Nel regno della Ricchezza
La situazione di Falco non era delle più piacevoli. Si sentì sballottato
di qua e di là senza poter vedere dove lo conducevano; sentì più voci gridare
in una lingua a lui sconosciuta; indi gli parve di essere posto fra altre
casse, su di un carretto, che veniva tirato a mano.
Il ragazzo avrebbe voluto soddisfare la propria curiosità, ammirare le
strade che percorrevano, vedere da vicino quelle ricchezze che da lontano gli
avevano prodotto tanto effetto.
Invece, fu costretto a starsene rannicchiato in quella cassa, respirando
appena dai forellini del coperchio, col terrore di qualche pericolo imprevisto
ed ignoto.
Come era folle, per l'amore di una fanciulla che lo disprezzava, di
slanciarsi in simili avventure!
Non avrebbe potuto essere felice nella sua povera capanna in compagnia
di Topolina che l'adorava, presso al vecchio padre che forse in quell'istante
lo chiamava?
Perverrebbe egli a conquistare i sette capelli d'oro della fata Gusmara,
mentre era appena giunto alla metà del cammino che
doveva percorrere, recinto da ogni parte da insidie e da pericoli?
Mentre così rifletteva, il carretto si era fermato e Falco sentì la voce
di uno dei conduttori che diceva:
— Siamo giunti solo stamani e non abbiamo indugiato a venir qui.
— Avete fatto benissimo, — rispose un'altra voce. — Se sapeste come
eravate attesi con impazienza! La signora è disperata, perché l'unica sua
figlia ha dichiarato che si lascerà morire di fame, se non le
danno della cioccolata; ed in tutto il regno non se ne trova. Perciò,
potete scaricare subito una mezza dozzina delle vostre casse. —
Falco si sentì in quel momento sollevare: capì che entravano nel palazzo
di cui aveva parlato il capitano e fu sorpreso dalle esclamazioni di gioia di
alcune donne quando le casse vennero scaricate a
terra.
— I mercanti di cioccolata! — si gridava. — Avvertite subito la padrona
e la signorina Nara.
— Oh, che piacere! Il palazzo tornerà in festa. Erano tutti così tristi,
dacché Nara non voleva più saperne di mangiare. —
Falco, nel suo nascondiglio, pensava che anche le ricchezze non bastano a soddisfare tutti i desideri, a rendere felici,
quando si accòrse che la fanciulla nominata doveva essere apparsa, perché sentì
una vocina esile, dire:
— Oh, mamma, adesso sì che sono contenta! Fai aprire subito una di
queste casse! Dammi un po' di cioccolata, o muoio. Voglio che sia aperta
questa! — soggiunse, appoggiandosi alla cassa dove stava rinchiuso Falco.
Il fanciullo trasalì dallo spavento.
Che sarebbe avvenuto, quando fosse stato scoperto?
Per fortuna udì la voce di uno dei conduttori, che disse:
— Guardi, signorina, apriremo quest'altra, ove si trova la cioccolata
alla crema, che deve essere mangiata per la prima, perché non si conserverebbe
a lungo. Nell'altra cassa, invece, ci è la cioccolata in pani che può durare
anche un anno, purché sia messa in una cantina asciutta.
— Sì, sì, la faremo riporre in cantina colle altre, perché la mamma le
acquisterà tutte, — esclamò la fanciulla.
Falco si sentì alzare sulle spalle di un facchino e pochi minuti dopo,
fu collocato sopra un piano mentre udiva una voce che
gli diceva attraverso i fori:
— Ricordati: stanotte. —
Poi tutto ripiombò nel silenzio. Falco rimase ancora per qualche istante
accovacciato; indi, persuaso di trovarsi solo, spinse la molla che gli avevano
indicata ed il coperchio si sollevò.
Allora il fanciullo saltò svelto e leggiero dalla cassa, guardandosi
attorno.
Egli era in uno stanzone assai vasto, che più di una cantina, gli parve
un gran magazzino. Benché non si scorgesse finestre, nella stanza splendeva un
mite chiarore. Il fanciullo a tutta prima non potè comprendere di dove
provenisse; ma poi si accorse di certe scaglie che coprivano i muri e
risplendevano come brillanti.
Il silenzio era perfetto.
Falco potè esaminare a suo agio gli oggetti del magazzino, né i ladri si
erano ingannati. Là dentro, si racchiudevano tesori immensi. Dei cassoni aperti
mostravano verghe d'oro; specie di forzieri senza serratura, che si potevano
perciò facilmente aprire, contenevano ogni sorta di pietre preziose.
Pure tutta quella ricchezza non affascinò il fanciullo, turbato da un
atroce pensiero. Egli doveva rubare, altrimenti coloro che l'avevano colà
introdotto, perché empisse la cassa d'oro e di brillanti, l'avrebbero ucciso.
Ladro! Sarebbe divenuto ladro per salvare la pelle? No, no, era
impossibile.
È vero che egli non avrebbe recato danno ai
proprietari di tutte quelle ricchezze; nondimeno, non si sentiva il coraggio di
stendere la mano su quell'oro che non gli apparteneva.
Prese allora una risoluzione.
Avrebbe procurato di fuggire da quel luogo per sottrarsi all'impegno
preso, e far perdere ogni traccia di sé a quegli uomini brutali che volevano
fare di lui un ladro.
Fece il giro del magazzino e vide una scala che sembrava condurre al
piano superiore. Ma al sommo di essa trovò una porta
di ferro, solidamente chiusa, che tutte le sue forze non avrebbero riuscito a
smuovere.
Falco era prigioniero.
Allora un immenso sconforto s'impadronì di lui: le
lacrime sgorgarono da' suoi occhi, e con accento angoscioso, giungendo le mani,
balbettò:
— Oh, buona Fata, buona Fata assistetemi: deh, che io non divenga un
ladro! —
Non aveva terminato la sua preghiera, che uno dei muri del sotterraneo
si aprì senza rumore, e nel vano apparve una specie di nano che si pose
l'indice della mano destra alla bocca per comandargli il silenzio e al tempo
stesso coll'altra mano gli fece cenno di seguirlo.
Falco, confortato, obbedì. Il Nano, che camminava senza rumore, gli fece
attraversare una lunga galleria, salire una scala, poi gli mostrò una porta
aperta, e disparve. Il fanciullo uscì da quella porta, che si richiuse tosto
dietro lui. Egli, così, si trovò sulla strada.
Libero! Era libero! La Fata aveva ascoltato
la sua preghiera; gli procurava il mezzo di uscire da quel palazzo; ma dove si
sarebbe recato? E Topolina dove si trovava a quell'ora?
Mentre così pensava, indifferente alla bellezza degli edifizi che
fiancheggiavano la strada, udì una voce esclamare:
— Che bel ragazzo! Certo non appartiene al nostro regno, e sarebbe
adatto per Scorpietta. —
Falco si volse e scorse una dama bellissima coperta d'oro, di gioielli,
in compagnia di una ragazza, in veste moresca ricchissima.
Egli arrossì alle lodi rivoltegli; e siccome rimaneva immobile e
confuso, la dama si avvicinò.
— Chi sei, mio bel ragazzo? — chiese.
— Sono uno straniero.
— Lo vedo; ma come mai ti trovi qui?
— Fui gettato dalle onde su questa spiaggia.
— Sei solo?
— Sì.
— Non conosci alcuno in questo regno?
— No, né qui, né altrove: mi trovo solo al mondo, — rispose con audacia.
— Povero ragazzo, vieni con me, avrai asilo e farò la tua fortuna. —
Falco accettò con gioia di seguire la dama e la ragazza in abito
moresco, per sottrarsi alla ricerca dei ladri, e passare la notte al sicuro.
Pensò che Topolina provvederebbe da sé alla
propria salvezza, e che era inutile e pericoloso in quel momento far ricerca di
lei.
Falco venne dunque condotto in un palazzo tutto di marmo e d'oro, ove
nel vestibolo erano dodici negri, vestiti sfarzosamente, che parevano statue di
ebano, tanto rimanevano immobili.
All'apparire della dama, si prosternarono colla faccia
a terra, né si rialzarono che dietro suo ordine.
Falco, tenuto per mano dalla stessa dama, attraversò una fila di sale,
la cui descrizione sarebbe impossibile. Egli non aveva
mai veduto nulla di più ricco, di più splendido, di più meraviglioso.
Poi la dama si soffermò in un salottino, imbottito da cima a fondo di
stoffa di seta a colori vivissimi cangianti, con mobili d'oro ricoperti di
stoffa simile a quella, e fatto sedere Falco, gli disse:
— Ora, fanciullo mio, ti faranno prendere un bagno e rivestire abiti
adatti alla tua nuova condizione, perché da questo momento, ti considero mio
figlio. Io sono la principessa Smeralda, cognata della nostra Sovrana, possiedo
ricchezze immense quali forse non hai mai sognate ed ho un'unica figlia, che è
tutto il mio amore, la mia adorazione. Ebbene, questa figlia sarà tua sposa. —
È da immaginarsi la sorpresa e la confusione di Falco; pure non avrebbe
avuto il coraggio di rifiutare, nella situazione in cui si trovava, sapendo che
un rifiuto sarebbe stato la sua rovina.
Perciò, rispose prontamente:
— Principessa, sono confuso di tanta bontà che so di non meritare,
perché sono un povero ragazzo, privo di mezzi, e può darsi che la Principessina non voglia saperne di me.
— Essa sarà invece ben felice di sposarti, come io
lo sono di offrirti le ricchezze che ti mancano. Olà! —
Alcuni servitori comparvero, e dietro un ordine della principessa
Smeralda, condussero Falco in un sontuoso appartamento, lo spogliarono de' suoi
abiti, gli fecero prendere un bagno, quindi lo rivestirono di un costume tutto
cosparso di pietre preziosissime.
— Come è bello! — sussurrò uno dei domestici agli altri. — Però non
vorrei essere al suo posto, povero ragazzo! —
Falco provò un leggiero tremito.
— Perché non vorresti essere al mio posto? — chiese.
Il domestico arrossì, balbettò una scusa.
— Perché... perché me ne troverei indegno. —
Malgrado questa risposta, una vaga, misteriosa apprensione assalì Falco.
Quando venne ricondotto dalla Principessa che
l'aspettava per pranzare, non aveva più la franchezza, l'audacia di poco prima.
— Vieni qui che ti ammiri, — esclamò la Principessa. — Oh, sei bellissimo: nessun giovane del regno potrebbe paragonarsi
a te: la mia Scorpietta sarà felice... orsù, mangia di buon appetito, poi la
vedrai e farò tutto preparare per il vostro matrimonio. —
Falco non ebbe il coraggio di rispondere, ma siccome era digiuno dal giorno prima, provò tosto una sensazione di grande
appetito alla vista delle squisite vivande che gli si offrivano agli sguardi,
ai delicati effluvi dell'arrosto di selvaggina, il tutto servito in piatti di
purissimo oro.
E mangiò avidamente di tutto, bevette senza scrupolo di tutti i vini che
gli venivano versati nei bicchieri, tanto che, al
finire del pranzo, la sua testa era esaltata, aveva dimenticato Topolina, i
suoi buoni propositi, messi da parte i suoi timori e qualsiasi scrupolo.
— Sposerò la
Principessina, — pensava — poi, al momento opportuno, carico
d'oro e di pietre preziose, mi allontanerò tranquillamente dal regno. —
E rivolgendosi alla Principessa:
— Quando mi concederete la felicità di conoscere la mia sposa? — chiese.
Ella sorrideva dolcemente.
— Più tardi, — rispose.
In quel punto giunse un messo, inviato dalla Sovrana, che aveva da
riferire cosa importante alla Principessa.
Falco voleva ritirarsi.
— No, rimani, — disse Smeralda — ormai tu fai parte della famiglia. —
E voltasi al messo:
— Parla, che succede? — domandò.
— Vostra cognata, la mia amata Sovrana, — rispose il messo — desidera
che sappiate ciò che è accaduto al palazzo reale. Un mercante di cioccolata
chiese, in cambio di alcune ricche bomboniere, il favore di ammirare un istante
il superbo salone, rischiarato dal brillante più grosso e meraviglioso del
mondo. —
Nel sentire questo preambolo, Falco si fece tutto
orecchi per ascoltare: il suo cuore batteva con violenza.
Il messo continuò:
— La Sovrana
acconsentì. Il mercante era entrato nel salone, con un cesto sul capo, e andò a
collocarsi proprio sotto il brillante. Ad un tratto si udì un forte rumore,
accompagnato da un grido: il grosso brillante era caduto al suolo e con esso una fanciulla che stava nel cesto del mercante. —
Falco non respirava più: era livido.
— Come avvenne la disgrazia? — chiese la principessa Smeralda.
— Non fu una disgrazia, — ripetè il messo. — Il mercante era un ladro,
che aveva istruito la piccina perché staccasse il brillante; ma la fanciulla
non potè sostenerne l'enorme peso e cadde col gioiello. Ella ha confessato
subito tutto, ed il ladro si ebbe tosto la pena che si meritava: gli venne tagliata nell'attimo la testa. —
Falco mandò un grido.
— E la bambina? — chiese.
— La bambina sarà bruciata viva domattina, e la Sovrana mi manda ad
invitarvi ad assistere alla cerimonia.
— Oh, grazia, grazia per lei! — gridò Falco con angoscia.
La Principessa
si fece seria.
— Tu la conosci? — chiese.
— No, ma sento pietà di lei, — rispose il fanciullo con accento vibrato.
— E voi, Principessa, chiederete questa grazia, in nome di vostra figlia che
debbo sposare, perché le nostre nozze non vengano
funestate da un orribile spettacolo.
— La Sovrana
avrebbe fatto grazia per il furto, — disse il messo — giacché
la fanciulla non è la colpevole, ma bensì lo strumento del ladro; però costui,
prima di morire, per vendicarsi, rivelò che la bimba è una protetta della fata
Gusmara, nostra potente nemica, e attraverso questo regno diretta alla conquista
dei sette capelli d'oro. —
Un lampo brillò nelle pupille della Principessa.
— Allora nessuna pietà di lei, — proruppe con violenza. — Essa merita la
morte, come verrà data a tutti coloro che avranno
l'audacia di recarsi dalla nostra nemica.
— Perché tanto odio contro di essi? — chiese
Falco fingendosi sorpreso da quello sdegno.
— Te lo dirò. Quando
uno giunge ad ottenere i sette capelli d'oro della fata Gusmara, vuol dire che
è un essere privilegiato, che ha potuto sfuggire a
tutte le insidie, i pericoli, le seduzioni che gli contrastarono il cammino a
traverso i regni nemici. —
Falco l'interruppe.
— Non potrebbe costui giungere alla meta per altre strade?
— No, — rispose la
Principessa. — Chi vuol arrivare alla gloria, al potere, alla
ricchezza, a tutti i doni insomma che può compartire la Fata potente, deve lottare
contro tutti i nemici di essa.
— Perché le sono nemici?
— Perché la fata Gusmara protegge le virtù che non si
trovano nei nostri regni; perché noi siamo a lei sottoposti; perché, infine,
chi giunge a possedere i sette capelli d'oro, diventa anche il nostro padrone e
potrebbe privarci delle ricchezze, senza le quali non possiamo vivere.
Ma ti ho detto anche troppo: vi sono dei misteri che non si debbono svelare
neppure ai più intimi. —
E rivoltasi al messo:
— Torna da mia cognata, — aggiunse — e dille che domattina saremo da
lei, perché ci allegra l'assistere alla punizione di una protetta della fata
Gusmara. —
Falco rimase silenzioso; ma quanto soffriva! Come? Avrebbe egli
assistito al supplizio di Topolina, senza recarle aiuto o condividere la sua
sorte?
Al fanciullo parve di non averla mai amata tanto come
in quel momento. La sua esaltazione di prima era svanita ed avrebbe rinunziato
certo alla fortuna che gli offriva la Principessa pur di trovarsi presso la sorellina.
Ma capiva che era necessario fingere per non tradire il proprio segreto,
altrimenti forse sarebbe stato punito, senza rivedere Topolina.
La principessa Smeralda, vedendolo triste, gli versò un bicchiere di un
liquore dorato.
— Orsù bevi, — disse — poi verrai a vedere la tua sposa. —
Egli dovette obbedire. Appena ebbe sorbito il prezioso liquido, sentì di
nuovo il sangue scorrere caldo nelle sue; vene e riprese
tutto il suo coraggio. ;
— Se Topolina è protetta dalla buona Fata, — pensava — non morirà. —
Egli seguì la
Principessa attraverso a numerose sale e ad una galleria
ornata di fiori, statue d'argento, fontane di diaspro. In fondo alla galleria,
sorgeva una specie di padiglione d'oro, la cui entratura era guardata da mori
in vesti ricchissime.
Quei mori s'inchinarono a terra, dinanzi alla Principessa, che ordinò
loro di alzarsi, e presentando Falco:
— Questi, — disse — sarà d'ora innanzi il vostro padrone, perché marito di mia figlia. —
La porta del padiglione fu spalancata, e la Principessa; entrò per
la prima.
— Scorpietta, mia adorata Scorpietta, ecco qui il tuo sposo, — disse
Smeralda.
— Oh, mamma, mamma, come è bello! Io già l'amo; mi amerà egli? — rispose
una voce dolcissima, soave.
Falco, che si era avanzato per vedere la Principessina,
soffocò un grido d'orrore, e incominciò a tremare in tutta la persona.
Sopra dei guanciali trapunti di perle e di brillanti, egli scorse un
corpo mostruoso di fanciulla, con la più orribile testa che si possa immaginare. E gli occhi rotondi, verdi, di quel
mostro, si fissavano su lui con immensa tenerezza e compiacenza.
— Sì, Falco ti amerà come io ti amo, — esclamò la Principessa,
abbracciando quell'orribile figura. — O farò subire a lui pure la sorte degli
altri. —
E voltasi al fanciullo:
— Non è vero, — soggiunse — che tu desideri sposarla? Ricordati che me
l'hai promesso.
— Ma io non la conoscevo, — balbettò Falco.
— Ebbene, — interruppe la
Principessa — che trovi d'indegno in
lei? Tu non devi guardare al suo volto, alla sua persona, ma al suo cuore che è
il più bello che si possa trovare: via, ti lascio con lei, tornerò fra poco,
perché venga celebrato il matrimonio. Spero che in
questo frattempo vi comprenderete e vi affiaterete. —
Così dicendo la
Principessa uscì dal padiglione, chiudendone rumorosamente la
porta.
Falco si trovò solo con Scorpietta.
— Ti faccio dunque tanta paura? — chiese la Principessina, con
un tono di voce così tenero, dolce, melanconico, che
Falco si sentì profondamente commosso. — Sei anche tu come tutti gli altri, che
hanno disprezzato la mia tenerezza, per il terrore che loro provocava il mio
sembiante?
— No, non disprezzo il tuo affetto, — rispose Falco — perché sento che sei buona, né il tuo sembiante mi fa più orrore,
dal momento che ti odo parlare; però non posso ricambiarti come forse vorresti
e mi ripugna l'ingannarti.
— Ti comprendo, ed apprezzo la tua sincerità; mi contenterò della tua
amicizia. Avvicinati a me, te ne prego; sei il primo che non mi sfuggi e voglio
dirti la verità.
— Eccomi! — esclamò Falco, sedendosi su di un cuscino ai piedi di lei,
che lo fissò con occhi riconoscenti, umidi di lacrime.
— Tu sei così bello, e tanto mi piaci, — disse la Principessina — che
voglio risparmiarti la morte orribile toccata a tutti coloro che mi hanno respinta, morte che non ho potuto far sospendere, perché mia
madre, che accondiscende a qualsiasi mia preghiera, è inesorabile, crudele,
quando l'imploro per coloro che non vogliono saper di me. Ora, se tu vuoi
evitare un tale pericolo, acconsenti a sposarmi: io non sarò per te che una
buona amica, una sorella; mi contenterò di un affetto fraterno ed in cambio
avrai ricchezza fino a che vorrai e tutti gli onori che si addicono ad un
principe. Dimmi, lo vuoi?
— E se rifiutassi?
— Soffrirei, perché so di non poterti risparmiare la morte. —
Falco pensò che non voleva morire senza aver
riveduto Topolina, deciso di seguirne la sorte, onde senz'altro rispose:
— Ebbene, acconsento a sposarti. —
Il viso orribile della Principessina divenne radioso e la sua anima
buona si trasfuse ne' suoi occhi commossi.
— Oh grazie, grazie, — disse prendendo una mano di Falco, che provò una
sensazione di ripugnanza al contatto di quelle dita pelose, munite di unghie
adunche.
Ma seppe dominarsi, non mostrare la sua avversione.
La
Principessa ritornò: sembrava di
cattivo umore e chiese entrando:
— Dunque, avete combinato?
— Sì, mamma, — rispose Scorpietta. — Falco mi sposa, dice che mi amerà,
ed io sono tanto, tanto felice.
— Oh, figli miei! —
La Principessa
sembrava pazza dalla gioia: baciava ora Scorpietta ed ora Falco con mille
esclamazioni di contento.
Il matrimonio venne celebrato la stessa sera
nel padiglione. La sposa aveva un abito interamente coperto di brillanti, una
corona di brillanti meravigliosi sul capo. Falco sembrava ancora più bello
vicino a lei, nel ricchissimo costume da principe, che gli avevano fatto
indossare: era ammirato da tutti, mentre tutti in segreto lo compiangevano.
La Principessa
gli mostrò un forziere pieno di pietre preziose, dicendogli:
— Tutto questo è per te, ed avrai tutte le ricchezze che desideri: farò
fabbricare un palazzo tutto d'oro per te e mia figlia. —
Poi gli consegnò una spada, dicendogli:
— Stringi quest'arma fatata; con essa
disperderai qualsiasi esercito. —
Dopo il matrimonio, vi fu un gran banchetto, rallegrato da un delizioso
concerto e da un ballo fantastico di fanciulle. Esse indossavano abiti luminosi
che ad ogni passo cambiavano colore come un arcobaleno.
Il banchetto durò fino al giorno, e prima che
gli sposi si ritirassero nel loro appartamento, la principessa Smeralda li
avvertì che dovevano recarsi ad assistere al supplizio di Topolina.
Falco attendeva con ansia quell'ora. Egli, la sposa e la principessa
Smeralda vennero condotti in palanchino al palazzo
della Sovrana, che li accolse affettuosamente e si rallegrò che il giovinetto
avesse avuto lo spirito ed il cuore di sposare la sua nipotina.
La regina Perla, era una bella donna, dai capelli color d'ebano, la carnagione
di creola, dalle forme statuarie, ma dall'espressione del viso fredda e
crudele.
Il rogo per Topolina venne preparato in un
vasto cortile che aveva tutto intorno un portico di porfido. Sotto il portico
erano dei sedili per gl'invitati e nel centro si ergeva una specie di trono,
dove prese posto la sovrana Perla, avendo a fianco da un lato gli sposi,
dall'altro la cognata.
Appena si furono seduti, si aprì una porta che era nel fondo del vasto
cortile e comparvero dapprima sei uomini di figura atletica, vestiti di rosso,
che portavano delle fiaccole accese per dar fuoco al rogo; poi, una quantità di
danzatrici in abito bianco, colle chiome cadenti fino a terra, le fronti
coronate da diademi di zecchini. Finalmente quattro mori portavano sulle spalle
una specie di palanchino scoperto, su cui stava Topolina, vestita de' suoi
poveri abiti, coi capelli disciolti, il volto sorridente, bella come
un'apparizione angelica.
Ma gli spettatori non furono commossi alla vista della graziosa bimba.
— Al fuoco, la protetta della fata Gusmara! — gridarono più voci alla
sua vista. — Al fuoco! —
Falco non aveva occhi che per lei: tutto il suo cuore volava verso
Topolina ed avrebbe voluto fulminare coloro che la condannavano a morire.
— Al fuoco, al fuoco! — ripeterono la Sovrana e la Principessa sua
cognata.
Scorpietta invece mormorò:
— Povera fanciulla, perché non è dato a me di salvarti? —
Falco la sentì, e chinandosi verso la sposa:
— Tu hai cuore, — le disse — ed io vorrei amarti come meriti, vorrei
poter cangiare il tuo viso con quello di un angelo, come sei. Forse mi vedrai
compiere qualche atto che non ti piacerà, ma perdonami, tu che sei buona.
Scorpietta era vivamente commossa, sentiva una soave dolcezza inondarle
l'anima.
Quel bel giovinetto che tutti ammiravano, che era il suo sposo, non
aveva dunque orrore di lei, la giudicava secondo i suoi meriti, non secondo il
suo viso: esso avrebbe voluto renderla bella, felice!
— Tu sei generoso, — rispose. — Qualunque cosa tu possa
compiere, sei già perdonato, né io cesserò mai di amarti.
— Grazie, Scorpietta, grazie. —
Topolina era salita sul rogo, che in quel momento venne
acceso.
Tutti gli occhi erano rivolti su lei, quando una voce ruppe il silenzio
ferale, successo alle grida.
— Topolina, sorella mia, — diceva quella voce — io non ti abbandonerò in
questo momento. Preferisco la morte con te a tutte le ricchezze, i poteri del
mondo. Scorpietta, perdonami, addio. —
E Falco, balzato dal suo posto, si slanciò fra le fiamme, prima che la Sovrana e gli altri
potessero trattenerlo.
Allora si vide una cosa inaudita.
Le fiamme si spensero in un attimo: dalle legna
si sprigionò un fumo bianco che pareva una nube e su quella nube i due
giovinetti abbracciati, felici, si inalzarono verso il cielo, per scomparire
poco dopo agli sguardi di tutti.
Scorpietta, cogli occhi velati di lacrime, le pelose mani congiunte,
pregava per colui che l'aveva abbandonata e che essa perdonava.
|