Nel regno della fata Gusmara
Il sole sprazzava fasci di luce dall’orizzonte, quando Falco, Topolina e
Nana uscirono dalla casetta. Zor aveva raccomandato alla fanciulla di non
rivelare a Falco chi ella fosse e Topolina non avrebbe
certo dato un dispiacere alla cara Nana, scoprendo il suo segreto.
Dinanzi alla casetta era uno strano veicolo che aveva un piccolo
baldacchino d’argento, posato su quattro ruote di gomma, tirato da cavallini
bianchi come la neve. Lo guidava un moretto non più alto di uno stivale alle scudiera, vestito di panno argentato, con in capo un
berretto a sonagli.
Nana e i due giovinetti presero posto dentro a
cotesto legno che partì come il lampo.
Nana aveva procurato a Topolina un abito da fanciulla di un color
azzurro pallido che faceva apparire la sua figurina ancora più delicata;
sembrava impossibile che Falco dovesse rimanere indifferente davanti a quel
visino di bimba così incantevole, dai grandi occhi luminosi, dalla fronte pura,
serena, incorniciata da capelli nerissimi che le scendevano in trecce sulle
spalle.
Ma il giovinetto non le badava. Anch’egli era stato rivestito di un
costume nuovo da paggio, che rendeva la sua figura più alta e flessuosa. Però
il suo volto, per quanto bellissimo, non rifletteva la bontà, ma solo
l'ostinazione e la fierezza.
La carrozzella correva correva, e davanti agli
occhi dei due giovinetti passavano interminabili pianure e colli ubertosi di
una lussureggiante vegetazione.
— Noi adesso attraversiamo la
Valle dei buoni — disse Nana — e di tutto quanto vedete
all'intorno, ne sono proprietari quattro fratelli che dedicano tutta la loro
ricchezza e la loro intelligenza a benefizio dei lavoratori.
«Essi dicono, giustamente, che la proprietà è formata da una parte dal
capitale, dall'altra dal lavoro, perché senza lavoro rimarrebbe infruttifera,
quindi il lavoro essendo capitale anch'esso, la proprietà deve essere divisa in
parti eguali fra padroni e lavoratori.
«Non basta: i quattro fratelli dividono ancora fra i loro coloni quella
porzione cui ciascuno di essi ha diritto affinché
costoro possano formarsi un fondo per la loro vecchiaia.
— Oh, i buoni signori, e come saranno adorati! — esclamò Topolina.
Nana scosse il capo.
— Lo credi? Ebbene t'inganni. La gente ignorante non ne ha mai
abbastanza, non conosce la gratitudine e spesso i beneficati si sono lagnati
ancora dei loro benefattori.
— Ciò non succederebbe a me, se fossi il padrone di questi terreni, —
osservò Falco. — Quando regnerò sugli altri, saprò tener tutti a bacchetta. —
Nana non rispose, ma un lieve sorriso sfiorò le sue labbra.
Erano giunti in riva ad un largo corso d'acqua, nel cui mezzo era un
irto scoglio e al di là vedevasi l'alto monte di marmo bianco, su cui posava il
palazzo della fata Gusmara, che sotto i raggi del sole sembrava tutto di
diamanti.
Nana, che era scesa dalla carrozzella coi due giovinetti, lo fece loro
osservare.
— Oh, come è bello e risplendente! — esclamò Topolina, giungendo le
mani. — Ma come faremo ad attraversare questo corso d'acqua e ad arrivare
lassù?
— Certo, se foste voi soli, non ci riuscireste mai; ma siete con me, e
con me nulla è impossibile. —
Falco guardava quasi con scherno quella vecchina, che vantava tanto
potere.
— Chi siete voi dunque? chiese.
— Lo saprai fra breve.
— Non vi prendete poi giuoco di noi! — ribatté Falco. — Non vedo in
quest'acqua alcuna barca che possa tragittarci.
— La barca ci sarà, — rispose sorridendo Nana — solo vi avverto che,
passando presso lo Scoglio del Mago (che è quello che vedete là in mezzo
abitato da un Mago che si diverte a far capovolgere le navicelle costrette a
rasentarlo ed a prendere poi gli annegati per cibarsene) di stringervi a me, e
non pronunziare la minima parola, qualunque sia la domanda che vi rivolga e le provocazioni che vi lanci.
— Oh, non sarò così sciocco da parlare! — disse Falco — né da perdere in
un istante ciò che ho guadagnato finora.
— Allora, andiamo. —
Il baldacchino d'argento della carrozzella si era trasformato in una
navicella a vela, ed il piccolo cocchiere si cambiò in nocchiero. I cavallini
rimasero sulla riva e si misero a pascolare l'erba.
La navicella fendeva silenziosa l'acqua, ciononostante, giunta che fu a
poca distanza dallo scoglio, i due giovinetti videro sopra esso
seduto uno spaventevole gigante che gridò agitando le braccia:
— Di qui non si passa. Cosa volete voi? —
Falco e Topolina si strinsero a Nana, senza rispondere.
— Olà! — gridò il Mago. — Siete forse sordi? Non sapete che il padrone
dell'acqua sono io, e che nessuno può tragittare dall'altra parte senza il mio
permesso? Fermatevi e rispondetemi, se non volete subire le conseguenze della
mia collera! —
Falco e Topolina si mantenevano in silenzio, ma come il cuore della
fanciulla batteva forte forte, temendo essa
un'imprudenza del fratello!
La navicella continuava a scorrere silenziosa sulle acque.
— Ah, voi mi sfidate? — gridò il Mago. — Aspettate, vi farò veder io,
che nessuno si burla di me. —
E incominciò a lanciare dei grossi ciottoli, nessuno de' quali giunse a
toccare la navicella, cadendo invece nell'acqua, che essi cospargevano di
spuma.
Il Mago bestemmiò ed afferrato un grosso tubo si mise a soffiarvi
dentro.
Un vento furioso fece sballottare la navicella, che nulladimeno
proseguiva la sua strada.
— Ah, vi ho colti, vi ho colti, — urlò il Mago.
Falco aprì la bocca per gridare:
— Come? In qual modo ci avete colti? —
Ma Nana fu pronta a tuffargli il capo nell'acqua; così il giovinetto non
potè pronunziare parola e la navicella passò come una freccia lo scoglio
giungendo dall'altra parte.
Falco stordito, mezzo affogato, si rivoltò con ira a Nana.
— Belle maniere! Per poco non mi avete affogato — disse.
— E ancora mi rimproveri! — esclamò Nana. — Non sai che se tu avessi pronunziato una sola delle parole che ti erano venute
alle labbra, tutto era finito per te?
— Sciocchezze! Voi volete spaventarmi; ma non sono mica
così gonzo da credervi.
— Tu alzi la cresta perché ormai abbiamo passato il pericolo, — osservò
Topolina. — Oh, buona signora, non badate alle sue parole! Perdonatelo.
— Egli può ringraziare di essere in tua compagnia, — disse Nana
severamente — altrimenti l'avrei abbandonato al suo triste destino, nelle mani
del Mago. —
Falco rimase mogio mogio senza più parlare.
Quando furono sbarcati sulla riva, quasi ai piedi della montagna di
marmo, Nana dette un ordine al moretto, che trasse tosto la navicella a terra e
della vela formò rapidamente un pallone.
Falco e Topolina guardavano ammirati, e quando la costruzione del nuovo
congegno aereo fu terminata, non poterono a meno di esclamare:
— Oh, come è bello!
— Ingegnoso!
— Ora capisco in qual modo giungeremo lassù, — esclamò Falco. — Oh,
fatina Nana, non dubito più della vostra potenza.
— Io ammiro invece la vostra bontà verso noi, che ne siamo indegni, —
soggiunse con dolcezza Topolina. — Né posso altrimenti dimostrarvi la mia
riconoscenza, che amandovi come se foste mia madre.
— Ed è ciò che desidero da te, Topolina mia, — rispose allegramente
Nana. — Via, figliuoli, è tempo di salire e di levar l'àncora. —
Il pallone s'inalzò maestosamente dal suolo e Falco e Topolina,
appoggiati alla sponda della navicella, guardavano il panorama che si stendeva
sotto loro e che impiccoliva a vista d'occhio,
provando poi la sensazione che fosse la terra che discendesse, mentre essi
rimanevano immobili.
A misura che le cose si confondevano e svanivano, Falco fu preso da un
vivo timore. Se la navicella si staccasse prima di arrivare alla cima del
monte? Se dovesse precipitar giù? Se il vento conducesse il pallone da un'altra
parte?
Il giovinetto si volse a guardare Nana e la vide sorridere: forse
leggeva nel pensiero di lui e rideva della sua paura; onde egli arrossì di
vergogna e di confusione. Capì che era prudente tacere, mordere il freno,
finché si trovava alla mercé degli altri. Ora egli aveva bisogno di aiuto; ma
la cosa andrebbe ben diversamente quando possederebbe
i sette capelli d'oro della fata Gusmara. Allora sarebbe solo a comandare e gli
altri obbedirebbero.
Il pallone s'inalzava sempre ed un nuvolo di colombe bianche
svolazzavano intorno alla navicella.
— Oh, le belle colombine! — esclamò Topolina sporgendo una mano, come se
volesse carezzarne qualcuna.
Una di esse venne tosto a posarsi sul suo capo.
Nana era raggiante.
— Sono le colombe della Fata, — disse — che vengono a farti festa. —
Anche Falco tentò di prenderne una, ma non gli riuscì; si allontanavano
da lui, mentre invece volteggiavano intorno a Topolina, si posavano sopra le
sue spalle, porgevano il becco perché le baciasse.
Intanto il pallone era giunto sull'ampia spianata della montagna, ove
sorgeva il palazzo di cristallo della fata Gusmara.
Appena scesi dalla navicella, udirono una fanfara trionfale e al tempo
stesso, delle fanciulle e dei giovanetti, indossanti splendidi costumi di panno
argentato, con corazze tempestate di brillanti ed elmetti di argento, si
avanzarono per porgere dei fiori a Falco, a Topolina ed a Nana.
Questa disse ai due giovanetti:
— Sono le guardie del corpo della fata Gusmara, che ve le manda incontro
per farvi onore. —
Dalle porte di cristallo del palazzo, spalancate, si vedeva
interiormente il trono di brillanti su cui sedeva la fata Gusmara, la quale da
quel trono regnava su tutto il mondo.
Impossibile descrivere la bellezza di lei! Falco e Topolina non ne
avevano mai veduta, né sognata una uguale. I capelli d'oro le scendevano in onde fino ai piedi; l'incarnato
era un misto di gigli e di rose, gli occhi azzurri, mentre sapevano imporre,
comandare, avevano altresì sguardi di una dolcezza, di una bontà infinita; la
bocca vermiglia schiudendosi ad un sorriso delizioso, scopriva denti che
sembravano perle in un astuccio di corallo.
La fata Gusmara indossava una tunica tutta bianca, di stoffa e foggia
meravigliose e portava in capo un semplice filo di perle che valeva tesori. Il
trono su cui sedeva era tutto composto di brillanti di una grossezza
inverosimile, incassati nell'argento.
La sala del trono era custodita da guardie di statura atletica; all'ingresso,
stavano due elefanti bianchi.
Nana ed i due giovinetti, preceduti dalla guardia del corpo, si
avanzarono verso il trono della Fata.
Falco era turbato, commosso; Topolina invece non aveva che sguardi di
soave ammirazione per la Fata
e sorrideva felice.
Ad un tratto si fece nella sala del trono un gran silenzio e la voce
della Fata, una voce che pareva musica di paradiso, pronunziò queste parole:
— Siate i benvenuti, figli miei. Ti ringrazio, Zor, di aver mantenuto la
tua promessa e qui condotto tu stessa i tuoi protetti. —
Così dicendo tese la sua manina di neve a Nana che la baciò con gran
fervore.
Al nome di Zor, Falco spalancò gli occhi, guardò sbalordito Nana, perché
gli venne il pensiero che ella fosse la piccola marmotta prediletta da Topolina
fattasi schiacciare per lei.
Ma allontanò subito un tal pensiero.
— Zor è morta, — disse. — Ed è per caso che la Fata dato questo nome a Nana.
—
Intanto erano stati disposti innanzi al trono tre alti scanni. In quello
di mezzo, venne fatta sedere Nana che aveva alla sua
destra Falco e alla sua sinistra Topolina.
La sala del trono formava un ammirabile quadro, perché era gremita di
tutte le notabilità del regno nelle più ricche, sfarzose abbigliature, nei più
abbaglianti costumi, ciò che faceva ancora più spiccare la lussuosa ed elegante
semplicità della Fata, la sua magica bellezza.
Tutti sapevano che si doveva giudicare il giovinetto, venuto alla
conquista dei sette capelli d'oro e tutti attendevano ansiosi.
— Falco, — disse la Fata
accennandolo con la mano — alzati e parla. Che facesti tu per venire in
possesso del tesoro agognato da tutti, che ben pochi riescono a conquistare? —
Falco aveva ripreso la sua baldanza.
— Fata possente, — rispose — la mia presenza qui, deve dimostrarvi che
ho saputo superare tutti gli ostacoli per giungere al premio agognato.
— Sì, lo vedo; ma fosti tu solo a compiere così difficile impresa? —
Falco tremò; ma la sua audacia prese il sopravvento: sapeva che in ogni
modo Topolina non l'avrebbe smentito.
— La mia sorellina che mi accompagna, — disse —
volle seguirmi, credendo ingenuamente di venirmi in aiuto; ma spesso mi fu
d'inciampo; e sebbene le sia riconoscente de' suoi buoni propositi, debbo
dichiarare che forse, senza lei, sarei giunto prima ai piedi del vostro trono.
— Ingrato, ingrato! — mormorò Nana con indignazione. Ma nessuno la
sentì.
La fata Gusmara si volse a Topolina.
— E tu che ne dici, bimba cara? —
La fanciulla arrossì e con accento timido rispose:
— Io, buona e possente Fata, non ebbi altro desiderio che di allontanare
ogni pericolo da Falco, rendergli meno malagevole la via e, se non sono
riuscita nel mio intento, gliene domando umilmente perdono. —
Si udì un lieve mormorio e tutti gli occhi si rivolsero benevoli su
Topolina.
La Fata
non si scompose; sorrideva di un sorriso celestiale.
— Zor, — disse con voce fattasi più alta e chiara — tu, che sotto la
forma di una marmottina fosti la compagna indivisibile di Falco e di Topolina
nel loro viaggio fino al regno della Ricchezza, ove dovevi lasciarli, racconta
quanto avvenne, gli episodi accaduti e la parte che ciascuno dei due giovinetti
disimpegnò. —
Falco sentì un fremito percorrergli le vene. Era proprio quella Nana,
che egli aveva ancora insultata all'ultimo momento, Zor, la piccola marmottina
da lui spesso derisa e maltrattata?
Avrebbe voluto impedirle di parlare; ma era forse possibile di farlo in
quel luogo, dinanzi a colei che aveva su tutti un diritto
di assoluto comando ed avrebbe a lui stesso imposto di tacere?
Onde rimase muto e fremente.
— Mia Sovrana, — disse Zor raddrizzando la sua piccola persona e con una
voce che scosse tutti — avrò l'onore di rivelarvi
l'intera verità e ch'io sia punita, se mento in cosa alcuna.
«Le preghiere che fino da bimba Topolina vi rivolgeva, senza conoscervi,
perché faceste piovere le vostre grazie sul povero taglialegna e sul figlio che
l'avevano raccolta, commossero il vostro generoso cuore. Allora, mi affidaste l'incarico di vegliare sulla vostra protetta e sui
suoi benefattori.
«Poi che Falco, invaghitosi di una fanciulla superba e cattiva,
disconoscendo la buona e soave creaturina che aveva al fianco e che l'amava più
di una sorella, si mise in capo di recarsi alla conquista dei vostri sette
capelli d'oro, Topolina chiese di accompagnarlo e vi pregò acciocché le veniste
in aiuto, evitaste a lei ed al suo fratellino tutti
gli agguati che avrebbero trovato nei regni a voi nemici.
— Ricordo la sua calda, innocente preghiera, tutta rivolta al bene degli
altri, — interruppe la Fata.
— Fu allora che ti mandai a lei sotto la forma di una marmottina, perché ella
potesse portarti seco, e volli che tutti i buoni geni del bosco ove abitava, i
quali l'amavano, le dessero ciascuno il suo talismano, col patto che ella non
ne parlasse a Falco.
— E Topolina non ne parlò mai! — soggiunse Nana, mentre Falco volgeva
degli sguardi corrucciati alla fanciulla.— Essa ha compiuto la sua missione nel
modo il più degno; né la sua bontà, la sua dolcezza si smentirono giammai, a
malgrado delle ingratitudini di Falco. —
Qui Nana fece l'intero racconto del viaggio dal giorno della partenza
fino al giorno in cui aveva abbandonato Topolina, dopo
averle salvato la vita.
Tutti ascoltavano silenziosi, commossi, ammirando la pazienza, la
generosità di Topolina, il suo affetto intenso per il giovinetto che l'aveva
raccolta ed amava più che se le fosse fratello.
Falco era fortemente turbato, non potendo da
una parte disconoscere quanto dovesse a Topolina, dall'altra parte persuaso che
anche senza lei, avrebbe saputo difendersi e sfuggire ai rischi incontrati nel
suo viaggio. Non aveva poi scontato il suo debito di gratitudine, allorché si
era lanciato sul rogo per morire con lei?
Nana aveva finito il suo particolareggiato racconto, e Topolina confusa
abbassava gli occhi, quando la
Fata a lei si rivolse.
— Ora racconta tu, figliuola mia, — le disse — quanto è accaduto a te ed
a Falco, dopo che Zor vi aveva lasciati.
Il cuore batteva fortemente alla fanciulla, ma essa obbedì subito.
Descrisse il loro viaggio attraverso il regno della Vanita, mettendo in
luce i meriti del fratello ed evitando ciò che poteva tornare vantaggioso a lei
o procurarle una lode.
Parlò della loro fermata alla casa della gatta bianca, del pericolo che avevano sfuggito di servire di pasto a quei vampiri,
dell'agguato teso loro dal vecchio che li aveva inviati alla Valle del dolore,
e come di qui potessero sottrarsi alle torture ad essi inflitte con l'ultimo
talismano datole dalla gazza.
— E quando disperavo, — proseguì — di non aver più mezzi per sfuggire le insidie che ancora potevano tenderci prima di giungere a
voi, Fata potente; mentre piangevo per la ferita di Falco; ecco giungere la
salvezza, ecco schiudersi il paradiso colla comparsa della mamma Nana, della
mia adorata Zor che avevo tanto pianta, e che a malgrado la sua promessa, temevo
di non più rivedere. Perdonatemi di aver dubitato un istante e punitemi se ho
mancato in qualche cosa, ma siate indulgente col povero Falco, al quale, se
manca qualche volta la saggezza e la riflessione, pulsa però in petto un cuore
buono e generoso. —
Vivi applausi accolsero la conclusione del discorso di Topolina, fatto
con tanta naturalezza e semplicità.
Falco ne apparve vivamente commosso, ed attendeva con ansia il responso
della Fata.
Perché toccava ormai a lei a decidere, a consegnare i sette capelli della
sua chioma d'oro.
La fata Gusmara alzò la mano in atto a un tempo regale e gentile per
imporre silenzio.
Nessuno più fiatò.
— Voi avete sentito tutti i particolari della spedizione dei due
giovinetti, preso parte ai loro sforzi per giungere ad
ottenere il premio desiderato, e vi siete commossi alle loro avventure, — disse
la Fata,
rivolgendosi ai dignitari della Corte, a' suoi fedeli sudditi. — Ebbene, io
lascio a voi stessi giudicare chi meriti la potenza,
la ricchezza, la gloria, che ad uno di essi spetta col dono de' miei capelli. —
Falco era divenuto pallido e con accento tremante:
— Io solo, — disse — ebbi l'idea di tale conquista, a
cui Topolina non doveva partecipare; essa mi ha seguito al solo scopo di
farmi compagnia; perciò non vorrà togliermi ciò che a me spetta.
— Oh, no! — rispose pronta Topolina. — È anche assai, se ebbi la fortuna
di potervi ammirare, buona Fata, e di rivedere la mia diletta Zor; non
desidero, non voglio altro.
— Io però non l'intendo così, — disse la Fata. — Perché non basta per
la conquista dei sette capelli d'oro, giungere qui
sani e salvi, dopo aver affrontato i pericoli, le seduzioni che s'incontrano
nei miei regni nemici, ma bisogna dimostrare di possedere un'anima pura,
innocente, scevra da ogni ambizione, da ogni cattivo desiderio. Se io dessi a
Falco la ricchezza, la potenza, la gloria, egli ne farebbe un cattivo uso che
lo renderebbe un giorno infelice, disperato; concedendo invece a te tali
favori, potrai render felice tuo fratello, te stessa e gli altri. Così ho
deciso. Che ne dite?
— Sì, sì, sia premiata Topolina! — si gridò da ogni parte.
— Essa sola merita i capelli d'oro della Fata; essa sola deve averli! —
si aggiunse.
Falco, impressionato da quella sentenza, dall'impeto di quella giustizia
clamorosa, sincera, era divenuto pallido come un morto.
— Questa è un'ingiustizia, — mormorò.
— Oh, mia buona Fata, ve ne prego, accontentate mio fratello, — supplicò
Topolina. — Io non ho alcun desiderio di ricchezze né di poteri; non bramo che
ritornare alla povera capanna, ove il vecchio taglialegna aspetta che io
mantenga la mia promessa di ricondurgli il figlio. Quando la mia missione sarà
compiuta, io non chiederò alla buona Zor che di lasciarmi finire i miei giorni
presso lei.
— No, la tua missione non è ancora compiuta, — disse gravemente la fata
Gusmara. — Col conferire a te il potere e le ricchezze, ho in
mira non solo di distruggere tutti i malefizi dei regni miei nemici, e
di renderli a me favorevoli, ma di riscattare tutte le colpe di Falco e vederlo
un giorno degno di ricevere dalle tue mani il tesoro tanto agognato.
— E non potrei, mia buona Fata, offrirglielo adesso?
— No, non lo permetto, né è in tuo potere il farlo. Solo il giorno in
cui avrà compreso che il tesoro più grande di questo
mondo è una pura coscienza e l'affetto disinteressato di una fanciulla, allora
tu potrai accontentarlo. Adesso, mia piccola Zor, vieni tu stessa a tagliare i
sette capelli dalla mia chioma ed intrecciare il braccialetto che dovrà cingere
il polso di Topolina, il quale essa non potrà più togliere fino a tanto che non
mi piaccia. —
Zor obbedì tutta raggiante agli ordini della Fata. In un momento i sette
fili d'oro furono tagliati, intrecciati insieme, formando un cerchio sottile
che la Fata
stessa cinse al polso sinistro della fanciulla. Il piccolo cerchio si strinse,
come se vi fosse saldato.
— Da questo istante, — disse con voce dolcissima la Fata — a te è conferito ogni
potere. Tutti obbediranno ad ogni tuo cenno; avrai ricchezze quanto vorrai e
qualsiasi tuo desiderio verrà soddisfatto.
— Io desidero, buona Fata, che Falco non sia in
collera con me. —
Falco sorrise con amarezza.
— Non lo sono, — rispose. — Ma è certo che se un giorno non ti avessi raccolta, oggi non mi toglieresti ciò che dovrebbe
essere mio di diritto. —
Un brusco mormorio accolse quelle parole.
— Tu sei cattivo, — disse la
Fata — perché rinfacci un benefizio a chi ti ha ricompensato
mille volte ad usura, venendoti in aiuto in ogni frangente.
«Ma ti compatisco perché l'amor proprio ti accieca, perché non comprendi
la giustizia del mio operare e la bontà della fanciulla che Dio posò al tuo
fianco.
«Però un giorno mi ringrazierai di quanto oggi ho fatto».
E volgendosi a Nana:
— Zor, mia fida ancella, mantengo oggi la promessa che un giorno ti
feci: tu seguirai Topolina, né l'abbandonerai più.
— Oh, grazie buona Fata, grazie! — esclamarono con
entusiasmo Nana e Topolina, baciando la manina gentile di Gusmara e
bagnandola di lacrime.
La Fata
le sollevò, stringendole entrambe al suo petto e baciandole sulla fronte.
— Ora andate, — disse con voce commossa — e non mi dimenticate: io anche
da lungi veglierò su voi. —
Ella fece un cenno di congedo per nascondere la sua profonda commozione.
Topolina venne condotta in trionfo fino alla
navicella del pallone, ove presero posto anche Zor e Falco.
Questi tentava invano di nascondere il suo avvilimento. Rimaneva
pallido, muto, colle sopracciglia fortemente aggrottate sotto l'oppressione dei
pensieri.
Quando il pallone incominciò la sua lenta discesa dalla montagna, si udì
uno scoppio formidabile di applausi. Era il saluto che tutto un popolo festante
mandava a Topolina, la conquistatrice dei sette capelli d'oro della bella
Sovrana che tutto il mondo amava ed ammirava!
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