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Eugenia Codronchi Argeli (alias Sfinge) Il castigamatti IntraText CT - Lettura del testo |
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LA NEMICA INERME.
Dolce è l'autunno a Salsomaggiore, nella gran conca verdolina un po' arsiccia abbracciata dal gesto amoroso delle sue colline un po' brulle. I culmini circostanti sono ornati di storiche meravigliose castella, il paese si abbellisce ogni giorno di alberghi sfarzosi, di moderne eleganze, e le viscere della terra sono corse dalle misteriose portentose sorgenti che sono balsamo a tanti mali dell'umanità. La gente d'ogni parte del mondo ivi trae in folla in cerca di salute. Ma specialmente le donne, le donne cui la giovinezza sfugge.... Per questo Salsomaggiore è un paese autunnale, dolce ma un po' malinconico. S'incontrano lungo i suoi viali pieni di negozi eleganti, nelle vie del suo borgo, dal suo celebre pasticcere Colombo, su per i sentieri della collina dai bei villini fioriti di rose, specialmente signore eleganti la cui bellezza è vicina a sfiorire.... Moriva ottobre, nel grande poetico parco del vecchio albergo Detraz, il più quieto, il più tradizionalmente perbene del luogo. Gocciavano dai faggi, dai castagni, dai platani foglie gialle, foglie rosse, foglie color ruggine, come una larga pioggia lenta, leggera, vivacemente colorita e pur mesta.... Non c'era più molta gente all'albergo e si erano formate, come sempre accade, dei pochi rimasti, diverse comitive. Sotto il cader delle foglie, nel vecchio giardino, si vedevano adesso ruzzare diversi bambini, e riunirsi sui sedili un piccolo gruppo di ospiti. Una bella signora sul tramonto, elegantissima, con una graziosa figliuola; un ingegnere già celebre per arditissimi lavori compiuti di ferrovie di montagna, di miniere, di gallerie, con la moglie ed una bambina. Notevole anche esteriormente la figura dell'ingegner Godio. Alto, bruno, con una barba aguzza di antico condottiero italiano, con gli occhi balenanti, con maniere un po' rudi. Bella, benchè un po' sciupata, la signora, vestita sempre con sobrio buon gusto, distinta e taciturna. Un razzo, un maschiotto sfrenato e turbolento la ragazzetta decenne Graziana, detta "Chiblù". La madre diceva, col suo accento un po' stanco: "È impossibile chiamarla Graziana. È la negazione della grazia, il mio diavoletto! Quando nacque furono una sorpresa per tutti i suoi occhi azzurri su quel visetto nero. Parve esserne sorpresa anch'essa, perchè una delle prime cose che imparò a dire, fu: — Ho gli occhi blù! — Diceva anzi, abbreviando: "Chiblù", senz'altro. E divenne il suo soprannome". "— Un nome di gattina o di cagnetta. Infatti graffia e morde se la si tocca!", diceva il padre che l'adorava, cui si addolcivano i fieri occhi saettanti quando la guardava o parlava di lei. Pareva una famiglia modello. Erano stati molto all'estero, ma ora erano tornati definitivamente in Italia. L'ingegnere si stava costruendo un villino a Roma. Anche la signora Demàri e la figliuola Nazarena stavano a Roma. Mondo della finanza: ricche e raffinate. A Roma avevano lasciato il padre e due sorelline minori. Si era introdotto nella loro comitiva un giovane elegante, certo signor Savelli, il quale accompagnava la sua mamma che non poteva camminare. Era un buon diavolo, ricchissimo, disoccupato, irrequieto, un po' "snob", che andava su e giù di continuo con la sua magnifica automobile. Quando stava fermo faceva la corte a Nazarena, la quale aveva l'aria di non accorgersene. La signora Demàri, che stava poco nel giardino perchè aveva paura che l'umidità le disfacesse i ricci e le togliesse via la "veloutine", e che la gran luce rivelasse qualche ruga, disse un giorno con la moglie dell'ingegnere: "Il signor Savelli sarebbe un bel partito per le nostre figliuole!". Nazarena Demàri arrossì e disse: "Mamma, lo sai che non devi mai dire simili cose!". Anche l'ingegnere Godio protestò: "Per conto di Chiblù è un po' presto mettersi in lizza. Eppoi quel giovane mi è pochissimo simpatico. Porta male i suoi troppi quattrini!". Tutti risero, ma senza allegria. Una grande amicizia avevano fatto le "due bambine" come volentieri diceva la signora Demàri. Ma Nazarena aveva ventidue anni, benchè non li dimostrasse esteriormente. D'anima, invece, era una donna, un po' triste, pensosa, tutta diversa dalla frivola madre ch'essa adorava, forse vedendone in segreto le debolezze.... Era una ragazza di spirito maturo con qualche guizzo d'infantilità, con una fresca vivacità di umore che non era allegria ma fermento di giovinezza. Pensava, sentiva molto, soffriva quindi.... eppoi scrollava le spalle, ogni tanto, e aveva voglia di giocare. Con Chiblù faceva la bambina. Giocavano alla corda, alla palla, al cerchio nei folti boschetti del vecchio parco abbandonato di cui erano assolute padrone insieme ad alcuni bambini. Quell'albergo è stato un convento.... C'è ancora qualcosa di conventuale, di raccolto, di meno ignobile dell'atmosfera dei soliti grandi alberghi, nei lunghi corridoi, nei viali del parco dove un tempo salmodiavano i frati.
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In quindici giorni di convivenza era nato in quel nucleo di persone apparentemente felici, in quel quieto ambiente di casa di salute, un dramma. Un dramma d'anime che era ormai vicino ad una necessaria soluzione. L'ingegnere Filippo Godio e la signorina Nazarena Demàri si erano innamorati l'uno dall'altra. Una cosa seria, grave, irrimediabile. Era stato un così detto colpo di fulmine per la prontezza con la quale la passione li aveva afferrati. L'uomo di lavoro e di lotta, sui quarant'anni, forte di carattere, arrivato ancor giovane alla fama e alla ricchezza col solo merito proprio, coscienza integra, avverso al libertinaggio, fu preso alla gola da un cieco terribile amore, del quale s'accorse soltanto quando non fu più in tempo a dominarlo. La fanciulla pura e casta, idealista, lontana da ogni frivolezza, spirito attivo, amica d'ogni cosa buona e bella, che non aveva mai conosciuto il vero amore (qualche principio di simpatia subito scartato dal suo senno) cadde nel tumulto di una profonda, struggente passione. Fu prima, in ognuno dei due, un'aurora ardente di delizia: una stessa luce di fiamma li avvolgeva, uno stesso dolciore insaporava le loro bocche, che non si erano mai toccate, del più divino miele.... Eppoi, nell'una e nell'altra delle due nobili anime, cominciò un tremore d'angoscia che le mise alla tortura.... Non erano state le parole, da principio, ma i silenzi che avevano resi consapevoli i loro spiriti.... certi improvvisi silenzi, come pause musicali gravi di sottintesi immensi, che erano caduti sulla loro casuale solitudine, rivelando loro orizzonti ignoti. Il giardino apparteneva a Nazarena, si è detto, come per diritto di conquista. Essa ne possedeva tutti gli angoli, tutti i cantucci soleggiati e romiti. Qui dipingeva all'acquerello, là leggeva, più su aiutava il giardiniere a curare le piante: in altri luoghi lavorava con l'ago e con l'uncinetto. Tutti i bambini del paese avevano berretti, fascie, cuffie fatte da lei. Chiblù era il suo aiutante di campo, cui si aggiungeva, ogni tanto, il battaglioncino dei bambini. La signora Demàri faceva la cura, riposava molto, stava lunghe ore ad acconciarsi con la sua cameriera. La ragazza aveva quindi una grande libertà, e poichè era un po' selvatica e non le piaceva trovarsi nel salone con gente che non la interessava, aveva scelto per sua fissa dimora il giardino. Un giorno, dopo colazione, avevano formato crocchio come al solito, fra i vecchi boschetti di mirti. Poi, a uno a uno tutti se ne erano andati al riposo. Erano restati soli l'ingegnere e Nazarena. La madre di questa aveva detto, nel partire: "Le affido mia figlia, ingegnere. Non la lasci star fuori tanto. Fa fresco. Oggi è stata più savia Chiblù". Non c'era nessuno. Piovevano dagli alberi, lentamente, le foglie; dalla vitalba che fascia lo châlet (già chiuso in quei giorni) il vento portava ogni tanto mucchi di foglie rosse, turbinanti come piccole comitive di pettirossi.... Si guardarono negli occhi profondamente, fissi, dolorosamente, ansando un poco.... Quel silenzio era terribile come le più ardenti parole. Tutti e due lottarono con disperato coraggio per non guardarsi più.... Eppoi si alzarono, contemporaneamente, si separarono senza che le loro labbra avessero pronunciato una sillaba...! Rivedendosi in presenza degli altri avevano quella prima volta cercato di dimenticare il muto duetto. Avevano ancora parlato e scherzato insieme. L'ingegnere affettava con lei modi paterni, tentava di ringiovanirla, accoppiandola alla sua piccola Chiblù. Cercavano di non rimanere più a quattr'occhi perchè avevano paura di quel terribile silenzio rivelatore. Anche il terzetto era pericoloso, Chiblù espansiva e tirannica, adorava la sua amica grande e le faceva tumultuose carezze. Erano un bel quadretto. Chiblù bruna come una zingarella, ricciuta, con gli occhi azzurro-cupo, dava risalto alla soave bellezza quasi bionda di Nazarena, che era di media statura, sottile, pieghevole, con un bel volto roseo ed ovale illuminato dagli occhi d'ambra dello stesso colore dei capelli. Si pettinava un poco infantilmente, con le trecce che le fasciavano la nuca e le coprivano gli orecchi e la metà delle guance. Solo il mento, un po' accentuato, dava vigore a quel delicato pastello. Una volta Chiblù aveva tempestato di baci il volto e le mani di lei, e questa si difendeva un po' ridendo, un po' protestando, solleticata e nervosa. Il padre di Chiblù strappò la bimba violentemente dall'abbraccio e la redarguì così forte che questa si mise a singhiozzare.... mentre egli si copriva di un pallore improvviso, quasi che una sventura lo avesse colto.... Pareva ad entrambi, oramai consci del sentimento che provavano e che destavano, che nessuno si fosse accorto del loro segreto dramma.... appunto perchè così grave e così anormale, meno facile ad essere indovinato. Ma un giorno una irrefrenabile imprudenza dell'ingegnere mise in pericolo il delicato segreto. Nazarena disegnava in un boschetto, a poca distanza da Chiblù e dal padre. Chiblù tentava disegnare per imitare la sua amica e l'ingegnere leggeva. Nazarena era tutta una delicata armonia, senza cappello, con la testolina piccola e lucida che si accendeva un poco al sole, vestita di bianco, con una larga giacca di velluto fulvo, così bene intonata al paesaggio.... Il giovane Savelli passò accanto a lei, rientrando, e, zitto zitto, in punta di piedi, per farle uno scherzo, raccolse tre o quattro roselline del Bengala che occhieggiavano rosse dietro la siepe di bosso, le spicciolò e gliele buttò sul capo, sul collo, sul grembo.... Essa, che era molto assorta nel suo lavoro, diede un piccolo grido.... e avrebbe certo protestato, non avendo autorizzato il giovane prendersi con lei simili confidenze. Se non chè l'ingegnere che aveva visto, divenuto rosso di collera, grido: — "Lei è un maleducato! La signorina Demàri è stata affidata a me, ed io non permetto che le si manchi di rispetto. Le ordino di domandarle scusa". Il giovane si risentì della lezione e l'incidente avrebbe avuto seguito, se un terzo conoscente non si fosse il giorno stesso interposto. Ma le signore seppero ciò, deplorarono in vario modo e vi furono all'albergo molti commenti.... Nazarena vedeva avvicinarsi con terrore e con sollievo insieme il giorno della partenza. Aveva l'esatto senso della fatalità piombata sulla sua vita. Sentiva che non sarebbe guarita mai più, ma prometteva a se stessa che mai nulla avrebbe fatto perchè quel sentimento innocente diventasse una cosa colpevole. Però, nel suo io profondo, inveiva contro la sorte avversa e detestava la moglie di quell'uomo che lo teneva legato a sè col giogo della legge inumana che tiene avvinte due creature, per sempre, anche se non si amino più. Era gelosa di quella donna che aveva su Filippo tutti i diritti, e si sentiva offesa da lei nella sua dolorosa passione.... Anche l'altra, essa lo intuiva, era gelosa di lei; ma sentiva che non era sospettata di colpa e che colei doveva rendersi conto della sua purezza, della sua lealtà di carattere. Nazarena non aveva rimproveri da farsi. Poteva dunque guardare in faccia la moglie di colui che adorava, senza umiltà e senza vergogna. I loro sguardi s'incrociavano qualche volta come spade nemiche. Si sentivano ostili l'una all'altra.... ma erano rispettose delle convenienze e delle leggi della società. I rapporti fra l'ingegnere e la moglie erano corretti, anzi affettuosi. La bambina li adorava tutti e due ed era l'indissolubile anello della catena che li univa. La signora Godio aveva visibilmente un culto per suo marito, che era per lei l'unico, il fulcro dell'universo. Egli aveva per lei tutti i riguardi, tutte le cortesie delicate che succedono all'amore, in un uomo che si rispetta, verso la donna che un tempo ha molto amata. Si vedeva che ella era stata bellissima. Ora aveva perduta ogni freschezza e dava l'impressione di essere più vecchia di lui. Cagionevole di salute, un po' lamentevole di umore, gelosa, aveva però una sua dignità taciturna che non le permetteva di manifestare il suo soffrire all'uomo adorato. Al suo perspicace intuito (Nazarena non s'ingannava) non era potuto sfuggire l'amore sorto fra quei due. E ben conoscendo la serietà di carattere dell'uno, e intelligentemente intuendo l'assenza di civetteria della ragazza e il coraggio col quale cercava difendersi dalla passione fatale, ella, pure nel suo intimo strazio, non poteva disprezzare i due protagonisti del dramma di cui essa stessa era la terza vittima.
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Mancavano pochi giorni alla partenza delle Demàri. Solo da tre settimane essi erano insieme, ma a Nazarena ed a Filippo pareva di amarsi da tutta la vita, per tutta la vita.... Nell'uomo la passione era giunta a tal punto di spasimo che la sua coscienza si oscurava. Un giorno (ella oramai evitava di trovarsi sola con lui) egli riuscì ad accostarsele nel parco, e le disse quasi in un pianto: — "Io mi sento morire. Ma voglio dirle una cosa, che non è più colpevole, tanto il mio soffrire l'ha purificata. Se lei mi vuole bene veramente come io ho la gioia divina ed atroce di sperare.... abbia coraggio, venga via con me. Dove vuole. In capo al mondo. Per fortuna sono ricco. Provvederò magnificamente lo stesso a queste due creature.... Ma io mi sento ancora troppo giovane per rinnegare la vita così, rinunciando a Lei, Nazarena! Amore, tenerezza mia! Ci pensi.... Mi chiami.... Una sua parola sola.... In poche ore io sarò da Lei, con Lei, per sempre!". Ella non rispose. Gl'impose silenzio coi gesti.... Ma i loro occhi ebbero una di quelle profonde, lunghe prese di possesso che li lasciarono scossi, turbati, estasiati come dopo un amplesso. La vigilia della partenza la signora Demàri pregò l'ingegnere Godio di andare a Borgo San Donino per una sua delicata commissione. Egli vi andò in auto, e prese con sè Chiblù. Aveva invitata Nazarena, in presenza degli altri. Ma questa aveva ricusato. Era triste, snervata, desolata: mille pensieri strani le ballavano nella mente.... Dopo l'ultimo bagno la madre andò a riposare tranquilla, cieca, egoista, occupata solamente della sua salute e della strenua difesa contro i danni del tempo.... Ella, con sul volto i segni dell'insonnia e del pianto, andò a rifugiarsi nel parco, nel suo angolino preferito, caldo di sole, vicino al recinto del "tennis". Si sedette sull'erba, depose il libro aperto sui ginocchi, ma non poteva leggere. Pensava, in una ribellione di tutto il suo essere verso il destino crudele: "Ma si può anche modificarlo il cattivo destino! Perchè no? Ha ragione lui. La legge sacra, la società, il dovere.... sì. Ma il matrimonio "vero" non ha più ragione d'essere quando l'amore è finito. L'amore come quello che sento io non finisce mai.... Ma non tutti gli amori sono così profondi e così immutabili. Si può ingannarsi. Filippo non ama più sua moglie. Le vuol bene come ad una sorella: ma non gli basta. La vita con lei adesso è per lui una tortura. C'è Chiblù, è vero.... Ma Chiblù, così vivace, dovrà essere messa in collegio. Egli è ricco, si è fatto ricco col suo lavoro, col suo ingegno: sua moglie, anche se separata da lui, potrebbe vivere materialmente bene lo stesso. Sono dodici anni che essa lo ha tutto per sè! Potrebbe contentarsi! Deve essere stata molto bella, sì: ma ora è una rovina.... eppoi non è intelligente. È uno spirito chiuso e tetro, pieno di gelosia e di rancore.... Perchè non si potrebbe persuaderla di divorziare? È la sola soluzione. Io e Filippo non possiamo più vivere, separati. È superiore alle nostre forze.... Il vero diritto è quello dell'amore.... Che colpa si ha di amare? È una fatalità inesorabile. Le leggi quando sono inique si calpestano....". Calpestò, col suo piccolo piede calzato di bianco, un insetto innocuo che saliva sopra un filo d'erba. Avrebbe calpestato qualche cosa di più significativo se avesse potuto.... E piangeva quetamente nel suo cantuccio romito, nel tepido giorno autunnale, sotto la lenta carezza delle foglie cadenti che frusciavano, distesa sul tappeto caldo dell'erba già un po' secca e gialliccia.... A un tratto si vide accanto, sorta dalla terra? piovuta dal cielo?, la rigida figurina bruna della signora Godio. Nazarena fece l'istintivo atto di alzarsi, ma l'altra si affrettò verso di lei, e le si sedette accanto sull'erba. Disse: "Non se ne vada, signorina Demàri. Ho bisogno di parlarle". Si guardò intorno: "Qui siamo perfettamente sole". Nazarena provò un impeto di ribellione, di astio, di avversione infrenabile. Sulla sua mobile faccia si dovette dipingere qualche cosa di simile, perchè la signora Godio disse: "Vedo che non le faccio piacere. Ma abbia pazienza. Se sapesse lo sforzo che faccio io su me stessa.... cercherebbe di imitarmi". Era nella voce, nell'espressione di lei tanto dolore contenuto, erano tante cose sottintese.... che Nazarena riuscì a dominarsi. — Gli è che veramente, non saprei che cosa potessimo dirci.... — Ah.... codesto non è degno di Lei, signorina Demàri. Io Le faccio credito di una lealtà e di una serietà di carattere fuori del comune. Perchè vuol nascondermi l'animo suo? Io vengo da Lei per aprirle il mio.... — Non mi faccia rimproveri, badi! Non ne accetterei perchè non ne merito. Non si scelgono deliberatamente i sentimenti che fanno soffrire.... — Non si difenda. Crede Lei ch'io mi abbasserei a venire umilmente a parlarle se non sapessi tutto ciò? Io assisto da tre settimane ad una cosa terribile, tragica per me, può imaginarlo, più ancora che per Filippo e per Lei.... — Non di più, non è possibile! — Nazarena interruppe. — Lei è giovane.... e la giovinezza porta con sè tanti balsami! Noi siamo verso l'autunno della vita.... Filippo ha quarant'anni e la bufera che gli passa nell'anima è tale che mi spaventa. — Senza sua colpa! Non ha fatto nulla che non sia degno del più perfetto galantuomo.... — gridò Nazarena. — Lo so. Ed è per questo che sento profondamente la mia responsabilità, signorina Nazarena. Mi ascolti attentamente. Io adoro Filippo da quindici anni. Sono con lui da dodici. Sono stata felice come a poche creature è dato essere. Qualcosa dell'amore materno è nel mio sentimento per lui, non tanto per i pochi anni che ho di più, quanto per l'esperienza che una giovinezza infelice ha messo nell'anima mia.... Fino dal principio della nostra unione io paventai quello che accade adesso, terribilmente. Poi a poco a poco mi ero quasi persuasa che Filippo non amerebbe una seconda volta nella sua vita. Mi pareva che il lavoro, la fama, l'affetto per la famiglia gli bastassero. Mi riposavo oramai in questa divina sicurezza.... quando il risveglio è venuto. E la mia conoscenza del carattere di lui, la stima profonda che ne ho, è quella che mi mostra la gravità estrema del suo stato d'animo. Per dodici anni egli mi è stato fedele fino allo scrupolo. È uomo di alto senso morale, d'intemerata coscienza, di solida tempra. Ebbe sempre non solo in dispregio ma in orrore le avventure d'amore, i capricci, le facili conquiste. Per lui il solo amore possibile è quello che dura. Quindici anni ha durato il suo amore per me.... Quello per lei durerà certo tutto il resto della sua vita.... S'interruppe. Ogni sua parola suonava così grave come se racchiudesse anche un senso nascosto. Nazarena si rendeva conto di una cosa che, nel suo umano egoismo, non aveva prima veduta; del dolore che torturava quell'anima e dell'amore immenso che in essa si racchiudeva. Ella taceva ma negli sguardi ch'essa mandava adesso verso colei che parlava, non c'era più ostilità ma una pietà profonda, una impotente volontà di consolare quel patire disperato. La signora Godio riprese: — Vede bene che non faccio commedie, che non dico di commuovermi troppo al dolore che prova Lei nel combattere il suo anormale sentimento.... Ma pur non potendo volerle bene.... (questo sarebbe superiore alle forze umane) ho stima di Lei, perchè ho l'intuito di quello che vale. Io parlo poco, di solito, e osservo molto. Non è una delle solite ragazze moderne, Lei.... È una vera donna ed è una vera coscienza. Credo di avere l'esatta impressione di quello che soffre. Non ne ha colpa se mi ha portato via la felicità che era mia, se ha distrutta la mia pace e la mia vita.... — No, io non ho fatto questo! — si difese veemente Nazarena. — Lo ha fatto il destino.... è lo stesso, e non ha colpa neppure Filippo del sentimento che prova e che tanto lo fa soffrire.... e io credo mio dovere verso di lui, per la felicità che mi ha data, per il bene che io gli voglio di non impedire ch'egli si ricostruisca un'altra volta la felicità.... Perchè, lui, se vuole, può ricominciare una nuova vita.... Disse queste ultime parole lentamente abbassando la voce, strisciandosi sul fianco, sull'erba caldiccia che odorava di menta, verso colei che ascoltava.... Un po' discosto, un bagnante avvolto nell'accappatoio passò, e si fermò un attimo a guardare il bel quadretto delle due leggiadre donnine sdraiate sul prato, vicine, intente forse a farsi qualche confidenza futile e galante.... Nazarena spalancò i grandi occhi color d'ambra scura, umidi di commozione e mormorò: — Non comprendo.... La signora Godio si passò le mani sulla fronte, ve le tenne un poco compresse, poi mormorò, così piano che l'altra appena potè udirla — Filippo è libero, sa? Noi non siamo marito e moglie. Nazarena gettò un grido. Poi tutte e due si coprirono gli occhi con le mani.... La signora Godio fu la prima a poter parlare. Disse: — Ero sicura che Filippo non glielo aveva detto. Per questo ho parlato io. Bisognava che Lei sapesse.... lo dovevo a lui questo.... E poichè nel dire le ultime parole un grande singhiozzo le uscì dal petto — come il rumore di qualche cosa che si rompesse — si ribellò all'esplosione delle sue lagrime, ne ebbe il pudore, si alzò, si allontanò in fretta senza che Nazarena le avesse mostrato il volto chiuso sempre nelle palme.... Quando questa fu sola ed alzò finalmente la faccia, ella sentì che guardava le cose che la circondavano con un'altra anima. La sua voce, dopo che aveva "saputo", non aveva pronunciato sillaba: aveva solo gettato un grido.... di stupore? di gioia? di liberazione? Ma poi l'ala del suo rapido volo s'era ripiegata subito in un raccoglimento pudico, timido, esitante.... come di un uccello che non riconosce più l'orizzonte di cui prima si era inebbriato. Diceva l'anima sua: "No, no. Non è più la stessa cosa. Povera donna! Che eroico coraggio ha avuto! Non è più la moglie, dunque: colei che ha tutti i diritti, che, anche non amata, è la famiglia, la casa, il dovere, la catena legittima e solida, colei che può guardare dall'alto in basso l'intrusa, schiacciarla col suo disprezzo borghese di creatura forte, ben protetta dalla legge, che tiene il coltello dal lato del manico contro la nemica inerme.... armata solo del suo amore.... Adesso, è un'altra cosa! La nemica inerme, adesso, è lei, misera donna!...". E le pareva vederla, quasi in una figurazione grafica, senz'armi per difendersi, con le braccia cadenti, disfatta, col fardello del suo inutile amore, povero straccio umano che ricopriva un inumano dolore.... Nazarena si sentì come frustare la faccia da quell'umile esempio di grandezza insospettata, e la nativa generosità le arrossò la fronte. "Combattere contro un'avversaria che non ha più armi per difendersi! Ah! sarei una vigliacca, una vigliacca!" Rabbrividì. Il suo grande amore le piangeva dentro una disperata elegia. — Rinunziare a lui, rinunziare a lui. Ah.... non posso! Eppure è necessario! Cosa era dunque accaduto? Aveva saputo che Filippo era libero, che il suo amore non era più colpevole.... che poteva avere una soluzione legittima.... e per la prima volta, dacchè amava e voleva ghermire la difficile felicità, vedeva all'improvviso un insormontabile ostacolo sorgere nel radioso orizzonte della novella libertà.... Le sue labbra mormoravano disperatamente: "Addio amore, addio sogno, addio felicità....". Si buttò con la faccia contro l'erba, singhiozzò contro la terra tiepida che odorava di erbe appassite, vicine a morire.... Il vento portava dal bosco foglie rosse, foglie gialle, foglie color ruggine sulla personcina squisita che giaceva come un povero animaletto ferito, palpitante sul seno della terra, madre di tutti i dolori.... |
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