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Eugenia Codronchi Argeli (alias Sfinge) Il castigamatti IntraText CT - Lettura del testo |
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IL MARITO DI "LAURA".
Bisogna confessare che ci sono a questo mondo posizioni difficili e complicate. Per esempio, cosa deve fare (non dico cosa deve sentire, perchè il sentimento è impulsivo ed ingovernabile) cosa deve fare, dico, un galantuomo che si trovi in questo frangente: egli ha una moglie con la quale vive, dopo alcuni anni di amore, in un dolce piacevole cameratismo, stimandone l'intelligenza vivace, la praticità di massaia, la sobria eleganza, la maternità assennata, il carattere uguale e sereno. E un bel giorno (bello è in questo caso sinonimo di brutto) s'accorge che sua moglie ha un amante. Ssss! Non basta! Un momento. E questo amante è un uomo celebre, un grande scrittore da lui fortemente ammirato (il marito è un fine dilettante d'arte, un vero buongustaio) e da lui stesso presentato alla sua donna, per l'ambizione di avere nel loro salotto un autentico astro fra tanti asteroidi. ....Ancora un momento.... Non è finito il quesito. E il dabben uomo si è accorto, con la sua lucida intelligenza e con la freddezza che gli consentono le ceneri del suo ex-amore maritale, che la relazione peccaminosa che unisce sua moglie e il grand'uomo non è un semplice capriccio e nemmeno una scalmanaccia sensuale, ma una vera e propria e tormentosa passione. Ecco.... Quello che un marito debba fare in simile caso giudicheranno in chi sa quante svariate guise i lettori, che avranno differenti ideali, morali, coscienze.... eh già! perchè, se no, il mondo sarebbe monotono.... Ma quello che fece il nostro signor Pietro Di R.... esce un pochetto dal comune e mette conto di raccontarlo. Quando dunque egli s'accorse che la sua metà mancava al dovere di fedeltà coniugale (avvertito da una lettera anonima documentata, verificò e dovette persuadersi) fu a tutta prima addolorato, questo s'intende, ma sopratutto seccato, disturbato nel suo dolce quieto vivere; e, per mettere subito qualche cosa fra la sua brutta sorpresa e la sua necessaria decisione, risolse di metterci.... una discreta quantità di chilometri.... e fece un viaggetto. Lontano da casa, ritrovò l'equilibrio, gli passò l'emicrania che lo aveva assalito nei giorni decorsi, riacquistò l'appetito che aveva quasi perduto.... e si sentì in corpo il nostalgico desiderio del focolare domestico. Egli, in verità, aveva organizzato il suo nucleo famigliare in modo perfetto. Tutti glielo lodavano, molti glielo invidiavano, e non avevano torto. Un delizioso villino di gusto squisito, munito di tutte le raffinatezze. Una bella moglie decorativa, simpatica alla gente, che aveva il piccolo genio della conversazione, che riceveva con grazia impareggiabile. Due bei bambini robusti; una brava nurse inglese; una bella automobile; un buon cuoco che rubava con discrezione, un amministratore onesto e affezionato: parecchi amici fedeli e moltissime conoscenze piacevoli, fra cui alcune illustri che lusingavano il suo "snobismo". Tutto scivolava come sulle rotelle, in casa sua, nel bel villino sempre pieno di fiori, di libri, di visite interessanti.... Ci si stava come in un piccolo eden.... e la lontananza lo rendeva ancor più apprezzabile al buon conoscitore. La coscienza della propria colpa e la passione felice rendevano, da qualche tempo, ancor più soave, ancor più diligente in tutte le sue mansioni la bella signora Nelly. Era proprio bella! D'una bellezza un po' fuori di moda, un po' fredda, di madonna raffaellesca, divinamente insulsa, come, per esempio, la "Bella giardiniera" del Louvre. Ma nel cuore era tutt'altro che fredda: e se non lo aveva dimostrato al legittimo consorte, si era rivelata poi al celebre poeta X. X. che si era pazzamente innamorato di lei e che ne era stato il fortunato Pigmalione. Dunque il signor Pietro Di R. tornò dal suo breve viaggio deciso.... ad ignorare tutto, a voler credere di aver fatto solamente un brutto sogno. Ma tornò con l'animo mutato. Dentro il suo largo petto, dietro la sua faccia colorita e sbarbata, apparentemente ancora gioviale, si nascondeva uno spiritello pugnace, armato della sua forza cosciente. Ne' suoi miti occhi inguainati nelle palpebre grasse, d'uomo troppo ben nutrito e troppo riposato, rideva ora una piccola luce maliziosa che scintillava come una contenuta minaccia. Minaccia a chi? Ma! Chi si vedeva guardato così da lui.... non poteva sentirsi totalmente tranquillo. Infatti la bella e soave signora Nelly ne fu un po' turbata e gli chiese: — Cos'hai, caro Pietro? Mi sembri un po' diverso del solito. — Davvero? Tu, invece, mi sembri la stessa: cioè, il modello di tutte le perfezioni! E la guardò acutamente, sdraiandosi nella sua poltrona preferita, sbuffando fuori il fumo della sua ottima sigaretta in una successione di anelli azzurrini. La signora Nelly abbassò i suoi belli occhi dorati di Madonna, e restò con la molesta compagnia di una certa perplessità.... La sera avevano ricevimento, e alla riunione scelta era promesso il gaudio della lettura di un nuovo poemetto del celebre maestro, amico di casa, X. X. Il quale era più che mai innamorato della signora Di R. che era diventata per lui, insieme alla gloria, la ragione più forte della sua vita. Egli non era più molto giovane, e provava per la prima volta l'accecamento di una fonda passione che tutto lo possedeva. Quella bella forma femminile, quel temperamento un po' freddo ch'egli aveva svegliato ai palpiti dell'amore, quella docile ammirazione del suo ingegno, suscitavano la sua vena poetica, distendevano i suoi nervi, riscaldavano la sua anima, dandogli quel benessere interiore, quella parvenza di felicità cui aveva prima invano aspirato. Egli avrebbe voluto di più. Amava tanto quella donna che non avrebbe domandato di meglio che d'averla tutta per sè, a costo di uno scandalo. Ma sapeva che l'amore di lei, grande abbastanza per giungere fino alla colpa, non era grande abbastanza per farle dimenticare i suoi figli e calpestare apertamente le leggi del mondo. Così egli si era acconciato a contentarsi di quello che poteva avere, e aveva accettata la posizione, che pure gli repugnava un poco, di assiduo amico di casa, oggetto delle speciali, premurose attenzioni del marito "dilettante d'uomini illustri". Pur di stare vicino a lei, pur di vivere nel suo respiro, di vedere l'armonia di quelle belle forme ondulate di creatura sana e bionda come le belle ninfe che sognava e cantava, egli sopportava da un pezzo, ormai, l'amicizia opprimente del rivale.... che lo soffocava con la sua ammirazione aggressiva. Ma egli non sapeva che presto avrebbe dovuto sopportare qualche cosa di più. Il primo incontro con lui dopo il suo ritorno dal viaggio avvenne la sera del ricevimento e della lettura: ed il poeta, assorto deliziosamente nella contemplazione della sua bella amante, che, tra una nube di veli rosei, era, quella sera, più tentatrice che mai, non s'accorse del saluto freddo del marito di lei, dello sguardo diverso col quale lo guardò. Egli si sentiva press'a poco in pace verso di lui. Cosa poteva fare di più per essergli gradito? Cercato a dritta e a sinistra in salotti più illustri, da dame titolate che se lo contendevano, egli ricusava tutti gli inviti, dando sempre la preferenza ai Di R. la cui casa era stata circonfusa da lui di novello splendore. La vanità del buon borghese era soddisfatta. E l'abilità con la quale il poeta conduceva da due anni la relazione con la signora Nelly dava ormai affidamento che il marito non aveva e non avrebbe mai nemmeno l'ombra del sospetto.
Il poemetto, una evocazione di paganesimo sapientemente trasfuso nelle sensazioni della natura, con la solita forma smagliante, in versi di perfezione lapidaria, reazione alla sciatta bruttura dei versi che non tornano dei poetucoli modernissimi, era una nobile cosa, e il poeta, ancora attraente anche come uomo nella sua persona magra, con la sottile barba scura, col profilo segaligno, con la lente nell'occhio; il poeta, che aveva una bella voce, che leggeva bene, che posava molto, ebbe un successo strepitoso. Le cinque o sei belle donne ivi adunate andarono in visibilio, gli uomini (tutti "intellettuali") mostrarono di gustare la bellezza dell'opera e l'onore del privilegio di conoscerla avanti-lettera. Dal coro di lodi uscì a un tratto la voce un po' assonnata del padrone di casa, che aveva la sua faccia ridente di mascherone di terracotta, come se dalla sua bocca grossa e sana stesse lì lì per iscaturire una fontana. — Illustre maestro, debbo essere sincero? il vostro poema è bello.... ma freddo. Io non sono un letterato, ma un buongustaio che raramente s'inganna. Quando rimpiango il mio avana.... è brutto segno! Forse il vostro lavoro è troppo difficile per me.... corro nel "fumoir". Auff! Il poeta prese la cosa in burletta. Si mise a ridere (cioè a sorridere, perchè egli non rideva mai) gli disse dietro, ma dolcemente: — Siete un idiota, amico mio! E, circondato dal crocchio scandolezzato delle donne fanatiche, passò nella sala del buffet. Ma le parole strane e insolite del marito non parvero così innocue alla signora Nelly: la quale, all'amante che un momento le si avvicinò, senza testimoni, disse concitata e preoccupata, senza perdere l'immobile serenità della sua bella fronte coronata d'oro: — Cosa succede, ancor mio? C'è in lui qualche cosa che mi fa paura.... Egli le rispose, contenendo a stento l'onda appassionata del suo sguardo: — No, mia dogaressa. Nulla. È più villano del solito. Non occupiamocene! Ha mangiato e bevuto come un bruto. Se fosse in sospetto, il suo stomaco funzionerebbe meno bene.... Ti bacio, ti bacio.... E si separarono, tranquilli.... Ma la tranquillità non durò. I modi del marito ingannato verso sua moglie e specialmente verso l'amante divennero permanentemente scortesi ed aggressivi. Pareva un superiore che trattasse degli inferiori; inferiori di posizione, di coscienza, d'ingegno. Qualunque cosa essi dicessero, egli la contraddiceva. Per sua moglie affettava un indulgente disprezzo, quasi ella fosse diventata all'improvviso una minorenne o una deficiente. Ma col poeta aveva assunto un tono di protettore bisbetico col suo protetto. E lo tiranneggiava. Lo obbligava a giocare con lui alle carte o al biliardo, due svaghi che il poeta aborriva. Lo andava a prendere in automobile ad ore non convenienti alle sue abitudini. Lo invitava spesso, anche troppo, ma cercava di tutto per essergli disaggradevole. — Maestro, questa sera voglio farvi assaggiare un cocktail di mia invenzione. Non mi dite di no! Mi offenderei! Sentirete che nettare! Altro che i vostri versi! E tanto insisteva che lo scrittore, press'a poco astemio, doveva finire col bere, compromettendo perfino la sua salute. Una sera, in presenza di diverse persone, avendo X. X. enunciata una sua opinione con quel suo tono un po' cattedratico che gli aveva concesso di assumere la grande stima in cui era tenuto da tutti, il signor Di R. sbuffò: — Suvvia, caro maestro, non ci raccontate frottole! Noi siamo degli umili analfabeti al vostro cospetto: ma quello che voi avete detto è semplicemente una sciocchezza! Il poeta non fu padrone dei suoi nervi a quell'uscita villana, e, alzando le spalle, esclamò: — Non discutete su cose superiori alla vostra comprensione. Rimanete ai vostri cocktails.... e alla benzina per le vostre automobili! Il padrone di casa tacque, ma, partiti gli ospiti, disse alla moglie: — Senti, consorte carissima! Se quell'illustre rompiscatole mi manca un'altra volta di rispetto, in casa mia, lo metto, come due e due fanno quattro, alla porta. Sei avvertita.... E ridendo del suo grosso riso, che pareva il riso d'un cuor contento, andò a coricarsi.
Nel loro clandestino nido d'amore, i due amanti si parlarono a cuore aperto: — Evidentemente egli sa — disse il poeta — e profitta vilmente della sua posizione. Il suo intuito grossolano, ma sicuro, gli dice che io ti amo a tal segno da tollerare tutto da lui per non perderti. Potrei vederti qui, ma non mi basta: Io ho bisogno di vivere nel solco della tua vita. E mi sento la forza di sacrificarti la mia stessa dignità.... in faccia a lui. Del resto, la mia debolezza è solo una forza, perchè è la forza del mio amore. E lui è troppo piccolo, troppo nullo accanto a me.... perchè io mi senta menomato dalla sua bassa condotta.... Dammi le tue labbra divine, mia dolcezza, io mi vendico di lui, così! Ella si rodeva in una collera impotente contro suo marito: — I miei figli.... Per essi, per essi soltanto! Lascia che crescano ancora.... che non abbiano più tanto bisogno delle mie cure.... eppoi vengo via, con te, per sempre!... Ma ora sono ancora troppo piccoli.... non mi fido abbastanza della nurse, l'affetto del loro padre è grossolano, essi mi adorano.... si addormentano col mio bacio, si svegliano con una mia carezza...: Pazienza ancora un poco, amor mio! Perdono, perdono, di quello che devi sopportare per me! E, vedendosi in ginocchio davanti la bella Madonna raffaellesca, scesa dal suo trono ideale, coi dolci occhi piangenti, il poeta e l'amante, inebbriati di bellezza e d'amore, scordavano il giusto risentimento umano e navigavano in un immenso mare di felicità.... Il poeta cresceva ogni giorno in fama ed in gloria. Era diventato ricco (il fatto qui narrato non accade in Italia.... dove la ricchezza non va d'accordo con la poesia). Oramai la critica da prima ringhiosa, aveva dovuto inchinarglisi. Tutte le diverse categorie di intelligenti o di cretini lo avevano accettato: chi per ammirazione sincera, chi per snobismo.... chi per fare dispetto a qualche altro scrittore. Il nome di X. X. serviva adesso come un proiettile da scagliarsi in faccia ad altri scrittori che volevano arrivare. Il poeta stesso, uomo di spirito, se ne accorgeva e guardava il mondo dall'alta cima del conquistato Elicona. Una volta, udendo un inno iperbolico in suo onore, fatto da un critico.... itterico, esclamò, guardandolo con la sua lente beffarda: "Ma di chi vuol dir male costui?" Eppure "il pericolo giallo" (una sua definizione della critica fegatosa) gli stava ai piedi, come una muta di cani in lassa.... Una volta fu invitato a recarsi a Roma, in occasione di una solennità patriottica italiana che egli aveva magnificamente celebrata in versi, e ad assistere ad una festa in suo onore. Era anche il venticinquesimo anniversario del suo primo volume di versi. Si era formato un comitato, l'Urbe si preparava ad accoglierlo con gli onori dovuti ad un trionfatore. Il poeta si sentiva incline a tenere il lusinghiero invito, lieto di rivedere Roma per la quale aveva un culto. Ma gli doleva aspramente, come ad un collegiale alle prime armi amorose, di separarsi dalla donna amata. Essa lo spingeva a partire, pure tristissima di doversi separare almeno per due settimane da lui. Un giorno il signor Di R. tagliò il nodo gordiano: — Che ne dite, illustre amico, di una mia idea? Questa: poichè vi vedo imbarazzato come un pulcino all'idea di lasciare le vostre abitudini, vi propongo di accompagnarvi in Italia: io e la mia signora, sicuro! Perchè no? Noi faremo un bel viaggio e vedremo il paese dove fiorisce l'arancio, che ancora non conosciamo. Voi avrete la nostra compagnia, il mio aiuto pratico, in treno e negli alberghi. Potete risparmiare di prendere il vostro segretario. Noi avremo il piacere di goderci.... l'illuminazione della vostra gloria! Eh? Che bei matti anche quegli italiani che vi prendono sul serio! Il patto singolare fu accettato, ed il terzetto assurdo si mise in sleeping-car. Ma a Roma, se nelle funzioni ufficiali, se nelle pubbliche celebrazioni le cose andarono bene (perchè solo il festeggiato era in piena luce) nell'intimità, nelle piccole riunioni intellettuali, nei salotti eleganti dove il gran poeta straniero fu di continuo invitato, si passava da uno scoglio all'altro. Perchè egli non accettava inviti se non erano estesi ai suoi amici e compatrioti che viaggiavano con lui. La cronaca di oltr'alpe non essendo ancora ben conosciuta a Roma, pareva a tutti stranissimo quel terzetto.... insolito. Cos'era quella bella donna, giovane ed elegante, che aveva l'aria così per bene, ma che pareva essere la musa del poeta? E quel marito? Da principio tutti compiangevano quell'infelice terzo incomodo che aveva una buona faccia rubiconda di caratterista da commedia, che era sempre di buon umore, che restituiva magnifici pranzi al Grand Hôtel, che aveva l'aspetto di un buon diavolo, indegnamente ingannato e.... cieco-nato. Ma a poco a poco, nel corso di due settimane, la valutazione della sua persona morale mutò, e anche lì l'eterna Sfinge che custodisce i segreti del cuore umano, propose alla curiosità della gente avida di emozioni un enigma stuzzicante. Sapeva il signor Di R. o non sapeva? Era un pazzo o un savio? Un furbo o un vile? Una sera, la vigilia di rimpatriare, il poeta straniero ebbe in Campidoglio il ricevimento in suo onore che mise il culmine ai festeggiamenti. Nel luogo più bello e più sacro del mondo, in uno di quei palazzi michelangioleschi che nessuna nazione può vantare, in quelle storiche aule di suggestioni divine, il grande poeta ebbe una specie d'incoronazione morale che lo esaltò nelle più profonde latebre dell'orgoglio. La sua bella e soave amica, che l'indulgente condiscendenza mondana aveva tacitamente accettata e riconosciuta, umile in tanta gloria, passava nel solco di quella luce, giustificando con la sua chiara bellezza armoniosa vestita di celesti veli, adorna di perle, la preferenza del grande uomo. Ella pareva una Laura de Sade rediviva e meno crudele dell'antica verso quel nuovo coronato Petrarca, e tutti le erano riconoscenti d'essere l'ispiratrice delle belle odi perfette di forma e frementi di passione del poeta illustre, amicissimo dell'Italia. Il buffet era delizioso. Le fragole dei Castelli romani avevano, dentro la rosea anima, tutto il profumo di quelle divine selve; lo spumante italiano era ottimo come lo champagne francese; le dame romane avevano il portamento magnifico e il profilo fiero dell'Agrippina di marmo che si ammirava in una delle sale fra i cento e cento capilavori dell'arte.... Di R. aveva assunto un tono più altezzoso che mai, non solo col rivale e con la moglie, ma con tutta la gente. Era così pieno di boria, così serenamente sfacciato che riusciva a combattere intorno a sè il ridicolo e la compassione.... All'uscire, nella sala dei mantelli, in un nucleo di ammiratori che lo accompagnava, il poeta straniero e i suoi amici indossavano le pellicce. Ad un tratto il marito di "Laura" prese dalle mani dell'incipriato valletto municipale la sua pelliccia di lontra e appioppandola repentinamente al poeta, senza che questi potesse protestare, si fece da lui aiutare a infilarla, come se quel servizio fosse nelle sue speciali mansioni, Poi, essendosi allontanato il poeta giù pel monumentale scalone, avendo al braccio la indignata donna ammantata di ermellino, al crocchio di gente sbalordita che gli stava intorno, disse il signor Di R. in tono di superiorità scherzevole: — Quel caro maestro che voi prendete tanto sul serio.... è un poco il mio dipendente. Io lo conosco troppo. Non ci sono grandi uomini in veste da camera.... Lo amo molto, certamente, ma lo tengo in piccolo conto. Lo considero un poco il mio lacchè.... un poco il mio giullare. I suoi versi mi divertono e mi pare che in parte mi appartengano, così che sono io che mi sento festeggiato ed onorato qui stasera.... invece di lui! Ah, ah ah! E ridendo del suo grosso riso umido delle copiose libazioni, il marito di "Laura" raggiunse con la sua calma olimpica, la coppia amorosa che lo attendeva pazientemente nell'automobile, lasciando nell'animo degli astanti l'insoluto curioso quesito: quale fosse di quei due uomini l'offeso e quale l'offensore.... |
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