La fata Gusmara
— La fata Gusmara è la fata più potente della terra. Le fu concessa questa potenza non solo per la sua bellezza, che sorpassa ed
eclissa tutte le bellezze dell'universo, ma per il suo cuore, il suo spirito,
le sue virtù, il modo con cui sa amministrare la giustizia, la carità, la
sapienza.
La fata Gusmara vive sopra un'altissima montagna di marmo bianco, in un
palazzo di cristallo, che domina tutto il mondo: di là essa vede tutto, sa
tutto. Cento altre fate formano la sua Corte, mille geni la servono e
l'obbediscono. La fata Gusmara siede sopra un trono di diamanti, da cui
impartisce i suoi ordini, che vengono immediatamente
eseguiti.
La fata Gusmara non respinge mai le preghiere di coloro che implorano il
suo aiuto; ma per giungere a lei, per ottenere sette capelli della sua chioma
d'oro che aprono, al fortunato mortale che li possegga, le porte della
ricchezza, della potenza, della felicità, fa duopo attraversare quattro regni
suoi nemici, che giurarono una guerra spietata a coloro che aspirano alla
conquista del tesoro della Fata e tentano ogni mezzo per attraversare loro la
via, per farli soccombere, prima che giungano alla meta. Infatti, pochi o punti
vi pervengono.
— Quali sono questi regni? — interruppe Falco.
Nella sua domanda, nell'espressione del suo volto, divampava un ardore
così appassionato, che colpì il vecchio, e fece impallidire la povera Topolina.
— Vorresti tu forse tentare l'audace e pericolosa impresa? — chiese il
taglialegna.
— Perché no?
— Tu non hai né il carattere né l'energia per riuscirvi.
— T'inganni, babbo: io so volere; e quando ho deciso
qualche cosa, nessun ostacolo può trattenermi; come non temo qualsiasi
pericolo. —
Il vecchio scosse melanconicamente il capo.
— Tu non fai che crearti delle illusioni, figliuol mio. Per
intraprendere un tale viaggio, non basta soltanto volere. Quanti altri
parlarono come te e furono perduti, travolti, uccisi, prima che la loro volontà
fosse compiuta! Dai retta a me, Falco: tu hai qui,
senza muoverti, tutti i doni che può compartire la Fata: la potenza, perché sei
re nella capanna che ti appartiene, né troveresti altrove sudditi più fedeli
degli animali della foresta, che ti amano e ti temono; la ricchezza, perché
sono tuoi tutti i tesori che la foresta racchiude: le frutta saporite, il miele
squisito, gli alberi, da cui puoi ritrarre tante cose utili, mentre ti danno la
legna per riscaldarti nell'inverno e per cuocere le pietanze; la felicità,
perché hai una sorellina che ti amerà, come non ti ama mai altra donna sulla
terra...
— Non mi basta, non mi basta, — gridò il fanciullo ostinato — io voglio
assai più... Voglio regnare in un palazzo d'oro, di
pietre preziose, avere al mio comando eserciti interi, far tremare l'umanità
con un gesto, accumulare tesori sopra tesori, e soprattutto vedermi ai piedi
una fanciulla bella e superba, che oggi disprezza i miei abiti, ha in orrore la
mia povertà... e che domani tratterò come una serva vile. —
Falco aveva incrociato con fiero atto le braccia, teneva sollevata la
testa, mentre Topolina nascondeva il suo pallido viso fra le ginocchia.
— Ed è per ottenere tutto questo che vorresti conquistare i sette
capelli d'oro della fata Gusmara? — chiese il vecchio con un sarcastico
sorriso.
— Sì. —
Il taglialegna scosse di nuovo il capo.
— Povero sciocco, non ci riuscirai! —
Gli occhi del fanciullo lampeggiarono di collera.
— Perché?
— L'imparerai dalla storia che sto per raccontarti, la quale ti farà
meglio conoscere la
Fata. Ascolta.
«Nel paese di Chincao regnavano i sovrani più malvagi e crudeli che
potessero esistere sotto la cappa del cielo.
«Il loro regno era il regno del terrore; essi opprimevano e
travagliavano il popolo, si compiacevano di crudeltà inaudite.
«Il re Trou e la regina Siu, che così si chiamavano, avevano fatto
fabbricare un padiglione tutto di rame e quando l'inaugurarono, diedero una
gran festa, alla quale avevano invitato tutte le più nobili famiglie del regno,
i più bei giovani, le più belle fanciulle.
«A mezzanotte, quando la festa era al colmo, i sovrani si ritirarono,
facendo chiudere tutte le porte mentre fuori del
padiglione furono accesi dei grandi fuochi, finché le pareti non si trovarono
arroventate.
«Gl'invitati, che dapprima non si erano accorti di nulla, quando
incominciarono a sentire scottare le lastre che avevano sotto i piedi e le
pareti della sala, tentarono di fuggire ma inutilmente, perché ogni via di
scampo era preclusa. Potete immaginarvi le scene dolorose che ne seguirono,
finché la carne di tutti quei corpi non fu combusta!
«Nerone non avrebbe sognato un supplizio più terribile. Il Re e la Regina, che avrebbero
dovuto essere il padre e la madre del popolo di Chincao, ne furono invece i
carnefici. Nessuno sfuggiva alla loro crudeltà: i fanciulli venivano
infilzati in ispiedi ed arrostiti; le donne squartate; gli uomini impalati.
«Ciò non poteva durare: il popolo tenne dei conciliaboli segreti, e fu
deciso di chiedere l'appoggio, la protezione della fata Gusmara, per ottenere
il potere di distruggere i due tiranni.
«Ma per giungere alla Fata, bisognava attraversare i regni nemici: per
questo, venne tirato a sorte fra i giovani più arditi,
temerari, ambiziosi, ed uscì appunto il nome di uno dei più stimati per il
coraggio e la forza di volontà. Ma ahimè! Non aveva ancora percorso i due primi
regni, che già soggiaceva alle lusinghe, alle seduzioni, ai tranelli tesigli
dai nemici della Fata e ponendosi contro lei, segnò la
propria rovina. Così altri accintisi all'impresa, non giunsero ad oltrepassare
la metà dei regni, che già erano caduti vinti.
«Il popolo si disperava per tanta debolezza nei suoi eroi, ed i feroci
sovrani continuavano nella lor via di orge e di sangue. Ma una mattina si
presentò al capo popolo un povero fanciullo di nome Iang, dall'aspetto umile,
dimesso, vestito di miseri panni, che si offrì di andare dalla Fata.
«Il capo lo guardò con disprezzo e sorrise.
«— Come vuoi tu, piccolo verme della terra, — gli disse — riuscire in
un'impresa, dove caddero i più forti e valorosi dei nostri giovani? Come potrai
evitare tu, che mai nulla godesti nella vita, nulla affrontasti, i pericoli, le
seduzioni che s'incontrano nei regni nemici della Fata?
«— Quali sono questi regni? — chiese Iang.
«— Quello del Capriccio, della Baldoria, della Ricchezza e della Vanità.
«— Oh, non mi sarà difficile resistere! — rispose con dolcezza e
semplicità il povero fanciullo — perché io non mi reco
dalla Fata animato dall'ambizione, dal desiderio di ricchezze e poteri, ma col
solo intento di liberare i miei poveri fratelli che soffrono sotto il giogo dei
tiranni che li opprimono. Perciò, nessuna tentazione potrà fermarmi nel mio
cammino, nessuna offerta mi arresterà, nessun pericolo potrà farmi timore. E
quando avrò compiuta l'opera mia, tornerò nella mia povera capanna a me più
cara e preziosa di una reggia, ringraziando il Cielo di avermi scelto a
strumento di sua giustizia e la buona Fata di aver ascoltato le mie preghiere.
—
«Il capo popolo fu commosso, e baciando il fanciullo:
«— Ebbene va', — gli disse — ed i nostri voti ti accompagnino fino al
trono della Fata. Sì, ciò che forse non è riuscito a spiriti audaci, ambiziosi,
riuscirà ad un povero fanciullo, per la sua virtù e la sua innocenza. —»
Topolina guardò con occhi scintillanti il taglialegna.
— Ed è riuscito? — esclamò.
— Sì, — rispose il vecchio — la sua modestia, la sua semplicità,
l'impero su se stesso, lo salvarono da tutti gli agguati, lo resero prediletto
ai buoni geni, che lo scortarono invisibili fino al trono della Fata la quale
fu così commossa dalla tenacità e dalla perseveranza del bravo fanciullo, dal
suo desiderio di sacrificarsi per gli altri, che l'accolse come un figlio, gli diè con le sue mani i sette capelli d'oro della sua
chioma, gli conferì il potere di restaurare il regno di Chincao, di liberarlo
dai tiranni, di farlo ricco e felice. Così la vittoria di Iang non fu tanto il
frutto del suo ardire, della sua ambizione, quanto quello della sua bontà e
virtù. Egli nulla chiese, nulla volle per sé.
— Iang fu uno sciocco, — interruppe con violenza Falco. — Scommetto che
la sua nobile azione non fu valutata come meritava, perché il popolo è sovente
ingrato verso i suoi benefattori. Io intraprenderò quel viaggio con ben altro
scopo, né la Fata
potrà negarmi il suo favore, quando giungerò al suo trono, come un
conquistatore. Saprò combattere e vincere i suoi nemici, anche non avendo a mia
difesa la dolcezza, l'umiltà; e una volta che abbia conseguito la meta e sia
ritornato vincitore, saprò conservare per me i doni ottenuti con tanta fatica.
— Tu hai molta presunzione, figliuol mio, — osservò il taglialegna. — Mi
sembra già di vederti correre incontro alla rovina.
— Il Cielo disperda il tuo augurio; ma se anche fosse,
non cederò senza lotta; e ti assicuro che preferisco cento volte la morte, alla
vita inerte che qui conduco.
— Tu parli da insensato, e non ho più nulla da risponderti:
parti, va' dove credi: io e Topolina resteremo a pregare per te. —
Falco senza più rispondere, era entrato nella capanna, e Topolina si
arrampicò sulle ginocchia del vecchio, gli cinse il collo coi suoi esili
braccìni, e le sue labbra premettero la faccia rugosa di lui.
— Babbo, non posso lasciarlo partire solo, — sussurrò. — Appunto perché
è un insensato, ha bisogno di aver vicino a sé chi lo sorvegli, gl'impedisca di
commettere delle follie. Babbo, permetti che vada con lui, e ti assicuro che presto
ritornerà sano e salvo fra le tue braccia. —
Il taglialegna aveva le lacrime agli occhi e ricambiava i baci della
bimba.
— Povera Topolina, non pensi ai pericoli ai quali tu stessa stai per esporti? Quello stolto non merita il tuo sacrifizio.
— Non è un sacrifizio, perché gli voglio bene, né potrei vivere senza di
lui. Babbo, perdonami se ti lascio per seguirlo; ma Falco ha più bisogno di te
del mio aiuto, del mio consiglio.
— Forse hai ragione, Topolina mia; e dal momento che Falco ha deciso di
partire, io non lo tratterrò, e tu l'accompagnerai. Forse sarai messa a dure
prove; ma come il povero Iang, la tua coscienza pura e la tua devozione,
troveranno grazia presso ai buoni geni che ti proteggeranno. Sii saggia per il
fratello tuo; adopra la tua esperienza per ricondurlo a me guarito, ed avrai un
giorno il premio che meriti.
— Oh, il premio cui aspiro è quello di ritornare con Falco, presso te, per non separarci mai più! —
Il vecchio e la bimba mescolarono insieme lacrime, baci e carezze,
mentre Falco sedeva pensoso nell'interno della capanna, nascondendosi il volto
fra le ginocchia.
— Falco! — chiamò sommessamente Topolina.
Il fanciullo trasalì, alzò il capo, guardandola corrucciato.
— Che vuoi?
— Il babbo mi permette di partire con te. —
Gli occhi del fanciullo scintillarono per la gioia improvvisa.
— Dici il vero? Ci lascerà partire?
— Sì, ho già tutto combinato ed io non ti darò noia,
vedrai: ne parleremo domani: ora è tempo di riposare. —
Ma Topolina lasciò che Falco ed il vecchio si ritirassero nel loro
angolo, poi uscì sola sola dalla capanna.
Era triste, la povera bimba, pensando al grave compito che si era
assunta e si chiedeva come avrebbe potuto mantenerlo.
— Sono molto temeraria, — diceva seco stessa — pensando di potere da
sola venire in aiuto a Falco, che non mi ascolta, non mi cura, non sogna che
quella cattiva fanciulla, per cui si espone ad ogni
sorta di pericoli. Come potrò io evitargli tutti gli agguati, che troverà nei
regni che dobbiamo attraversare insieme? Scamperò forse nemmeno io? Oh! buona fata Gusmara, datemi voi un consiglio, venite in mio
aiuto. —
Topolina si era inginocchiata sull'erba, aveva giunte le mani e teneva
gli occhi rivolti al cielo.
Allora vide un merlo bianco, che sempre la seguiva nella foresta,
scendere verso lei.
— Topolina, — le disse — la fata Gusmara ti consiglia di strappare una
penna della mia ala e portarla con te: quando ti troverai in pericolo, non
avrai che da agitarla ed io verrò in tuo aiuto. —
Topolina sorrideva con le lacrime agli occhi.
— Oh, mio caro merlo bianco, ringrazia per me la buona Fata; dille che
seguirò il suo consiglio! Però non vorrei farti del male.
— Soffrirò volentieri per te, Topolina: prendi prendi.
— Nello svellere la penna, una goccia di sangue cadde e si cambiò in un grosso
rubino.
— Raccoglilo, — disse il merlo — perché potrà servirti. Ma ciò che ti
raccomando, è che Falco nulla sappia del mio dono: guai se non mi obbedisci!
— Sta' pur certo, buon merlo bianco, che ti obbedirò. —
Il merlo spiccò il volo in alto e da un cespuglio uscì una piccola
marmotta bianca, così piccola, che entrava in un pugno della mano di Topolina.
— La fata Gusmara ti consiglia di portarmi con te, — disse. — Nascondimi
in seno, non ti darò noia, né potrò dar sospetto a Falco, se mi vede. Procura
di non smarrirmi.
— Cara, cara marmottina bella, ringrazia la benefica Fata: seguirò il
suo consiglio, né alcuno ti torrà da me. —
Topolina si era alzata, quando si vide dinanzi
un grosso cinghiale, il più grosso ed irsuto della foresta. La
testa era di colore misto di grigio, di rosso, di nero; il corpo fulvo con
macchie nerastre; la coda pendente, distesa, bionda, eccettuato l'estremità che
era nera, il collo coperto di grosse setole.
— Topolina, cara Topolina, voglio venirti anch'io in aiuto, — disse. —
Non dimentico la cura che avesti di me, quando venni
ferito al piede e voglio dimostrarti che non sono un ingrato. Stacca una delle
setole dal mio collo, ed allacciala con un cordoncino al tuo, e se ti avvenisse di correre qualche pericolo di morte, bruciane un
pezzetto e sarai salva. Però, che Falco ignori questo talismano che porti teco.
— Falco l'ignorerà ed io ti ringrazio, mio buon cinghiale.
— Credi tu, Topolina che io voglia
dimenticarti? — esclamò una leggiadra gazza, che appollaiata sopra un grosso
ramo aveva assistito in silenzio a tutte quelle offerte. — Ho ascoltato la tua
preghiera alla Fata e ne fui commossa. Credevo le chiedessi di trasformare i
tuoi cenci in porpora, di farti ricca e felice: invece non pensavi che a
mantenere la promessa fatta ad un povero vecchio di venire in aiuto ad un
compagno, che non ti merita, non chiedendo nulla per te, col cuore pieno di
fede, di speranza e di amore. Ebbene tu hai diritto alla mia stima, alla mia
assistenza. Raccogli la ghianda che io feci cadere dall'albero a' tuoi piedi e nascondila gelosamente: essa ti servirà se
ti troverai priva di nutrimento, smarrita in qualche luogo, e se un pericolo
imminente ti soprastasse.
— Grazie grazie, buona gazza; grazie, — disse Topolina raccogliendo la
ghianda, nascondendola gelosamente — Ah, come vorrei
ricompensarvi tutti del bene che mi fate e quanto mi rincresce lasciarvi. Ma
tornerò!
— Sì, ritornerai, ritornerai, — ripeterono diverse voci, non mai prima
udite.
Come risplendeva il volto di Topolina quando
rientrò nella capanna! Con quali sguardi teneri avvolse il vecchio ed il
fanciullo, che dormivano ignari di quella misteriosa protezione che vegliava su
di loro per opera della piccola derelitta da essi
raccolta!
La luna splendeva chiara nell'azzurro del cielo e pioveva i suoi raggi
sulla povera capanna del taglialegna, ove Topolina si coricava sorridendo
felice!
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