Regina Polo, come la maggior
parte delle donne, non aveva nella sua vita mai pensato: aveva solo sentito.
Sentito l'affetto per la sua austera famiglia paterna, il rispetto per tutte le
leggi e per tutte le tradizioni, la vanità innocua per la sua giovanile
bellezza. Eppoi aveva sentito amore e devozione senza limiti per il giovane
eletto che l'aveva scelta e sposata; e finalmente l'amore materno pei suoi due
bambini, e l'amore della casa, del dovere, dell'ordine, della sua buona
riputazione di donna. Aveva il desiderio istintivo delle anime semplici,
mediocri o dormienti, d'essere felice nella famiglia, nella pace, nell'onesta
monotonia del benessere morale e materiale.
Il marito, Corrado Polo, figlio
di un ingegnere italiano e di una svedese, era di corpo e d'anima più un
nordico che un latino. L'eredità materna aveva foggiata la sua natura
mettendovi la sua impronta settentrionale. Era chiaro di capelli, d'occhi, di
pelle; ma i capelli duri, gli occhi d'acciaio, la carnagione luminosa e sana
erano l'espressione esteriore dell'interno vigore. Il corpo era energico, alto;
aspre le maniere, ferrigna la volontà. Era laureato in matematica e
agiatissimo. Non aveva molto ingegno ma una grande ambizione e un'attività che
aveva bisogno di sfogo. Voleva essere qualcuno; e davanti alle decisioni del
suo egoismo tutto cedeva. Amò molto sua moglie nei primi anni della loro unione
e la tenne avvinta a sè con le catene di una schiavitù amorosa della quale ella
non si accorgeva. Lo serviva in letizia come fanno le donne innamorate, dalla
coscienza assopita, e avrebbe voluto durare così per tutta la vita, senza
chiedere a Dio niente di più. Ogni atto, piccolo o grande, della sua esistenza
quotidiana si uniformava al buon piacere di suo marito.
"Corrado vuole" erano
le parole-vangelo della sua vita. Credeva in lui come nella più perfetta
espressione della razza uomo, ed era felice e superba d'averlo per marito e per
padrone.
Passati alcuni anni, a Corrado
Polo la vita amorosa non bastò più. Voleva altro. Aveva molto viaggiato da
scapolo e sentiva l'attrazione possente, la febbre delle avventure, il bisogno
quasi fisico di espandersi, di vedere nuovi paesi, di attirare l'attenzione
della gente sopra di sè.... Aveva sempre conservate relazioni coi parenti
materni, in quella Svezia che gli era patria naturale forse più che l'Italia.
Vi andò una volta e poi vi ritornò e combinò una spedizione, insieme ad un
cugino capitano marittimo, per fare degli studi in terre sconosciute della
Groelandia. Ed annunziò alla moglie la sua partenza quando tutto era stabilito.
Regina fu quasi annientata dal
colpo improvviso. Il perno, l'asse della sua esistenza, si spostava.... il suo
orizzonte si oscurava, s'ingombrava di ostacoli, la dolce pigrizia della sua
anima si scuoteva bruscamente, mandava lamenti di timore e di dolore....
— Come farò, come farò, sola al
mondo con due bambini, lontana da lui?
Questo era il primo grido del
suo egoismo e della sua infingardaggine morale. Ai pericoli ai quali il marito
andava incontro, pensava meno per la grande fiducia che aveva in lui. Eppoi
l'abbagliavano le lodi dei giornali che annunziavano quel viaggio con parole
liriche d'ammirazione. Ma la sua desolazione ch'egli andasse così lontano era
grande e sincera, e al momento di separarsi dal suo Corrado furono tali e così
veraci le manifestazioni del suo dolore che quasi ne rimase un po' scossa
perfino la rude volontà del partente.
Allora cominciò per Regina Polo
una novella vita.... cioè cominciò la sua vita, poichè prima di quel
giorno ella aveva esistito ma non vissuto, aveva respirato come un'automa mossa
dalla volontà altrui. Da prima la sua anima addormentata, guaiva, indolenzita,
come un pigro cagnolo che sia costretto a fare esercizi che lo affaticano.... e
ancora dai frequenti messaggi maritali, dalle regole precise ch'egli aveva
lasciate partendo, ella traeva ammaestramento ed ausilio. Eppoi, a poco a poco
dovette cominciare a prendere delle piccole decisioni, ad esercitare la sua
propria volontà, a far prevalere il suo proprio diritto di scelta in questa o
quella cosa.
Quella nuova fatica che entrava
nella sua vita a poco a poco cessò di spiacerle, anzi le sollevò l'anima,
l'aiutò a vivere, senza che ella se ne avvedesse....
La corrispondenza con suo marito
la consolava. Egli scriveva ogni settimana: ella tutti i giorni in principio,
eppoi tre volte la settimana, eppoi due volte.... Gli raccontava tutto,
ricorreva a lui come alla suprema Corte di cassazione d'ogni sentenza ch'ella
avesse pronunciata.
"Torna, torna, amor mio! Com'era
dolce obbedire, com'era dolce non aver volontà!", era la chiusa di quasi
tutte le lettere di lei, era il grido femminile che usciva dalla sua ancor
torpida anima e raggiungeva colui che navigava, con la sua prora armata del suo
indomito volere....
Il viaggio doveva,
presumibilmente, durare un anno. Ma l'anno era passato.... e quando i messaggi,
ora assai rari, dovevano cominciare a preanunziare il ritorno, cessarono ad un
tratto.
Regina ne fu atterrita.... e la
sua angoscia uscì dalle pareti domestiche e si comunicò al pubblico, che aveva
seguìto il viaggio dell'esploratore italiano con interessamento e con orgoglio.
Compiere opere belle e buone entro i confini della patria è assai meno
apprezzato che compierle in terre lontane; così che per la sorte di Corrado
Polo palpitava si può dire l'anima della nazione.
E poco di poi tutta la nazione
fu commossa e addolorata da una ferale notizia: la spedizione di Corrado Polo e
dello svedese capitano Ejnar Mikelsen era perita! Il freddo aveva uccisi i due
forti e coraggiosi esploratori ed i loro quattro compagni, perchè non solo non
se ne avevano più notizie da mesi, ma una baleniera inviata dal Governo svedese
in loro soccorso era tornata con l'assicurazione della morte (avvenuta
probabilmente fino dall'inverno) di tutti e sei i viaggiatori. In Italia fu un
vero lutto. In casa Polo fu la disperazione. Regina sembrava dover impazzire.
I genitori di lei, ancora
giovani, che abitavano in un'altra città, che avevano altri figli, dovettero
andare a curarla.... Accorsero parenti lontani, amici vicini.... Ella era anche
diventata di moda, perchè l'improvvisa celebrità del marito illuminava anche il
dolore della moglie, che diventava un dolore illustre, quindi più
rispettabile....
Essa era ricca, non aveva
bisogno materiale di nessuno, ed era anche quella una buona ragione perchè
ognuno le offrisse aiuto....
Le sofferenze dell'anima
danneggiarono la sua salute; si ammalò, stette in pericolo di morte; e poi a
poco a poco risanò. Aveva desiderato di morire, quasi sorda ai doveri della
maternità.... Il suo rimpianto dell'adorato uomo perduto l'aveva presa tutta:
ella fu per qualche tempo soltanto una donna, una schiava d'amore, che piangeva
il suo unico bene! Essa amò suo marito morto con più forza, con maggior
intensità, con più assoluta dedizione di quanto lo avesse adorato vivo. Scordò
i suoi difetti, le piccole contrarietà, i piccoli urti della vita comune. Vide
di lui solo il bene. Morto, egli assurse al cielo della perfezione morale. La
sua sventurata eroica morte, in un ardimento generoso, utile alla scienza e
alla patria, fu glorificata dal mondo civile e divinizzata addirittura nella
sua casa.
Ella si sentì la vedova di un
eroe. Una vedova inconsolabile....
Ma guarito il suo corpo giovane,
la sua anima a poco a poco si acquetò in un più mite dolore.
Fu sconsolata sì, ma calma.... E
ricominciò a vivere, elevando nel suo cuore, in quello dei suoi figliuoletti,
nella sua casa, un altare alla memoria di lui.
Il suo pigro spirito si
svegliava, diventava attivo, per lui. Ne raccolse le memorie, gli elevò un
monumento, fondò istituzioni di beneficenza "Corrado Polo", prese ad
occuparsi alacremente dell'educazione de' suoi figli, un po' trascurata fino
allora, perchè voleva che fossero degni del padre. E cominciò a coltivare il
suo proprio spirito, perchè voleva essere degna d'essere stata sua
moglie.
Era sui trent'anni, e la sua
gracilità leggiadra si espandeva in una fioritura nuova, uscente dal battesimo
del dolore, e diveniva più vigorosa e più espressiva.
I suoi grandi occhi scuri non
avevano mai guardato nelle cose con luce più splendida e più conscia. Prima
essa non era che una bambola; ora soltanto diveniva veramente una donna. La sua
coscienza si svegliava e si meravigliava in faccia agli alti problemi della
vita. L'esercizio della volontà cominciava a piacerle, a parerle una cosa
bella, una cosa degna, la sola espressione di umanità meritevole di questo
nome.
— Penso, sono, voglio.... —
Formulava in sè, per la prima volta nella vita, queste parole, queste idee
superbe, e ne provava brividi di piacere, sensazioni di libertà, di polmoni che
si allargano.... visioni di orizzonti infiniti che le davano vertigini di
voluttà spirituale.
Nella sua bella casa, tra i
comodi dell'agiatezza, ora non solo il benessere materiale era palese, ma vi
aleggiava adesso la personalità fremente di una giovinezza spirituale: quella
casa non era più soltanto un gineceo ed una nursery; era il nido di
un'anima che si svegliava assetata di vera vita....
Il santo di quel nido era
il morto adorato, naturalmente. Ogni stanza aveva un suo ritratto e ogni
ritratto aveva fiori freschi e odorosi, ogni giorno rinnovati. Ella, i bimbi,
compivano religiosamente il pio officio di ornare quegli altari.
Essa non volle più isolarsi, ma
ritornò fra la gente per tener vivo il ricordo ed il culto di lui.... nel mondo
che così presto dimentica. Dopo poco più di un anno dalla morte del suo diletto
una scuola di studi geografici dovuta a lei era già aperta: la "scuola
Corrado Polo". Ella se ne occupava personalmente, sotto la direzione di
tecnici, e trovava anche il tempo per darsi ad altre opere di beneficenza,
ognuna delle quali le pareva un omaggio reso al suo morto amore.
Aveva fatto rilegare in volumi
di marocchino le lettere di lui, aveva trasformato ogni oggetto che gli avesse
appartenuto in una reliquia. Sentiva che nessun altro uomo (il solo pensiero la
rivoltava!) sarebbe mai entrato nella sua vita.... Ella sola, per sempre,
sarebbe stata una vedova ed una madre....
— S'egli vedesse, povero amore,
il posto che ha lasciato qui, certo ne sarebbe soddisfatto! ella pensava. E
fantasticava qualche volta ch'egli ritornasse dal cielo (ove certo Dio l'aveva
accolto nella sua gloria) e che il dolore di averlo perduto fosse stato solo un
orribile sogno....
Ah se un miracolo fosse
veramente avvenuto e che la vita fosse tornata per lei quella di due anni
innanzi, quando egli non era ancora partito!
Una notte sognò che la sua
sventura non era vera.... e svegliandosi provò una sensazione strana, una
specie di malessere, un turbamento ch'ella non seppe spiegare.... Ma molto
occupata com'era non ebbe tempo di analizzare se stessa.... Passò un altro
anno. Adesso la sua intelligenza si era aperta e sviluppata prodigiosamente.
Aveva ripreso a suonare il pianoforte (suo marito non amava la musica),
conosceva buoni musicisti, si facevano in casa sua concerti intimi, che le
nutrivano l'anima di impressioni nuove e meravigliose....
Leggeva, leggeva.... Quante
belle cose imparava! Come mai un tempo non era amica dei libri? Non riusciva a
comprenderlo nè a perdonarselo....
§
— Rino! — chiamò ella. Accorse
il bel garzoncello di nove anni, vivace, deferente verso la sua giovane mamma
come un piccolo cavaliere.
— Dino, anche tu! — e accorse
anche il secondo, di sette anni, biondo quanto l'altro era bruno, grazioso,
sorridente, affettuoso come un gattino, e andò ad accovacciarsi ai piedi di
lei.
— Sentite — ella disse
accarezzandoli sulle testoline adorate — se i vostri esami vanno bene,
quest'anno faremo un bel viaggio!
— Sì, sì! Allora studio di più!
— disse Rino.
— No, non per questo. Tu devi
studiare lo stesso. Studiare è un dovere non solo, ma è anche per ogni uomo un
diritto e un piacere. Non come premio, dunque, il viaggio: come un riposo.
Intendete?
I bambini non capirono, ma
dissero di sì.
— Dunque noi faremo un bel
viaggio. E ne faremo uno ogni anno. Sapete da quale si comincia?
Si divertiva come una giovinetta
a fare quei disegni, a preparare gl'itinerari, a scegliere i luoghi più belli
del mondo per offrirli alla sua curiosità e a quella dei suoi figliuoli.
Una volta Rino, dopo la visita
di una elegante amica di Regina, disse alla madre:
— Mammina, perchè porti sempre
codesti noiosi vestiti neri?
Ella rispose subito:
— Hai ragione, amore. Li
cambierò.
Era stata lieta
dell'osservazione del bimbo e come sollevata da un peso.... Era stufa anch'essa
di quelle eterne gramaglie, che nulla aggiungono al vero dolore, ma non osava
smetterle.
Ora l'osservazione del suo
primogenito giustificava la decisione. — Non bisogna rattristare l'infanzia con
apparenze di tristezza — ella pensò. E pochi giorni appresso lasciò le vesti
nere che indossava da due anni e ne indossò di grigie, di lilla, di bianche,
che assai si addicevano alla sua figurina bruna dalla linea pieghevole e squisita.
Era ridiventata così bella, così
giovane, così raffinata nelle sue muliebri eleganze, che le amiche cominciarono
a trovarle dei difetti, a sparlare di lei.
Senza civetteria, perchè senza
aspirazioni alla galanteria, ella aveva con gli uomini intelligenti che
frequentava maniere semplici, amichevoli, di buona camerata, ed era stato bene
accolto dal suo circolo intellettuale il rivelarsi insospettato della sua
interessante personalità. Ella si rendeva ormai conto, dopo tre anni,
dell'evoluzione compiutasi nel suo essere e a qualcuno che una volta le
espresse meraviglia per quella rivelazione, ella rispose scherzevole: — Che
volete? Io sono nata adesso. Prima, quando ero felice, ero una moglie,
un'amante, una creatura parassita di un'altra. Adesso sono io. — E
sospirò. Ma chi l'udì non ebbe l'impressione ch'ella sospirasse di tristezza.
Si occupava alacremente, col suo uomo di affari, del suo patrimonio. Aveva una
bella fortuna. Anche il patrimonio Polo era forte. Suo marito, poveretto,
spendeva molto per sè e non si occupava della sua azienda agricola.
Ella se ne occupava molto e il
patrimonio prosperava; non spendevano tutta la rendita e un giorno i suoi figli
sarebbero assai ricchi....
— Sapete, piccoli? Prenderemo
presto una bella automobile — disse un giorno ai bambini, i quali ne furono
felici.
Un altro giorno diede loro la
notizia che avrebbe acquistata una villa.
— Non andremo più in case
d'affitto. Avremo una bella casa di campagna, nostra. Villa Corrado Polo. Vi
piace? Pianteremo tanti fiori, tanti alberi, daremo delle festicciuole in
giardino.... lavoreremo la terra noi tre. Che gioia, eh?
Le risate dei suoi bambini,
ch'erano i suoi piccoli amici, trovavano l'eco delle sue....
Si divertiva puerilmente a
togliersi tutti i capricci, perchè ora si dava il lusso di avere dei
capricci.... Voleva sempre qualche cosa di nuovo.... Volere.... comandare! Che
gioia, che ebbrezza! Non si ricordava nemmeno più, non era più in essa la
sensazione d'essere stata una schiava, di aver obbedito.... senza sforzo, con facilità....
L'abitudine della libertà, alla quale si era assuefatta rapidamente, aveva
cancellata l'antica abitudine. Lo stato suo attuale era, in verità, così
eticamente superiore all'altro.... che ella aveva ancora la mimica del grande
dolore sofferto, ma il dolore, senza che essa se ne rendesse conto, non
esisteva più. Pure ella amava, rispettava quel dolore, dal quale era sbocciata
la sua nuova esistenza, e le sarebbe parso bestemmia, eresia.... il non
considerarsi più inconsolabile....
Quando parlava del passato
diceva sempre: — Quando ero felice. — Quando scriveva ai genitori, agli intimi,
si firmava: — La tua povera Regina. — Se parlava del suo Corrado, gli occhi le
si riempivano di lagrime; accompagnava sempre di sospiri e di pause tragiche i
discorsi che lo concernevano. E nessuna giornata passava senza che le
sue mani gentili non avessero compiuto il gesto devoto d'infiorare le imagini
nel suo morto amore. Le pareva di vivere del ricordo di lui, solo di lui, nel
passato, nel presente, nell'avvenire.
§
Un giorno fu chiamata al
telefono da un insistente tintinno.
Un amico intimo, un po' parente di suo marito, ch'ella
chiamava "lo zio", un uomo intelligente che l'aveva aiutata nelle sue
benefiche opere, domandava se ella era in casa e se poteva riceverlo subito.
Regina fu stupita, ma non
spaventata. Cosa poteva essere? Una disgrazia, no. Quale? Il mattino aveva
ricevuto buone nuove dai suoi genitori; altri parenti che le premessero non
aveva.... Era una bella giornata della giovane primavera. La gioia della terra
che si risveglia cantava dovunque una sommessa albata piena di fremiti e di
trilli....
I bimbi, nella veranda,
giocavano con un piccolo aeroplano fabbricato da loro.... Il salotto si apriva
sulla veranda e il sole entrava in un lungo raggio d'oro, tutta una ridda di
atomi luminosi, un mondo infinitesimale e possente....
La stanza era piena di viole, di
giaggioli, di giacinti, di orchidee gialline che parevano pantofolette di
minuscole fate.
Ella sedeva accanto al balcone, con
un libro sulle ginocchia.
Non leggeva, non pensava, non
sognava. Il suo essere si riposava nella sensazione del benessere.... Tutto le
piaceva. Il suo corpo godeva di un pieno equilibrio che si rifletteva nelle sue
funzioni psichiche. Ella non lo sapeva, ma era perfettamente felice, come chi
ha molto sofferto e si è consolato, come chi non ha mai vissuto interiormente e
vive, come chi custodisce il proprio passato dolore quale un ricordo sacro e
lontano che aumenta e nobilita il nucleo delle proprie facoltà, essendo già
stato trasformato in materia vitale dal tempo e dalla volontà di vivere....
Le fu annunziata la visita
dell'amico, che seguì subito il domestico nel chiaro salotto riscaldato dal
sole di primavera.
Il buon vecchio "zio",
grasso e pacifico, era così trafelato, aveva una faccia.... così d'occasione,
ch'ella si levò, lo interrogò: — Che c'è, caro amico? — Egli l'abbracciò invece
di stringerle la mano, e quasi non poteva parlare. Finalmente, superata la
commozione, disse: — Regina.... dunque non sai ancora? Non hai letto il
giornale?
— Il giornale? Cosa?
— Guarda, Regina, promettimi
d'essere calma.... e anche cauta nel prestar fede alla notizia, alla notizia
veramente straordinaria e sbalorditiva.
— Ma cosa? Ma dica, zio!
— Adagio Regina.... lascia
parlare.... potrebbe anche trattarsi di un errore.... insomma, hai il giornale?
Si volsero, cercarono insieme
sulla scrivania, si contesero il giornale ch'ella non aveva ancora aperto, quel
mattino.... Egli cercò, trovò, le fece leggere: una corrispondenza da Stoccolma
che diceva così:
"Una notizia sensazionale
si è diffusa stamane portata dalla nave Fram, giunta nel nostro porto.
Pare che si abbiano nuove della spedizione italo-svedese che fu per tre anni
ritenuta perduta nei ghiacchi della Groenlandia. Corrado Polo, Ejnar Mikelsen
ed i loro compagni sarebbero vivi e sani a bordo di una baleniera svedese dopo
un'eroica resistenza di tre anni contro gli ostacoli naturali e morali. Essi
porterebbero al mondo civile doviziosa copia di osservazioni scientifiche,
insieme all'esempio meraviglioso della loro perseveranza. Da un momento
all'altro si attende la conferma o la smentita della importante
notizia....".
Regina impallidì, la fronte le
s'imperlò di sudore freddo, scivolò tra le braccia del vecchio amico, svenuta.
— Povero me, povero me! —
esclamava il dabben uomo. — Se poi non fosse vero! La felicità fa paura.... può
anche uccidere.... uccidere peggio che il dolore....
Fece chiamare il medico. Regina
fu messa a letto, curata, assistita....
Per tutto il giorno fu un via
vai di amici e di conoscenti alla porta della signora Polo, che, per ordine del
medico, non riceveva nessuno. Ella diceva al medico, alla fida cameriera, al
vecchio "zio" che non l'abbandonava: — Ma no, sto bene, non abbiate
paura.... Lasciatemi dormire, lasciatemi tener gli occhi chiusi.... Ho bisogno
di star sola, di non saper nulla.
Teneva la faccia tra il
guanciale e le lenzuola, tutta nascosta fino alla fronte, come per sottrarsi
alla luce.
Nella chiara camera d'apparenza
virginale ch'ella aveva fatta per la sua solitudine, nel piccolo letto basso,
sotto la gran coltre di seta color di rosa, si vedeva un corpo sottile appena
linearsi e sul guanciale effusa una densa chioma nera. Non si udiva nemmeno il
suo respiro. Il medico, lo "zio", i famigliari pensavano: — Là dentro
sta nascosta una felicità che non crede ancora a se stessa, che ha paura di
svegliarsi.... Dio voglia che la notizia non sia smentita!
E se ne andavano in punta di
piedi, rispettosi, pieni di speranza e di timore.
La notizia non fu smentita.
Sotto il patrocinio della Società geografica e del Governo svedese aveva già
toccato il suolo europeo la spedizione Polo-Mikelsen.
Gli illustri esploratori,
partiti quattr'anni innanzi, erano rimasti circa tre anni senza poter mandare notizie,
sicchè erano stati considerati perduti. Finchè una nave avendo potuto toccare
la costa orientale della grande isola artica, era andata in soccorso del
coraggioso manipolo d'uomini, che aveva sfidato pericoli e stenti inauditi
durante i tre terribili inverni passati in quelle terre inospitali e lo aveva
condotto in salvo.
Corrado Polo, si diceva, non
accetterebbe festeggiamenti in Isvezia, ma proseguirebbe per l'Italia per
raggiungere la sua famiglia, e a Roma terrebbe poi una conferenza per rendere
conto delle importanti osservazioni scientifiche compiute, come delle avventure
corse, illustrando il suo dire con numerose proiezioni.
Le notizie dei giornali furono
confermate da un telegramma e da lettere di Corrado Polo a sua moglie. Era un
avvenimento pubblico, mondiale; era la gloria, era l'inverosimile fatto realtà;
il sogno vissuto.... la fiaba in azione....
Regina era in uno stato
sonnambolico che la pareggiava ad un fantasma. Credeva? Non credeva? La gioia
le aveva fatto male all'anima così come avviene talvolta che la troppa luce
offenda gli occhi? Il colpo era stato così forte che l'aveva sbattuta come una
sventura. Era tornata in pochi giorni, nell'aspetto, come al tempo in cui
l'aveva atterrata il dolore.
Il vecchio "zio" non
si dava pace. Si rimproverava di averle comunicata la lieta novella troppo
rapidamente. Non l'aveva creduta così sensibile alla gioia e concludeva
filosoficamente che la felicità è più difficile a sopportarsi del dolore,
essendo più rara....
Il medico le dava tonici e calmanti....
che non apportavano alcun miglioramento al suo stato d'animo.
Ella era malata, coscientemente,
di un male singolare, di un male morale ch'ella nascondeva a tutti
gelosamente.... e magari avesse potuto celarlo a se stessa! L'impossibilità
d'essere felice della resurrezione di suo marito!
Quello ch'era stato per lei un
dolore quasi mortale, la scomparsa di lui, era divenuto a poco a poco una
consuetudine dolorosa, eppoi triste, eppoi quasi dolce, per la forza
dell'abitudine e della rassegnazione all'inevitabile! Era cominciata,
dopo la sventura, la sua vera vita, e il suo essere aveva già accettato
il fatto compiuto e aveva proseguito nel suo fatale cammino.... dal quale
sentiva di non poter tornare indietro. Il passato era per lei oramai solo il
passato, cioè un periodo sepolto, chiuso e finito, il cui ritorno le pareva
contro natura, mostruoso, orribile. Il marito era per lei un morto, un
fantasma.... un fantasma che veniva a spaventare la sua pace, a turbare la sua
felicità presente.... Ciò che fu, non deve, non può ritornare mai più, secondo
le leggi della natura e secondo quelle della logica....
Ella si chiedeva con ansietà
angosciosa se anche altre creature poste nel suo stesso caso avrebbero provato
lo strano, terribile, inconfessabile sentimento ch'ella ora provava....
E si domandava, nella sua
intelligenza lucida e libera, con la quale viveva ormai faccia a faccia, in un
colloquio segreto che la torturava: "Sono io un mostro, o obbedisco a una
fatale legge miseramente e inesorabilmente umana?".
S'interrogava severamente, si
rispondeva sinceramente come davanti all'implacabile tribunale della sua
propria coscienza: "Amavo io veramente mio marito? Lo amavo profondamente,
unicamente. Fu sincero, fu grande il mio dolore di averlo perduto? Fu immenso,
fu struggente il mio dolore e mi parve inconsolabile. Era vivo, era sacro nel
mio cuore il ricordo, il culto di lui, da tre anni, fino al giorno in cui seppi?
Ero convinta di vivere del suo ricordo, nel culto della sua memoria adorata, e
mi pareva che il mio stato d'animo pacifico fosse come la benefica
convalescenza spirituale dopo l'uragano.... Il passato mi pareva, la
felicità.... il presente la quiete dopo la tempesta.... Allora? Perchè non sono
io felice della sua risurrezione?". — E non sapeva rispondersi.
Ella non si era reso conto della
prodigiosa facoltà di adattamento alla vita che possiede la giovinezza e della
possente volontà di gioia ch'è nelle creature umane.... ed aveva ignorato che il
tiranno presente cancella, rade al suolo, giorno per giorno, gli edifici del
passato.... e che ciò che ci piacque un giorno e svanì dalla nostra vita non
può forse riafferrarci mai più.... Il passato è memoria, ma non è vita....
Risorgere, per ogni creatura umana, anche per la più amata, sarebbe (se ne
avesse il potere) imprudenza, follia.... Non ci sono, nella natura, soluzioni
di continuità.... o si spostano i valori, le provvide leggi che ci sembrano
stolte e sono invece savie, come ogni decreto che governa la divina economia
delle cose....
§
Regina Polo accolse il suo
glorioso marito risorto, ricominciò accanto a lui l'antica vita, avendo
nell'anima la zanna di un dolore che si vergognava di sè, di un dolore che non
poteva essere confessato.... e che era creduto da tutti un eccesso di gioia,
della gioia vertiginosa che fa paura.... Ognuno la complimentava o l'invidiava
per la sua prodigiosa fortuna.... Ella gemeva nel suo povero cuore: —
"Beati coloro che piangono di un pianto.... che può essere consolato....
Beato chi non racchiude nel proprio mistero una di quella terribili verità
umane.... che non si possono confessare e che pure non sono colpe.... perchè
non dipendono dalla nostra propria volontà!".
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