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Eugenia Codronchi Argeli (alias Sfinge)
Il castigamatti

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  • IL PERDONO.
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IL PERDONO.

 

Due anni innanzi, la partenza della contessa Parisini Guidi dalla casa maritale per infedeltà del marito era parsa a tutti un bel gesto. Nuovo, originale, chic. Sì, perchè è molto raro che una donna, specialmente una dama, dia tanta importanza alla fedeltà coniugale. Una signora si divide dal marito se egli la maltratta, se sperpera, se.... essa lo tradisce.... ma quasi mai se egli la tradisce. Cose che accadono, bazzecole, vento che passa, onda che va.... Ecco perchè la fuga dal palazzo Guidi della giovane contessa, parve una bella e ardita novità e divertì il pubblico, il quale applaudì come si applaude uno spettacolo che piace. Ma adesso, dopo due anni, a giudizio maturo, dietro ponderata riflessione, la gente cominciava a pensare e a dire che la contessa Parisina avrebbe fatto bene a perdonare al consorte e a rientrare sotto il suo tetto. Cristianamente, socialmente, femminilmente avrebbe dovuto perdonare. L'opinione pubblica, insomma, avrebbe voluto la riconciliazione dei coniugi Guidi. Perchè? Ma! Così. Perchè la gente avrebbe giudicata divertente, dopo la burrasca, quella soluzione pacifica, riposante e morale. Dilettantismo di mutamento, egoismo collettivo, amore di emozione e di quieto vivere insieme.... in un fondo di cinismo e di meneinfischismo dei mali altrui.

Questa la "galleria". Ma le "prime parti", accanto alla contessa, erano d'accordo con la galleria, anzi rappresentavano i corifei del lontano coro.

I genitori di Parisina avevano accolta la figlia a braccia aperte nella loro casa, coi due piccini, al momento della "fuga": l'avevano compianta, approvata, curata (perchè era stata molto male), trattata come se fosse ancora giovinetta, in casa sua.

Sì, certo, senza dubbio. Ma ora, passata la prima terribile esplosione di dolore e di delusione, passato il periodo di abbattimento, tornata la salute fisica, passati gli eventi al filtro della riflessione.... i genitori pensavano che la loro figlia dovesse tornare con suo marito. Essi cominciavano ad invecchiare, e quello scombussolamento improvviso delle loro abitudini dolcemente tranquille, aveva durato anche troppo. Maritata la figlia nella stessa città, essi prendevano tutto il buono ch'essa poteva loro dare.... le care visitine, le carezze dei bei nipotini, una folata di tenerezza e di giovinezza, ogni tanto, anzi ogni giorno, a piccole piacevoli dosi; poi l'ordine perfetto, le care abitudini, il bridge serale, i pranzi eccellenti con gli amici buongustai, le partenze a date fisse per la campagna, pei piacevoli viaggi verso i paesi del sole.

Ora tutto era capovolto. Una invasione di bimbi, di nurses, di abitudini diverse; e la figliuola sempre triste da consolare, da accompagnare.... Un vero finimondo!

La madre diceva alla figlia: — Mia cara bimba, se non c'è nessuno che abbia il coraggio di parlarti, lo avrò io questo coraggio, perchè si tratta del tuo bene. Sì, lo so, lo sento, nessuno più di me ti comprende e ti compiange. Ma, dopo tutto, siamo cristiani e ci dobbiamo regolare secondo gli insegnamenti della religione in cui siamo nati. Tuo marito è pentito dell'offesa che ti ha fatta. Ti chiede perdono. Tu glielo devi accordare. Devi questo a te stessa (se non a lui) ed ai tuoi bambini. Tu non hai il diritto di privarli della loro casa, della loro famiglia, della serenità del focolare. Pensaci. Ti parlo pel tuo bene.

Parisina rispondeva: — Non posso. — E non le si cavava di bocca più di così. Il confessore la catechizzava, ed ella rispondeva: — Non posso. — Le amiche più intime la esortavano ed ella rispondeva: — Non posso. — Il suo medico l'ammoniva ed ella rispondeva: — Non posso.— Il suo vecchio amico prediletto, il confidente più vicino al suo cuore, le diceva le parole della sua saviezza. Ma ella rispondeva: — Non posso.

A questi però diceva qualche cosa di più. Sì, qualche volta, quando le pareva di avere una pietra sul petto o quando le pareva d'essere sull'altalena, nel momento della discesa, quando lo stomaco sembra svuotarsi.... e si è lì lì per mancare.... Allora piangeva o parlava. Ma solo col suo vecchio amico, il più intelligente, il più sensibile di tutti, sotto quella sua maschera elegante di filosofo pessimista.

— Perchè mi parla di perdono, lei, padrino? Mi spieghi prima cosa vuol dire perdonare. Rinunziare alla vendetta o al castigo. È così? Ciò poteva essere (in altri tempi) un atto di clemenza e di bontà. Ma ora che non si tratta più nè di vendette nè di castighi, cosa vuol dire perdonare? Dimenticare le offese? Ma dimenticare non è in nostro potere. Quell'uomo al quale avevo dato tutto, nel quale credevo come in un Dio, che adoravo, pel quale avrei dato la vita, mi ha offesa mortalmente nel mio amore e nella mia fede, preferendomi una donna che non mi valeva, mentendo, avvelenandomi il cuore, uccidendo la mia fede nel bene, rovinando la mia gioventù, sostituendo l'amaro del fiele a tutte le dolcezze del mondo.... E vuole che io dimentichi questo? Odio quell'uomo. Come posso perdonargli?

— No; lo ami — diceva il vecchio amico tristemente.

— Forse. — Sospirava essa con un guizzo di disperazione negli occhi.

— La tua sventura, figliuola mia, è quella di accordare soverchia importanza al tuo cuore, di farne il fulcro dell'universo. "Rimpicciolisci il tuo cuore" dice la saggezza cinese. Il cuore è un piccolo muscolo importuno e pieno di eccessivo, incosciente egoismo.

— Egoismo! — ella protestava. — Avrei date mille vite per lui!

— Ma al patto di averlo tutto in tua mano, anima e corpo. Forse codesta è un'esigenza innaturale e troppo superba, da parte di una donna. L'uomo ha una libera anima e un libero corpo.... La natura lo ha fatto così.... e non può essere prigioniero di una donna, neppure amandola....

Ella diceva: — Non so cosa rispondere alla sua filosofia. Io non ho obbedito e non obbedisco che al mio sentimento. Davo tutto e volevo tutto. L'amore vero e grande vuole il contraccambio assoluto. Anche una donna ha la sua gelosia, la sua dignità, il suo onore e il suo dolore. Peggio per chi non lo capisce. Ho troppo patito per poter dimenticare!

— Tu ami ancora tuo marito. — Concludeva il vecchio amico.

Ella non replicava.... perchè il suo povero cuore temeva che fosse proprio così.

 

§

 

Così sciupata di dentro, la contessa Parisina, e così graziosa di fuori!

Il dolore aveva data ai suoi grandi occhi scuri una nuova intensità di sguardo e una profondità vellutata che spiccava a meraviglia sulle guance assottigliate e pallide di madonnina un po' manierata, un po' troppo bella, di Carlo Dolci. Adesso l'uragano passando su quella sua troppo composta, troppo geometrica bellezza, vi aveva portato un poco di artistico disordine. A qualcuno essa ricordava, ora, i ritratti della grande appassionata Rachel, con quella piccola fronte convessa che era la sola linea un po' irregolare del suo bel profilo.

Le donne, con gioia, la giudicavano invecchiata. Gli uomini, con altrettanta gioia, la giudicavano più interessante. A furia di sentirselo dire, cominciò a trovarci un po' di gusto. Ma non per piacere ad essi: per sè. Le dava qualche soddisfazione, la divertiva blandamente d'essere carina. Prima le piaceva d'essere carina solo per lui. Adesso voleva esserlo solo per sè. Gli uomini, individualmente, le facevano schifo. Per uno di essi aveva sofferto tanto che faceva responsabile delle sue pene tutta la corporazione mascolina. Ma gli uomini, come massa anonima, come platea, allora sì.

Ricominciava, dopo due anni, a frequentare il "mondo", sempre con sua madre, o con suo padre, o col padrino. Andava ai teatri, ai concerti, alle letture. Le piaceva un poco (solo un poco, come si conviene a dolentissima, disillusa donna) d'essere guardata, ammirata, corteggiata.

Dopo l'interessamento pei suoi bambini (da prima — benchè li avesse rapiti nella stessa automobile della sua fuga, come pecorelle insidiate da un lupo — non si poteva occupare con gioia nemmeno di essi), al ritorno dell'equilibrio nel suo povero essere turbato, il primo suo svago fu quello di coltivare la sua persona.

Il suo amor proprio non aveva sofferto consciamente, perchè l'amore vero è più forte dell'orgoglio e della vanità. Ma ora, a poco a poco, tornava a galla, anche quello, e poichè era stato ingiuriato e calpestato, aveva bisogno di consolazione e di riabilitazione. Non era dunque giovane, bella, desiderabile? Ma sì. Se suo marito l'aveva disdegnata e umiliata.... tanti altri l'ammiravano e sarebbero stati disposti ad amarla. Questa sicurezza bastava alla sua vanità. Amare? Mai più! Era una donna a passione unica, una donna di castità e di fedeltà. Fedeltà a chi, ormai? A se stessa. La fedeltà le pareva la vera nobiltà dell'amore. Le pareva che la sua durata rappresentasse il suo blasone. Se può e sa durare a lungo, l'amore è un gentiluomo. Se passa, è un volgare plebeo. Nella sua inconsciamente aristocratica maniera di pensare e di sentire, le pareva di non poter bollare l'infido amore peggio di così. Era una donna a passione unica, a uomo unico, cui il bis nell'amore, anche legittimo (supponendo che suo marito fosse morto) sarebbe parso un adulterio ed un sacrilegio. Si nasce una volta, si ama — così — una volta, si muore una volta. Essa sentiva che la vita dell'anima e del senso era per lei finita. E non aveva ancora trent'anni!

Però, a poco a poco, il suo dolore si raddolciva, perdeva, per dir cosi, gli angoli acuti; la sua salute rifioriva, la calma (una calma triste, quasi un pacato sentimento di precoce vecchiezza) entrava nel suo cuore. Aveva i suoi figli, che il padre, almeno in ciò onesto, non le contendeva. I suoi due figli da amare, da educare.

Sì, ma è retorica l'affermare che alle donne giovani bastino i figli per la loro felicità. No. La felicità di queste è fatta di mille svariate cose. I figli bastano alle madri quando esse sono vecchie, allora che la loro maternità è fatta di ricordi, di rinunzie e di quella tragica tenerezza che tutto dà e nulla chiede.

La contessa Parisina cominciava a riattaccarsi alle diverse consolazioni che le offriva la vita. La ricchezza (aveva la sua larga dote di cui il marito non toccava più un soldo), i viaggi, la toilette, la beneficenza, questo sport del sentimento, che somiglia al tennis, al canottaggio, alla pesca e via dicendo. Pescare qualche fresca trotella in un lago azzurro, dà, a certe donne, press'a poco la stessa emozione che loro dà il visitare un povero a domicilio, avendone ringraziamenti e benedizioni....

Il piacere dell'abbigliamento la prese e la sedusse in modo speciale. Era sempre stata elegante, in quella maniera che consiste nel farsi vestire dai migliori sarti, secondo gli ultimissimi modelli. Eleganza un po' comune, impersonale, che fa sembrare le donne, in certe riunioni, un vasto collegio (molto laico) di cui ognuna rivesta press'a poco la stessa uniforme. Ora la contessa Parisina si stava facendo una linea sua, originale ma seria, fuori del comune ma sobria e composta. La sua personcina flessibile, la sua piccola testa espressiva ed altera ch'essa portava sul collo bellissimo, come le antiche canefore portavano le loro paniere, davano squisito risalto all'abbigliamento. Aveva il piccolo genio del buon gusto. Possedeva il senso della linea e del colore e portava i vestiti con semplice grazia istintiva, come se fossero la sua stessa pelle. Gli uomini forse non sanno (meno pochi raffinati) quali delizie possano dare al corpo femminile le carezze degli indumenti. Anche alle donne d'ingegno superiore, se restano vere donne. I bei tessuti dolci a toccarsi, i merletti, i veli, le gemme, gli effetti di luce, i lievi fruscii delle stoffe, i profumi, compongono un tutto così deliziosamente divertente e voluttuoso, che le persone serie hanno il torto di disprezzare.

Il piacere che prova la donna nel vestirsi ed ornarsi non deve essere solamente spiegato dall'atavica e permanente tendenza della femmina ad abbellirsi per piacere al maschio. No; nei piaceri dell'abbigliamento c'è della personalità e dell'intelligenza, ci sono delle aspirazioni d'arte incosciente ma innegabile. In questa manifestazione di finezza e di esteticismo la donna supera l'uomo (le eccezioni non contano) e ne ha godimenti che esorbitano dal giudizio sommario di "vanità" che di questa passionale tendenza donnesca dànno gli uomini.

Parisina, mollemente avvolta nelle sue dolci sete, si consolava a poco a poco e blandamente si rasserenava. Ma la sua dolce malinconia ancora si esasperava quando coloro che l'amavano andavano a parlarle di perdonare al marito infedele. Ora rispondeva con minor violenza, senza impallidire fino alle labbra come un tempo faceva. Diceva freddamente: — No, è inutile, non posso, non voglio. Sto bene, sola. Riunirmi al conte Guidobaldo Guidi, perchè? Sarebbe una finzione inutile, una mascherata. No! No!

I suoi piccini l'adoravano, le amiche le volevano bene perchè era infelice (alle persone che si credono felici nessuno mai vuole bene), l'equilibrio si andava ristabilendo nella sua vita. Ma i suoi genitori trovavano che era troppo giovane, troppo bella, troppo elegante per andare nel mondo come ora faceva, sola o accompagnata da cavalieri non consanguinei.

Parisina andava in società solo per indossare i bei vestiti che la rallegravano, per farli ammirare e anche un po' invidiare.... perchè no? Degli uomini continuava a non curarsi. Quando non la disgustavano addirittura, le erano indifferenti. Aveva solo bisogno di pace, aveva paura del dolore, aveva un unico desiderio: la calma. Quel vigliacco desiderio di calma, di riposo, di oblio, che diventa l'unica aspirazione delle creature che hanno molto sofferto e che non s'accorgono che il riposo perfetto dell'anima è la morte nella vita!

Il tempo passava, il pietoso tempo che è balsamo, cotone, ristoro pei mali che bruciano. A poco a poco il male di Parisina non bruciava più.... Ella lo sentiva addormentato, cicatrizzato, e se ne ricordava solo ogni tanto, come di quelle ferite che dolgono quando muta il tempo. Che bellezza! non le doleva più il petto, proprio fisicamente, come un tempo, quando pensava a suo marito. Cosa sentiva? Nulla. Rancore? Rimpianto? Nostalgia? Nulla. Nulla. Non soffriva più. Non le importava più. Guarita dall'amore e dal dolore! Che benessere provava! Un benessere dolce di convalescente, che torna alla salute. Una vita senza vita, sì. Ma quando si è giovani e belli e sani e ricchi, la vita ha sempre qualche risorsa, qualche piccola dolcezza, anche senza quella stupidissima, malefica cosa che è l'amore!

 

§

 

Passavano i giorni, calmi, sereni, quasi lieti, per la contessa Parisina Guidi, torre d'avorio, disperazione de' suoi malcapitati spasimanti. Suo marito cui ella aveva reiteratamente rifiutato il perdono in cinque anni, aveva viaggiato, aveva lavorato, aveva anche vissuto ore di gaudio volgare, pure portando vivo nel cuore il ricordo di sua moglie (che amava ardentemente dacchè l'aveva tanto fatta soffrire) e la speranza di riunirsi un giorno a lei. I ripetuti rifiuti di perdono lo avevano afflitto ma non scoraggiato. Diceva tra sè e con gli ambasciatori sfortunati: — Adesso mia moglie non mi ama più. È offesa nel suo amor proprio e il suo carattere è ostinato. Ma un giorno mi amerà ancora. Non perdo la speranza anzi la fede. Mi ha tanto amato che mi riamerà, e allora mi perdonerà.

E dell'avviso del conte Guidobaldo Guidi erano anche i parenti di Parisina e gli amici che più le volevano bene. Tutte persone che si credevano astute e forti in quella scienza, più astrusa della matematica, che si chiama psicologia.

Dàlli e dàlli, prega e riprega. Alti personaggi adoperati come intermediari: prelati, uomini politici, come per una mondiale conferenza della pace! In fondo, si trattava di ritornare semplicemente sotto il tetto coniugale disertato cinque anni innanzi. I figli avevano il diritto di crescere nella loro casa. Ella poteva accordare al marito pentito e ravveduto (che aveva compiuto un pericoloso viaggio, che aveva perfino scritto un libro) il suo cristiano perdono, andando a vivere con lui, almeno, come una buona sorella. Era ormai il suo preciso dovere.

Ella non rispondeva. Ma tutto faceva supporre che essa stesse per capitolare.... e che più miti sentimenti le tornassero in cuore verso l'uomo che tanto aveva un tempo amato, poscia odiato e vituperato.

Allora qualcuno consigliò al conte Guidi di presentarsi risolutamente a sua moglie per ottenerne, quasi per sorpresa, il tanto sospirato perdono. Egli andò, quasi in aria di conquistatore, forte del suo antico potere su quella donna, ancor bello benchè un po' invecchiato, soddisfatto nel suo amor proprio, acceso di rinnovato amore, fatuo come tutti gli uomini che si sanno molto amati, lieto che il suo pronostico si fosse finalmente avverato....

Gran signore di maniere, elegante, di mediocre animo, con un po' di goffaggine sulla consueta disinvoltura, con un po' di vera commozione in fondo al cuore, si presentò a lei un giorno, e disse, dopo averle baciato la mano, inchinandosele profondamente: — Sono venuto, dunque, mia cara, e prendere la mia assoluzione. Ho aspettato quasi come Giacobbe! Ma.... lo sapevo che tu mi avresti amato ancora, presto o tardi, e che mi avresti perdonato!

Parisina era commossa.... perchè aveva avuta una terribile paura di commuoversi! Invece, nulla.... o quasi nulla! Un piccolo sbatter d'ali, un soffio, un tonfo.... poi più nulla! Che felicità! Suo marito era là davanti a lei come un altro uomo qualsiasi. Si sentì forte, padrona del suo destino, più forte di lui. Sì, perchè sentì che per lui non avrebbe sofferto, nella vita, mai più! Quella sicurezza fasciava il suo spirito di forza e di serenità.

Era in piedi, accanto ad una gran tavola coperta di un broccato giallo sul quale si allineavano alti vasi d'argento, pieni di gladioli multicolori, battaglieri come lancie in resta. Era il suo piccolo salotto di fanciulla dove lo aveva ricevuto per la prima volta.... Lo accolse in piedi: non si sedè e non lo fece sedere.

Indossava un molle vestito di crespo di un soavissimo colore violaceo con larghissime maniche, e una piccola cintura cadente. Monacale e seducente, languida e austera insieme. Il suo vestito era uno stato d'animo.

Preparandosi, dianzi, al colloquio, pensava che non avrebbe detto nulla a suo marito; non provava per lui nessun sentimento, nè buono, nè cattivo. Egli non esisteva più per lei. Era caduto giù dal suo pensiero e dal suo cuore come un frutto che cade da sè, così, perchè l'albero non lo regge più....

Allora? Non sapeva le parole di quello strano stato d'animo. Voleva tacere. Invece parlò. Ubbidì ella ad un impulso di tardiva vendetta? Ubbidì all'interiore comando di una necessaria sincerità? Disse:

— Io vi perdono, sì, Guidobaldo. Posso finalmente perdonarvi perchè.... non vi amo più.

La cosa ch'ella aveva detta era troppo finemente profonda per la comprensione del conte, che era difeso da un solida fede in sè stesso.

Egli sorrise incredulo, ma sulla sua bocca apparve una piega di delusione e di perplessità che male nascondeva un improvviso dubbio.... forse il principio di un tormento.

Ella pensò: — Egli sorride.... eppure soffre. Ma quel pensiero non le diede la minima sensazione di gioia. Poichè non lo amava irrimediabilmente più, quale gioia poteva mai venirle dal suo patimento?...




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