(1804=1876).

Io non so, o almeno non ricordo,
che cosa pensino i così detti anti-femministi di Giorgio Sand: ma voglio
sperare che il lieve sorriso di scherno uso a fiorire su le labbra mascoline in
cospetto delle manifestazioni dell'ingegno femminile, non abbia, almeno per
questa volta, il coraggio di spuntare, e che ogni spirito superiore riconosca,
nello spirito di Anna Dupin, baronessa Du Devant, senza restrizioni, un
fratello. E di questo vostro fratello, o signori, che appartenne al nostro
sesso, sia a me permesso ragionare un poco, con legittimo orgoglio: e a chi mi
osservi che si tratta di una eccezione, di una specie di fenomeno, io
risponderò (giacchè al pregiudizio bisogna pure concedere qualche cosa!) che
basta un'eccezione per provare che una regola può essere modificata: e mi metto
subito a considerare da tutti i lati il fenomeno, come i banditori, nelle
pubbliche piazze, all'ingresso delle baracche, fanno al pubblico domenicale. E
se la mia eloquenza sarà poca, pensate, o voi che mi avrete ascoltata, che
veramente non sarà stata colpa di cattiva volontà.
Dopo questo, domando subito
scusa a Giorgio Sand di avere osato assumere un tono scherzevole, in cospetto
del suo gran nome: e sono certa che la sua ombra, che è quella di una donna, ch'ebbe,
pari all'ingegno, quell'amabile facoltà che noi siamo usi a chiamare spirito,
mi sarà larga di benevola indulgenza.
Ho l'umore, oggi, un poco
battagliero, e sento lo stimolo del guerreggiare alquanto, con così alto e così
splendido vessillo in mano, contro i fieri campioni dell'anti-femminismo.
Chi tiene la sfida? Badate,
cortesi e valorosi cavalieri, io combatto con lucide e bene affilate armi:
Giorgio Sand me le presta. Affilate dunque le vostre. Nè vi sdegni o vi umilii
la disparità dei sessi: forse che non scesero in campo con Bradamante e con
Clorinda, tutti i più prodi cavalieri Ariostei?
Premetto una dichiarazione che
assai mi sta a cuore. Non vogliate credere che io intenda per femminismo
l'emancipazione da sacri doveri, nè la caccia a tutte le piccole prede della
vanità spicciola della vita! Oibò, tali cose ai miei occhi di incorreggibile
idealista, rendono qualche volta antipatico, o almeno anti estetico, anche
l'uomo! Oh allora?
Ma io spero, veramente, ch'io
non abbia qui bisogno di fare la mia professione di fede, in proposito. I miei
lettori sono tutti, io li considero tali, miei buoni amici, e i miei amici
conoscono bene le mie idee, non è vero?
Ed è appunto nelle mie idee che
siavi potenzialmente perfetta uguaglianza intellettuale tra l'uomo e la donna,
e che solo a secolari errori di educazione e di valutazione si debba la
differenza, che ora tende, felicemente, a voler scomparire. Se sono in faccia a
Dio ed agli uomini valutate in tutto uguali le anime dell'essere umano, non
sarebbe per lo meno strano che uguali non fossero anche i cervelli? Non fatemi
dunque della vecchia retorica, o avversari forti e cortesi, perchè la retorica
è indegna di voi: e non fatemi nemmeno della scienza, perchè voi mi parlereste
certo del peso dei cervelli, di capacità cranica, o che so io: ed io parerei il
colpo con questo fiero fendente: ecco un cervello di donna, quello di Giorgio
Sand: pesatelo, e vediamo se esso possa tenere in giusto equilibrio la vostra
terribile bilancia di giudici. Va bene così? No, Giorgio Sand non ha paura di
paragoni, giacchè ella siede, per diritto divino, all'ideal banchetto degli
eletti, tra coloro ch'ebbero la fronte consacrata dal bacio del Nume.
La critica, questa specie di
araldica della grande aristocrazia dello spirito, riconosce e proclama nobili i
segni del suo blasone: ella è veramente di grande razza. Poichè possiede la
forza del pensiero indagatore che illumina per lei, il mondo, e vince
l'impenetrabilità delle cose: e la potenza di trasmetterne altrui la visione oggettivata:
e possiede la classica perfezione dello stile, senza la quale un'opera d'arte
non potrà mai essere vitale.
Sotto la Restaurazione, il
romanzo, che s'era già acclimato all'ombra dei bei gigli d'oro di Francia, ma
non vi aveva ancora assunto lo scettro del comando universale, tuonò di alcune
voci che furono udite e seguite fin dove respiri l'uomo civile. Quella di
Vittor Hugo che vide il mondo come dall'alto di una gigantesca rupe: e ne
avemmo la vertigine dell'altura: quella di Onorato di Balzac, che vide il mondo
come veramente e tristemente esso è, col suo acuto occhio d'aquila: ed avemmo
l'eterna commedia umana: quella di Giorgio Sand, che vide il mondo a traverso
il suo proprio sogno: e ne avemmo il romanzo idealista, di cui forse è il
Futuro. Questi due ultimi hanno generata tutta la numerosa figliuolanza degli
scrittori moderni, e l'hanno nutrita alle fonti uberifere delle loro opere
geniali. Così Giorgio Sand, al pari de' grandi creatori, sta al vertice di una
delle branche del grande albero genealogico dell'immortale famiglia dell'arte:
la famiglia di coloro che maggiormente, tra gli uomini, somigliano a Dio,
perchè hanno avuto in dono il segreto della divina potestà: creare.
La moda, questa volgare,
piccoletta fata, che non arrossisce di dettar leggi anche nel sacro campo della
bellezza immutabile, ha gettato, da qualche tempo, un velo di oblio su le opere
di Giorgio Sand: ed io vorrei pur saper riparare alla momentanea ingiustizia, e
far sì che si ritornasse a bere ad ampie sorsate alle fresche fontane di vita
che zampillarono dal cervello fecondo di questa donna singolare.
È tutta una magnifica frescura
consolante, un verziere odoroso e giovine della perenne giovinezza delle cose
idealmente belle. In quel suo puramente classico stile, con quella sua
signorile eleganza di lingua, così diversa dal gergo in cui ora spesso si
umilia la bella lingua sorella, ella ci svela le fantasie del suo spirito
romantico, eppure così equilibrato: un romanticismo senza morbosità, un chiaro
di luna, se posso esprimermi così, in cui guizza qualche caldo e vivo raggio di
sole.
L'alta sognatrice ci descrive
spesso, è vero, le cose come essa vorrebbe che fossero: ma si sente, tra le
nubi grigio-azzurre del sogno, ch'ella ben sa che le cose sono, a questo mondo
purtroppo altrimenti....
Per dare un esempio, nella
bella, ampia e folta corona de' suoi romanzi che chiamerò del sogno «Lelia,
Consuelo, Indiana, Mauprat, Villemer, La mare au diable, La petite Fadette
(i due deliziosi racconti campestri che poetizzano la diva natura, tanto
calunniata, appresso, dai naturalisti)» che posto si deve assegnare al romanzo
«Elle et lui», in cui scorre il miglior sangue di un bene inteso
verismo? Pare, questa semplice accorata storia, uscita dalla penna moderna di
un alunno del naturalismo: Guido di Maupassant, colui che vedeva l'«umile
verità» e che la comunicava a noi, nei segni della sua arte commossa di vere
lagrime!
A me dispiacciono, in arte, le
formule, le definizioni, le sette, che ne suddividono il campo unico: c'è
un'arte sola, come c'è un solo Dio. Ma poichè si deve, se non altro per
consuetudine, ascrivere all'idealismo il nome glorioso di Giorgio Sand, dirò
che il suo idealismo fu sano e gagliardo, e che i suoi «eroi», anche se abbiano
il capo circonfuso di celestiale atmosfera, sono sempre in piedi, bene
appoggiati su la terra.
Ho detto che voglio passare
sotto il mio esame la donna meravigliosa, da tutti i lati, e mi preme mantenere
quello che ho detto. Avrò in tal modo occasione di dire il mio pensiero anche
sul lato più discusso e meno ammirato (con ragione) della grande scrittrice
francese: la sua vita privata. Senza dubbio, pur gettando via la zavorra di
molta calunnia, nata da molta invidia (avrebbe potuto, ahimè, essere
altrimenti?) restano nella vita agitata di Giorgio Sand parecchie cose che noi
non esiteremmo a battezzare di ben gravi colpe, incontrandole nella vita di una
donna mediocre, e che anche nella vita di questa Vincitrice vorremmo, di
preferenza, non trovare. Ma è altresì vero che riesce a noi quasi impossibile
poter separare il suo essere morale da quello intellettuale, e che mentre ci
accingiamo a rimproverare Anna Dupin di avere rincorso l'ideale
personificandolo ora in questo ora in quell'uomo mortale, che doveva
compensarla della bancarotta della sua felicità nel matrimonio, e che doveva
raccogliere gl'impeti lirici della sua anima esuberante — ecco — dico — che
Giorgio Sand intercede per Anna Dupin, e ci dice ch'era fatale che la
sua vita ed il suo sogno andassero insieme così!
Questa donna, che io definisco
una «cerebrale», che ebbe forse tutte le altre facoltà un poco inaridite dal
predominio del cervello (dai decreti del quale, parrà un paradosso, ella
raramente si allontanava) fu una grande assetata di ideale, una adoratrice
(anche forse un poco retorica) della fantasia, una schiava di quella parte del
cervello, che essa credeva fosse l'anima: ma sempre, o io molto mi inganno, al
di sopra delle miserie della vita: miserie in cui ella cadde, ma non per sua
propria volontà. Così rincorrendo l'ideale, che si personifica sempre o in
qualche cosa o in qualcheduno, quella forza esuberante aveva bisogno
d'integrare i sogni dell'arte con la realtà della vita: ossia, cercava, nella
vita, i fantasmi gemelli di quelli della sua fantasia: e sappiamo, povera donna,
quali torture le procurarono le vane e non mai paghe ricerche!
Avrebbe dovuto governare, o
essere governata da quell'impetuoso cervello, una coscienza diversa da quella
ch'ella ebbe: perchè fu la sua (diciamolo pure, giacchè lo pensiamo) una
coscienza in aperto disaccordo con la morale riconosciuta, retta da un suo
autonomo codice, da una specie di individualismo superbo, che preannunzia una
teoria discutibile ma profonda, rovinata da una sciupatissima parola: «la
teoria dell'übermensch».
Però, io donna, parlando di
questa illustre donna, debbo non amare certe sue ribellioni alle leggi della
moralità accettata, e debbo ammonire che la sua affrancazione da quelle leggi,
non potrebbe mai divenir regola ad altre. Per farsi perdonare a questo mondo —
e credo anche nell'altro — certi gravi difetti, bisogna poter mettere,
dall'altra parte della propria bilancia, nelle mani dei giustizieri umani o
divini, un cumulo di virtù che faccia vittoriosamente traboccare il peso!
Nel libro della vita di Giorgio
Sand, il capitolo dell'amore è molto esteso: anzi, si può dire, è la metà del
libro, data la metà prima alla gloria, ossia alla operosità del pensiero.
Non bella, di quella bellezza
geometrica che lascia così spesso freddi gli uomini, ella era dotata di una
possente forza di attrazione che le incatenava ai piedi schiavi gli uomini: e
tra questi, specialmente gli Eletti, i suoi fratelli di gloria.
Un altro colpo di lancia,
questo, per gli anti-femministi, che non so in che modo verrà parato. Io ne ho
uditi alcuni sostenere che la donna che abbia la mente molto elevata, suole
perdere la grazia, la femminilità, l'incanto delle altre più umili creature del
suo sesso. Ebbene, ebbe o non ebbe Giorgio Sand intelletto elevato? E perdè
ella, per questo, la sua grande, invincibile grazia femminile, il potere di
suscitare nell'uomo il più appassionato amore? Che ne dicono dunque di costei
che scriveva dei capolavori, non disimparando l'arte di combattere
(disgraziatamente per lei) le grandi pugne d'amore?
Udite, udite. Giulio Sandeau,
Michele de Bourges, il filosofo umanitario, Pietro Leroux, Sainte Beuve,
Federico Chopin, Alfredo de Musset, per citare i più noti, delirarono d'amore
per lei. Amarono essi in lei l'alto ingegno, o il riso della sua bella bocca in
cui l'uso della sigaretta di tabacco turco non aveva offuscato lo splendore dei
denti, o lo sguardo vellutato di que' suoi enormi occhi neri che parevano
l'allegoria della notte?
Chi lo sa.... chi lo sa....
Ed essa perseguiva l'ideale
negli uomini che l'amavano, e ch'ella credeva di amare, e poichè di volta in
volta sciaguratamente s'ingannava, ell'era dalla sua inesausta sete del sogno
avverato, condotta a cercare ancora. E non s'accorgeva che in lei soltanto, nel
suo cuore, era l'ideale, non già nelle chimere che ostinatamente inseguiva.
Povera farfalla, che volava,
come fascinata dal lume, laddove ella credeva veder splendere un'anima.... ma
dove quasi sempre non trovava altro che un intelletto!
Ho insistito su questa sua
ricerca incessante e affannosa di idealità, perchè ho bisogno d'invocarla
nell'accennare all'episodio più celebre della sua vita: quello del suo amore
con Alfredo de Musset. Su questo episodio si ha il torto di voler giudicare
Giorgio Sand, e si ha la debolezza di lasciarsi sedurre, in tale giudizio,
dalla musica triste e soave dei canti del poeta. A noi sembra, a prima vista,
che l'uomo che ha scritto quelle strofe più dolci della stessa dolcezza, che ha
agitato nella nostra anima tutte le più intime corde, che ha suscitato ad ora
ad ora i nostri sorrisi e le nostre lagrime, a noi sembra che quell'uomo debba,
ad ogni costo, nel triste duello con Giorgio Sand, che ci raccontò i suoi guai,
semplicemente in prova, avere ragione.
Ma poichè questo a me sembra
profondamente ingiusto, io vorrei tentare di gettare su questa celebre storia
qualche sprazzo di nuova luce: non già luce di fatto, perchè altri fatti non
abbiamo, oltre quelli disgraziatamente e letterariamente noti da molto tempo,
ma luce d'intuito di chi ha molto guardato dentro quel fatto e dentro quei cuori.
La donna, anche se raggiunga
l'apice della elevazione intellettuale, soggiace ancora a certe leggi ataviche,
per cui nell'amore, ella cerca una sorta di soggezione, una devozione di
schiava verso il suo secolare signore: ed essa desidera sempre di poter ammirare
l'oggetto del suo amore. Così, quando l'intelletto della donna sia molto alto,
e non le sia facile poter imbattersi con un altro che lo superi, la donna
cercherà allora, inconsciamente, superiorità di altro genere: come, per
esempio, grande bellezza corporale, forza fisica, valore, virtù amatoria e così
via. Perfino il vizio, ch'è una specie di superiorità nel male, opera un certo
fascino su le donne, anche le più oneste: e ad affermare la triste asserzione
basti la simbolica storia di don Juan. Un poco di tutte queste cose contribuì a
far nascere l'amore di Giorgio Sand per Alfredo de Musset. Nessuna donna ha
bisogno di molta fatica d'imaginazione per comprendere l'incanto che quell'uomo
dovette diffondere intorno a sè. La sua infelice amante intuì questo suo
postumo fascino, e disse, nelle vive e piangenti pagine di «Elle et lui»
«les femmes de l'avenir: voilà tes soeurs et tes amantes!» E veramente
le donne sensibili saranno sempre un poco, idealmente, le amanti di questo
dolce e carissimo poeta, di questo amico segreto che consolerà sempre la nostra
malinconia coi ritmi della sua anima sopravvivente. Chi non ha riconosciuta,
qualche volta, la voce di Alfredo, nel vento, nell'acqua, nelle fronde o nello
stesso silenzio? Chi non ha trovato, nella sua propria memoria, un verso, uno
spunto di questo nostro poeta prediletto nei più dolci o nei più tristi momenti
della propria vita?
«Si vous croyez que je vais vous dire
Qui j'ose aimer.»
oppure:
«Si je vous le disais pourtant, que je vous aime,
«Qui sait, brune aux yeux bleus, ce que vous en diriez!»
oppure:
«Un jour tu sentiras peut être
«Le prix d'un coeur qui nous comprend,
«Le bien qu'on trouve à le connaître
«Et ce qu'on souffre en le perdant!»
Quale donna, anche la più umile
e la meno letterata, non sa a memoria tutte queste dolcezze, tutte queste
carezze, tutti questi baci postumi dati dal Poeta di Rolla al sesso gentile?
L'amore, era l'unica cosa che veramente gli stesse a cuore: Il «n'y a que
cele de bon sur la terre» egli diceva: e la sua morte è stata una specie di
suicidio amoroso.
Sappiamo ch'egli era bello, di
quella bellezza romantica fatta di linee e di colore, ma più di sentimento,
così cara alle donne di tutti i tempi, ch'egli era infelice, di quella
inguaribile malattia dell'anima che adombra gentilmente il viso, e che era
elegante nel vestire, squisitamente raffinato, quello che allora si diceva un dandy:
e certo chi guardi, ne' suoi ritratti, quella bella testa giovane e chiomata,
col mento che s'allunga nella fine barba bionda, e quello sguardo ambiguo che
fa pensare al tempo stesso, al cielo ed alla terra, comprende che l'attrazione
della sua persona non doveva esser minore di quella delle sue opere! Mettete
dunque quest'uomo, questa viva fiamma, accanto alla ardente natura di Anna
Dupin.... e l'incendio, si capisce facilmente, non tarderà a scoppiare.
Pare accertato, benchè nelle
storie d'amore il poter accertare sia sempre ardua impresa, ch'ella da prima lo
sfuggisse, che avesse paura della sua eccessiva giovinezza, della sua bellezza,
della sua raffinatezza elegante, del suo carattere bizzarro; in una lettera che
si conosce, ella prega Sainte-Beuve di smettere il pensiero di presentarle
Alfredo de Musset, troppo dandy per l'intimità del suo modesto salotto.
Ad ogni modo De Musset la conobbe, se ne innamorò follemente, e mise nel
conquistare il cuore di lei tutto il tenace ardore del quale sono capaci,
quando sono tocchi dal Nume, gli uomini come lui.
E Giorgio Sand si arrese, e lo
riamò di un affetto caldo e profondo, in cui era tutto l'ardore di un'amante e
tutta la tenerezza di una madre. Anche qui la sua corrispondenza ci racconta
(ella ebbe la corrispondenza trasparente; metteva tutta se stessa nelle
lettere agli amici) il breve paradiso che fu quella primavera d'amore con de
Musset! Mi pare chiaro che quella fu la vera e grande passione della sua vita,
il punto culminante della sua intensa forza affettiva. L'eterna sognatrice deve
avere creduto, allora, per un momento, di aver finalmente raggiunta la
felicità, di avere raccolta una stella nel suo pugno breve!
E fiorì l'idillio meraviglioso.
La lavoratrice instancabile, l'operaia del pensiero che viveva del suo assiduo
lavoro, «George» come anche i suoi intimi la chiamavano, era sempre
soprattutto, prima di tutto donna e parigina. L'alto intelletto, come una viva
face irradiava tutta la sua persona, ma anche questa lampada che custodiva la
face, era adorna di squisite grazie. Paolo de Musset, fratello di Alfredo, che
ebbe la cattiva idea di scrivere un cattivo libro diffamatorio per Giorgio
Sand: «Lui et elle», ei dice che essa era bella: «très-belle, brune,
pâle, olivâtre, avec des reflets de bronze, et des yeux enormes, comme une
indienne», e ci descrive il bizzarro abbigliamento ch'ella soleva portare
in casa, per ricevere gli amici intimi.
Sopra una camicia da uomo, con
alto collo e cravatta nera, ella indossava un ampia e lunga veste aperta a
grandi maniche di molle seta gialla, che la seguiva in un lungo strascico come
di cometa. I piccolissimi piedi dentro pantofole turche, senza quartiere, e la
bella chioma bruna, somigliante alla criniera di cavalla araba (ch'ella doveva
un giorno tagliare ed offrire in olocausto ad Alfredo), costretta dentro una
reticella spagnola. All'agile fianco, soleva brillarle una fine (e per fortuna
sempre innocua) lama di Toledo. Non è in questo fantastico esteriore tutto lo
spirito romantico della celebre donna?
Veniamo dunque al gesto che pone
in così cattiva fama, per certuni, Giorgio Sand, cioè al suo abbandono,
avvenuto a Venezia, come tutti sanno di de Musset. Di questa storia abbiamo il
racconto, appena adombrato da trasparente velo, nel romanzo «Elle et lui».
E questo romanzo è nato da impressioni così immediate, è scritto con così caldo
accento di sincerità, è fatto con così evidenti segni di arte del ritratto, che
è impossibile non sentire in tutte quelle pagine il grido sacro della verità.
Si potrà deplorare che uno scrittore voglia fare dell'arte con la sanguinante
realtà del suo cuore, voglia chiamare il pubblico allo spettacolo delle sue
segrete lagrime: ma, lo ripeto, il grido della verità è alto, innegabile, nelle
pagine di «Elle et lui», che non è, per nessuno che lo legga, un'opera
d'arte, ma solo un pezzo di vita che manda a noi l'aroma della sua fatale
tristezza.
Ah ben tutt'altra cosa è a
questo mondo, o dolci amanti ideali del grande Alfredo, l'ammirare un sovrano
artista, l'amarlo nelle sue opere, il collocarlo sopra un alto piedestallo come
un Nume, dal conoscerlo da vicino, sceso dal suo ideale trono, sparita la
provvida lontananza e dileguata la nube che lo avvolgeva! C'è spesso tra l'uomo
e le sue opere un tale dissidio, una tale discordia sostanziale e irrimediabile
che la disillusione, la più amara, dilania il cuore di chi assiste al doloroso
spettacolo.
Mettiamoci per un momento solo
in luogo di Giorgio Sand, e tentiamo figurarci il cantore delle Notti e
delle Romanze spagnole, mentre torna a casa, dopo un'orgia, ebbro,
barcollante, livida e contratta la bella faccia, canticchiando canzoni oscene,
gettando in faccia ad una donna come Giorgio Sand, che per lui ha lasciato
tutto, i suoi figli, il benessere materiale, la gloria!, le sue ignobili
infedeltà! Certo la persuasione ch'egli fosse veramente un anormale, malato di
epilessia, alcoolizzato dai torrenti di Champagne nei quali annegava la
sua invincibile tristezza, deve averle suggerito il coraggio di perdonargli,
giacchè noi sappiamo, dalle sue lettere pubblicate, ch'ella gli perdonò: ma che
ella fosse ben presto guarita, per virtù di quello che sofferse, del suo tempestoso
amore, non potrà, io credo meravigliare nessuno. È vero ch'ella aveva un giorno detto: «L'amour
est un temple que bâtit celui qui aime à un objet plus ou moins digne de son
culte, et ce qu'il y a de plus beau dans cela, ce n'est pas tant le Dieu que l'autel».
Ma se proprio l'amore debba diventare tutto altare, senza Nume, allora
la religione inevitabilmente si spegne!
Si spegne: ma disgraziatamente,
nelle fantasie come quella di Giorgio Sand, spunta tosto il bisogno di altre fedi,
di altri sogni. Allora in quel triste momento psicologico, in cui ella meditò
perfino il suicidio, in terra lontana, sprovvista di mezzi finanziarî, col
cuore devastato dalle disillusioni sofferte, ella, al letto di de Musset
infermo, ch'ella curò con cuore di sorella, e per cui s'ebbe la riconoscenza
della madre del poeta, si trovò accanto un giovane onesto e buono, un umile
medico: Pagello. Il riposo, dopo la tempesta, la semplicità di un devoto amore,
dopo la intricata complicazione delle sue relazioni con de Musset, relazioni in
cui è quasi impossibile veder chiaro, senza tener conto della bizzarria di quei
due cervelli, specialmente di quello di lui. Da tutte le pubblicazioni (anche
troppe!) fatte su la celebre storia, una cosa sola mi par risultare, cioè che i
due amanti non si erano mai nè meglio amati tanto come dopo la loro
separazione, avvenuta, come si direbbe curialmente, per incompatibilità di
carattere. Il loro magnifico epistolario è uno dei più curiosi documenti del
cuore umano! di quel cuore ch'ella stessa ha chiamato «un mauvais plaisant».
«Sans la jeunesse et la faiblesse que tes larmes m'ont causée un matin,
nous serion restés frère et soeur!» Scrive Giorgio ad Alfredo, dopo,
rimpiangendo la loro comune debolezza. Ah mai troppo, mai troppo ella la
rimpiangerà! La donna dal vasto intelletto non seppe il segreto che fu la forza
di donne assai meno intelligenti di lei; il segreto di saper essere solo
l'amante dell'anima!
E quel grande fanciullo, così
corrotto eppure così sublime, deve aver compreso troppo tardi che quando si ama
molto bisogna avere il coraggio di rispettare la donna amata e di non trarla al
basso mai, nemmeno col pensiero! Egli lo sentì, perchè scrisse un
giorno, dopo la separazione, alla sorella dell'intelletto, alla sorella, come
lui gloriosa: «Notre embrassement était un inceste!» E come tale fu
punito dal cielo.
Mi preme anche difendere Giorgio
Sand, da una accusa mossale da' suoi nemici, e che danneggerebbe tanto la sua memoria,
se non fosse, come a me pare, assurda: assurda anzitutto perchè in questa donna
in cui vediamo gravi colpe, volgari bassezze non ne vediamo mai. L'accusa è
ch'ella fosse letterariamente gelosa di de Musset. Un assurdo lo ripeto. Nella
donna, anche se d'alto ingegno, non è per legge atavica, possibile l'invidia
verso l'uomo. È cosa fuori della natura; come invece è, sventuratamente
possibile qualche volta il contrario.... L'ho già detto, la donna è sempre
felice ed orgogliosa che l'uomo che l'ama sia alto nella sua stima e in quella
altrui. Ella vede così spesso l'uomo farsi umile a' suoi piedi, che più è egli
veramente grande, più il suo amor proprio è soddisfatto. La donna vuole amare ed ammirare insieme. Sentite
ciò ch'ella gli scriveva: «Ménage cette vie que je t'ai conservée, peut
être, par mes veilles et mes soins! Ne m'appartient-elle pas un peu, à cause de
cela? Laisse-moi le croire, laisse-moi être un peu vaine d'avoir consacré
quelques fatigues de mon inutile et sotte existence à sauver celle d'un homme
comme toi!» oppure: «Tu sais que je les aime de passion, tes vers, et
qu'ils m'ont appelée vers toi, malgré moi, d'un monde bien eloigné du tien!»
No, ella lo ammirò sempre, anche quando non potè più amarlo, anche
quando vide ripagata la sua tenerezza da un selvaggio amore, misto di infedeltà
e di mali trattamenti!
Allora la dolente si riposò
nell'amicizia di Pagello, prese dal devoto, umile amore del giovane veneziano
tutte le consolazioni che un affetto semplice, sincero e devoto può dare in certi
gravi momenti della vita.
I suoi amici, i suoi innamorati,
gli uomini ch'ella aveva amati, erano stati fino a quel momento letterati,
artisti, filosofi, poeti.... e l'amore doveva essere salito a lei nell'onda
gonfia della retorica e della dissertazione ... Essa medesima non era una
creatura semplice, nè sempre trasparente nemmeno a' suoi occhi stessi.... Così
la donna complicata, satura delle tortuosità della propria anima e delle anime
altrui, avrà trovata nel giovane italiano una superiorità da ammirare: la
semplicità e l'assenza della «posa». Le sarà parso, allora, di respirare come
una boccata d'aria sana della buona, pia e grande natura ch'ella così
profondamente intuiva e che così deliziosamente descriveva. (Chi non ricorda
nel monile regale dei suoi romanzi quelle vere gemme che sono i romanzi
idillici?)
Ella non conosceva forse ancora
l'incanto di sentirsi dire, semplicemente, senza fiori letterari: «ti voglio
bene», da una pura bocca che non conosceva nè gli infingimenti dell'arte nè
quelli della vita; e da quella semplice verità ella dovette sentirsi consolata
un poco, come un corpo malato che si senta ritornare alla salute, ai puri
effluvii della campagna, dopo avere avuto i polmoni corrotti dalla viziata aria
della città.... In questo stato d'animo ella si separò, di comune accordo, dal
poeta, già risanato dal fiero male dal quale ella lo aveva maternamente curato,
e sanato anche, almeno momentaneamente, dal suo amore per lei.
Questa, e non altra, a me sembra
essere la verità su l'amore, intorno al quale ha germogliato tanto veleno di
calunnie, di Alfredo de Musset e di Giorgio Sand. Certamente, essa, conscia
della sua forza, che si sentiva l'uguale di qualunque uomo superiore, non
poteva essere la donna nel significato tradizionale, così cara all'egoismo
mascolino, cioè colei che si dà, si annienta nell'uomo, mettendo la sua unica
ambizione nell'essere a lui schiava in eterno. Giorgio Sand, intelletto virile
(per dire una parola facilmente intesa), coscienza autonoma, non ebbe del sesso
a cui appartenne, nè ipocrisie, nè rinunzie, nè sottomissione al sacrificio. Ma
non ebbe in cambio nè l'indulgenza degli uomini, nè tutta la simpatia che il
suo grande ingegno dovrebbe intorno suscitarle.
Curioso, invero, il giudizio
umano. Come sempre verso i deboli, i sofferenti, verso coloro che piangono va
il nostro cuore, anche quando la nostra stima non li accompagni! Mentre davanti
ai forti se pure c'inchiniamo in segno di ammirazione, il più delle volte
l'anima nostra rimane ermeticamente chiusa. Perchè noi li vediamo combattere
contro la cattiva fortuna, ergere la fronte, contrastare col fato, noi
sentiamo, o almeno crediamo sentire che essi non hanno bisogno della nostra
tenerezza; e diamo loro solo quello che non possiamo loro togliere: la nostra
ammirazione. Invece i deboli, anche se colpevoli, anche se fabbri delle loro
sventure, che noi vediamo chinare il capo al destino, soccombenti, affranti,
vinti; che noi vediamo gemere, lamentarsi, implorare, anche se il nostro
maggiore rispetto stia per i primi, inumidiscono i nostri occhi di fraterna
pietà.
Ecco perchè nella immortale
storia di Giorgio Sand e di Alfredo de Musset, che è forse il riassunto della
vita di tutti e due, la simpatia dei più va verso il clamoroso, disperato
dolore di de Musset, verso i suoi tristi lai, verso la sua povera vinta anima
che cercava nell'orgia l'oblio dell'invano risorto amore: mentre i cuori
restano freddi e dubbiosi davanti all'apparente calma di Giorgio Sand che fu
vittima del suo pazzesco amante, e che pure ebbe il nobile coraggio di
perdonargli, nascondendo pudicamente il suo dolore. (Solo molto tardi, per
difendersi dalle accuse e dalle calunnie, fu indotta a scrivere «Elle et lui»).
Un'altra ingiustizia del
giudizio umano, così soggetto ad errare, o almeno una sua grave esigenza, è
forse quella di pretendere che i grandi artisti, i quali ci fanno il magnifico
dono delle loro opere, ci facciano anche quello del perfetto esempio di loro
vita.
Ci sono al mondo, a me sembra,
due qualità di persone considerevoli: quelle destinate a fare, quelle destinate
a dire: ed è forse soverchio domandare tutte e due le cose ad un tempo alle
stesse persone. Certo noi vedremmo con gioia piena, accompagnata a questo alto
e mirabilmente fecondo intelletto di donna, una più vera e più pura dignità di
vita, una coscienza più precisa dei doveri ai quali nemmeno la sua grandezza dà
ad una donna il diritto di ribellarsi: ma appunto perchè la nostra ammirazione
è grande, perchè viva e calda la nostra riconoscenza, grande sia anche
l'indulgenza nostra per colei che, nei tempi moderni, ha inghirlandato di fiori
eterni la vittoria dell'ingegno femminile, mostrando al mondo, nel modo il più
efficace, che «ciò che donna vuole, Dio veramente lo vuole». Per colei che ha
vedute tante oscure cose della vita e le ha illuminate di novella luce, che ha
tratte dalla sua poderosa fantasia, regalandole al nostro affetto perenne,
tante dolci e meste sorelle: Indiana, Valentina, Lelia, Consuelo, Edmea,
Fadette, Teresa, Carolina: per questa donna che emerge dalle umili e oscure
file del nostro sesso, vincitrice ed ammonitrice, noi dobbiamo formulare il
nostro giudizio, condensato in due sole parole: gloria e perdono!
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