trattava di ritornare
semplicemente sotto il tetto coniugale disertato cinque anni innanzi. I figli
avevano il diritto di crescere nella loro casa. Ella poteva accordare al marito
pentito e ravveduto (che aveva compiuto un pericoloso viaggio, che aveva
perfino scritto un libro) il suo cristiano perdono, andando a vivere con lui,
almeno, come una buona sorella. Era ormai il suo preciso dovere.
Ella non rispondeva. Ma tutto
faceva supporre che essa stesse per capitolare.... e che più miti sentimenti le
tornassero in cuore verso l'uomo che tanto aveva un tempo amato, poscia odiato
e vituperato.
Allora qualcuno consigliò al
conte Guidi di presentarsi risolutamente a sua moglie per ottenerne, quasi per
sorpresa, il tanto sospirato perdono. Egli andò, quasi in aria di
conquistatore, forte del suo antico potere su quella donna, ancor bello benchè
un po' invecchiato, soddisfatto nel suo amor proprio, acceso di rinnovato
amore, fatuo come tutti gli uomini che si sanno molto amati, lieto che il suo
pronostico si fosse finalmente avverato....
Gran signore di maniere,
elegante, di mediocre animo, con un po' di goffaggine sulla consueta
disinvoltura, con un po' di vera commozione in fondo al cuore, si presentò a
lei un giorno, e disse, dopo averle baciato la mano, inchinandosele
profondamente: — Sono venuto, dunque, mia cara, e prendere la mia assoluzione.
Ho aspettato quasi come Giacobbe! Ma.... lo sapevo che tu mi avresti amato
ancora, presto o tardi, e che mi avresti perdonato!
Parisina era commossa.... perchè
aveva avuta una terribile paura di commuoversi! Invece, nulla.... o quasi
nulla! Un piccolo sbatter d'ali, un soffio, un tonfo.... poi più nulla! Che
felicità! Suo marito era là davanti a lei come un altro uomo qualsiasi.
Si sentì forte, padrona del suo destino, più forte di lui. Sì, perchè sentì che
per lui non avrebbe sofferto, nella vita, mai più! Quella sicurezza
fasciava il suo spirito di forza e di serenità.
Era in piedi, accanto ad una
gran tavola coperta di un broccato giallo sul quale si allineavano alti vasi
d'argento, pieni di gladioli multicolori, battaglieri come lancie in resta. Era
il suo piccolo salotto di fanciulla dove lo aveva ricevuto per la prima
volta.... Lo accolse in piedi: non si sedè e non lo fece sedere.
Indossava un molle vestito di
crespo di un soavissimo colore violaceo con larghissime maniche, e una piccola
cintura cadente. Monacale e seducente, languida e austera insieme. Il suo
vestito era uno stato d'animo.
Preparandosi, dianzi, al colloquio,
pensava che non avrebbe detto nulla a suo marito; non provava per lui nessun
sentimento, nè buono, nè cattivo. Egli non esisteva più per lei. Era caduto giù
dal suo pensiero e dal suo cuore come un frutto che cade da sè, così, perchè
l'albero non lo regge più....
Allora? Non sapeva le parole di
quello strano stato d'animo. Voleva tacere. Invece parlò. Ubbidì ella ad un
impulso di tardiva vendetta? Ubbidì all'interiore comando di una necessaria
sincerità? Disse:
— Io vi perdono, sì, Guidobaldo.
Posso finalmente perdonarvi perchè.... non vi amo più.
La cosa ch'ella aveva detta era
troppo finemente profonda per la comprensione del conte, che era difeso da un
solida fede in sè stesso.
Egli sorrise incredulo, ma sulla
sua bocca apparve una piega di delusione e di perplessità che male nascondeva
un improvviso dubbio.... forse il principio di un tormento.
Ella pensò: — Egli sorride....
eppure soffre. Ma quel pensiero non le diede la minima sensazione di gioia.
Poichè non lo amava irrimediabilmente più, quale gioia poteva mai venirle dal
suo patimento?...
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